L’HIP HOP ITALIANO TRA IMPEGNO SOCIALE E POLITICA

Dopo Gemitaiz, sono Salmo e Ghali a continuare su questa strada

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A partire dagli anni ’90, il rap rappresenta il genere musicale più politicizzato L’hip hop, per esempio, nasce in quegli anni con il chiaro intento di denunciare i disagi sociali delle minoranze e degli oppressi. In USA c’era chi trattava di criminalità come Tupac e chi invece era più direttamente politico, come ad esempio i Public Enemy o i Furious Five.

Quando, finalmente, il movimento musico-culturale iniziò a svilupparsi anche per le strade italiane (ndr, il film “Numero Zero: alle origini del rap italiano è una narrazione magistrale in tal senso), pionieri come Speaker DeeMo, i Sangue Misto, i Sottotono, i Colle der Fomento, i Cor Veleno del compianto Primo Brown, Frankie Hi-nrg mc e tanti altri, tra rime sgangherate, ritornelli stonati e beats “artigianali” fatti in casa con strumentazioni quasi di fortuna, facevano il giro dei centri sociali trattando temi politici senza peli sulla lingua. Nessuna casa discografica a indicare la via, nessuna radio a censurarne i testi: si trattava di hip hop allo stato brado, quasi embrionale.

Alla fine degli anni ‘90, però, quando finalmente il rap italiano iniziava a diventare un fenomeno mainstream anche da noi, qualcosa andò storto. Quei ragazzi ribelli, così determinati nel far sentire la propria voce e quella dei loro simili, non ebbero la capacità di sostenere la pressione mediatica e il mercato discografico: alcuni si ritirarono dalla scena, altri si presero una lunga pausa per poi ricominciare come rappers “underground”, altri ancora, come Neffa, cambiarono completamente genere musicale. Era la fine di un’era, ma non la fine di tutto.
Proprio Neffa cedette spontaneamente alcune basi ad un giovanissimo Fabri Fibra: da quel momento, per qualche anno, sarà quest’ultimo a sostenere il peso della sopravvivenza di un intero movimento culturale, nell’attesa di un ricambio generazionale che, come sappiamo, si è poi realizzato. Nascono gli Onemic e i Club Dogo; esordiscono Gemitaiz, Marracash e Mondo Marcio; Salmo, invece, che aveva iniziato nel 1997 ad appena 13 anni, intraprende un lungo processo di maturazione. È la seconda generazione del rap italiano che mostra una radicale differenza con la precedente: raggiunge infatti un numero sempre crescente di persone, diventa una musica commerciale. Se è vero che in molti album la denuncia politico-sociale continua a esistere, è anche vero che questa finisce però in secondo piano. I singoli che passano in radio parlano poco o nulla di temi impegnativi, quelli che ne parlano lo fanno in modo generico, senza entrare nello specifico o fare nomi. Per trovare l’impegno sociale che si richiede all’hip hop, bisogna andare oltre la distribuzione radiofonica e televisiva: bisogna comprare i CD’s, ascoltare i pezzi non pubblicizzati. Questo cambiamento, che delude i puristi del genere, è però utile: le views su youtube diventano centinaia di migliaia, poi milioni. I dischi venduti si moltiplicano, i concerti live si riempiono: anche in Italia, con moltissimi anni di ritardo, l’hip hop diviene un vero e proprio fenomeno culturale di massa.

Un genere musicale così rampante, però, si evolve inevitabilmente con rapidità clamorosa; se questa volta i rappers della seconda generazione continuano, e con enorme successo, la propria attività, anche loro sono costretti ad adattarsi e ad avere a che fare con un sottogenere che, piaccia o no, è entrato ormai nel vocabolario di tutti noi: la trap. Esistente negli USA sin dagli anni ‘90, ma esplosa nel 2010, essa inizia a imporsi prepotentemente in Italia a partire dal 2014 circa. La trap è caratterizzata da testi semplici, ritornelli frequenti, musicalità minimali: quasi impossibile trattare temi impegnativi in questo modo. Diventano sempre meno i rappers/trappers che mantengono un impegno sociale nei testi: guida il gruppo il solito Fabri Fibra, che riesce nell’incredibile impresa di far entrare certi temi nelle case di un’Italia sempre meno interessata alla politica. Riesce persino a inserire la politica nei singoli che passano in radio, come “Vip In Trip” e “Pronti, Partenza, Via!”. Ci prova anche Tormento aka Yoshi, ex dei Sottotono, in pezzi come “Un Brindisi” (2013), dove denuncia con forza la propaganda a suo giudizio razzista della Lega, la morte di Cucchi e la gestione statale della crisi economica, oltre alla pochezza dei media. Il video, ad oggi, ha però ottenuto soltanto 78.000 visualizzazioni: piena dimostrazione del fatto che pare proprio che, in Italia, i temi politici non portino successo. L’impoverimento dei temi trattati dal rap e dai suoi sottogeneri è continuato, con pezzi che trattano sempre più di soldi, successo, fama: un paradossale rovesciamento, due generazioni dopo, dei temi originari dell’hip hop.

Il 2018, però, sembra aver segnato una nuova svolta, o, se non altro, pare abbia fatto muovere qualcosa anche nelle nuove leve. I crescenti episodi di razzismo, uniti a proposte di legge ai limiti dell’incostituzionalità (il 15 novembre il Consiglio Superiore della Magistratura ha dichiarato incostituzionale il dl Sicurezza nella parte che si occupa di migranti e richiedenti asilo), hanno fatto sì che qualcuno, seppur non in maniera unanime, decidesse di farsi sentire, anche con toni forti o persino violenti, ricordando a tutti – e forse anche a sé stesso – quali sono le vere origini del rap. Il 27 gennaio, l’italo-tunisino Ghali ha pubblicato Cara Italia”, che unisce una dichiarazione d’amore verso il Bel Paese a una denuncia ironica ed intelligente contro il razzismo e l’ignoranza. Il video ha sfondato il muro dei 100 milioni di visualizzazioni su youtube: cifre mostruose.
Segue a giugno il romano Gemitaiz, che, però, ha usato toni ben più duri tramite Instagram, rivolti direttamente al Ministro dell’Interno Salvini, da poco insediatosi al Viminale. Salvini ti auguro il peggio. Se muori facciamo una festa”, recitava la “story” del rapper, che si riferiva al controverso episodio della nave Aquarius. Parole sicuramente da condannare, per le quali Davide De Luca (questo il suo vero nome) si è poi scusato. “Secondo voi che problemi ha?”, questa la risposta del Ministro. In ogni caso, intervistato sulle ragioni della sua pesante uscita, Gemitaiz ha dimostrato di avere le idee chiare: Di politica non mi frega niente, ma una cosa del genere comincia a rappresentare ideologie che vanno oltre, perché ci sono valori imprescindibili nella vita e uno di questi è l’uguaglianza. Io non ho una posizione su Matteo Salvini a livello politico, ma a livello civile. Il suo modo di comunicare e gestire la cosa ha dell’odio di fondo. È un razzista, per quello che ha fatto in passato, per le uscite che ha avuto. Lui non considera queste persone (i migranti, ndr) al suo stesso livello. Qui si parla di razzismo. Il razzismo è come il nazismo, bisogna andargli contro”. E ancora: La gente che ascolta la musica che faccio io non ha la più pallida idea di cosa significhi. I ragazzi di 14 anni del nostro Paese, che sentono la mia musica e sostengono Salvini, lo fanno perché sono ignoranti, ma non ne hanno colpa. La colpa è dei genitori”. Dopo cinque lunghi mesi di “tregua”, è uscito poi il nuovo album di Salmo, Playlist.

E con sé ha portato enormi polemiche, viste le ormai famose dichiarazioni dell’ex cantante hardcore: “Non puoi ascoltare hip hop ed essere un razzista, le due cose sono incompatibili perché è una cultura black da sempre. Se dici grande Salvini, brucia i miei CD”. Il Ministro ha risposto nelle stesse modalità con cui aveva risposto a Gemitaiz, con un sarcastico: “apri la mente, fratello!” su Instagram. La posizione di Salmo è stata, infine, sostenuta dal già citato Ghali, che però, in linea con in suo carattere, appare molto meno aggressivo. Anzi, quasi se la gode, sottolineando divertito, sulle pagine di "Rolling Stone", l’ipocrisia che lui vede nel fenomeno dei leghisti ascoltatori di hip hop: “Salmo è un grande, ma invece il bello è che chi vota Salvini viene a vedere i nostri concerti per accompagnare i figli. Il vero corto circuito”. Racconta anche della propria esperienza da italo-tunisino di colore: “il razzismo mi è pesato meno che ad altri. Sono sempre stato misericordioso verso chi è ignorante di vita, cioè non ha incontrato diversità, non ha fatto scalo negli aeroporti. Poi sofferenza e frustrazione ci sono state, ma le ho canalizzate nella musica. In Italia sono io quello che farà la nuova Imagine. Un brano che unirà tutti. E poi un pezzo esploderà nel mondo arabo e uno nell’America Latina. Voglio suonare in Tunisia e al Coachella Festival”. Grandi ambizioni, ma idee chiarissime, per un ragazzo appena 25enne che promette un gran bene. Comunque la si voglia pensare, pro o contro Salvini, o addirittura indifferenti, è di enorme importanza che, dopo un lungo periodo di sbandamento, il movimento culturale che forse abbraccia più persone in assoluto tra i giovani stia tornando ad impegnarsi nel sociale, a esprimere le proprie opinioni, a non limitarsi alla sola ricerca spasmodica delle vendite. Gemitaiz, Salmo e Ghali hanno addirittura rinunciato ad alcuni fan in nome della libertà di espressione, il che è un atto di coraggio che si spera sarà trainante per la rinascita culturale di un genere musicale così rivoluzionario.

Giulio Negri

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