LEGA ARABA:I PALESTINESI RINUNCIANO ALLA PRESIDENZA

Lo annuncia da Ramallah il ministro degli esteri Riad-al-Malki

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Manovre politiche ambigue sono state intraprese in seno al Consiglio della Lega Araba. I palestinesi hanno rinunciato alla presidenza loro spettante per la sessione corrente, probabilmente come risposta alla considerazione pressoché nulla, dimostrata dalla Lega Araba nei confronti di una risoluzione da essi promossa, di condanna verso l’Accordo sottoscritto tra Israele e Paesi Arabi, la quale non sarebbe stata posta al voto assembleare. L’annuncio, citato dall’agenzia Wafa, è stato dato dal Ministro degli Esteri Palestinese, direttamente da Ramallah, in Cisgiordania. È necessario tenere in considerazione tra l’altro che i media locali fanno presente della partenza di una delegazione di Fatah, in Turchia, per discutere con Ankara di un eventuale intervento nell’ambito della conciliazione palestinese, andando a smuovere in questo modo i tradizionali assi.

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Ricordiamo che al-Fatah, è un’organizzazione laica nata nel 1959 dalla volontà di un gruppo di attivisti palestinesi, tra cui Arafat, fedeli alla causa nazionalista palestinese, che oggi costituisce il principale attore sia dell’OLP che dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), nata sulla scia dei negoziati portati avanti con Israele, per la conclusione degli Accordi di Oslo, e perciò non in linea con il radicale e inamovibile antisionismo di Hamas. Si pensi solo che gli Accordi di Oslo, tra OLP e Israele, condussero quanto meno ad un mutuo riconoscimento tra le due entità.

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Questo infatti, non sarebbe il primo tentativo conciliativo in ambito interno palestinese; il più recente, quello condotto sotto l’egida egiziana nel 2017, aveva ottenuto buoni presupposti per un’effettiva realizzazione dei propositi stabiliti, se non fosse per le differenze di fondo delle due entità che sfociarono in quell’occasione in divergenze su punti cruciali dell’intesa quali: l’annullamento delle sanzioni dell’Anp nei confronti di Hamas come il razionamento dell’energia elettrica e la sospensione di trasferimenti di denaro, o ancora il rifiuto di Hamas di consegnare le armi e di accettare la collaborazione tra Anp e Israele, sulla sicurezza della Cisgiordania. È così che ancora oggi la situazione della Striscia di Gaza, attanagliata tra contese politiche in un quadro complessivo più che mai frastagliato e interessi economici in gioco, riversa da anni sulla soglia di una costante crisi umanitaria di cui, a subirne le conseguenze più gravi come sempre è la popolazione civile, privata di prospettive di vita differenti da quelle imposte dall’embargo.

Federica Scippa

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