La rivoluzione musicale del secondo millennio
Le nuove frontiere dell’ascolto....e un pizzico di tecnicismo

Correva l’ottantaduesimo anno del secolo scorso. Detto così sembra proprio tanto tempo fa, quasi un altra era.Un’innovazione tecnologica rivoluzionava il modo di ascoltare musica.Nasceva il CD, acronimo del Compact Disc Digital Audio. Si entrava in punta di piedi nell’era del digitale. Di fatto la progettazione del CD nella sua configurazione definitiva risale al 1979, e si deve ad una joint venture della Philips con l’azienda giapponese Sony, la quale già dal 1975 stava sperimentando in modo indipendente la tecnologia per un disco ottico digitale.
Il 17 agosto 1982 il primo CD per utilizzo commerciale venne prodotto in una fabbrica della Philips ad Hannover in Germania: La Sinfonia delle Alpi di Richard Strauss diretta da Herbert Von Karajan con la Berliner Philharmoniker. Il primo album musicale pop ad essere stampato sul nuovo supporto fu The Visitors del gruppo svedese degli ABBA, ma il primo ad essere immesso sul mercato fu 52nd Street di Billy Joel, commercializzato dal 1º ottobre 1982 in Giappone insieme al lettore.Date che sono, loro malgrado, entrate nella storia, rifacendosi all’avvento del dischetto di policarbonato trasparente, di soli 12 cm di diametro che nel giro di una decina d’anni manderà in pensione i nostri amati vinili. Note musicali generate da un raggio di luce laser, non più dal contatto fisico di una puntina che solcava un tracciato definito.La contrapposizione a un mondo analogico, ormai al tramonto , di uno nuovo, la cui essenza è quella di un codice binario.Cronologicamente, il CD Audio è stata la prima applicazione pratica di tale formato, dal quale in seguito sono derivati tutti gli altri utilizzi del Compact Disc le cui specifiche fisiche e logiche sono state definite nei cosiddetti libri dell’arcobaleno, meglio noti come “Rainbow Books” ogni colore per ogni differente formato. Quello del CD audio, vuole la leggenda, sia il “red book” perchè pare che la prima versione contenente le specifiche fosse rilegata in un libro in cartoncino rosso, da cui il nome.
Senza entrare troppo in tecnicismi, magari graditi a qualcuno ma che annoierebbero molti, basti ricordare che il CD così sviluppato si basava su uno standard con una capienza iniziale di 74 minuti, e una campionatura dei brani di 44,1 kHz a 16 bit di profondità. Questo è diventato il formato di riferimento principale della musica casalinga per molti anni. Un aneddoto racconta che i 74 minuti furono imposti come durata minima dall’allora presidente della Sony, Akio Morita, che voleva poter riprodurre tutta la nona sinfonia di Beethoven su un unico supporto.
Primi anni novanta: la comparsa dell’Mp3.
La si deve a un ingegnere piemontese Leonardo Chiariglione, fondatore e presidente dell’ MPEG (Moving Picture Experts Group), gruppo di circa trecento esperti internazionali che ha creato non solo tale formato, ma tutti gli standard più usati per la trasmissione digitale di audio e video. L’Mp3 nasceva dall’esigenza di creare un algoritmo che permettesse l’efficiente compressione di files audio tale da permetterne la condivisione su Internet con una qualità apparentemente simile a quella di un cd che doveva coniugarsi alla relativa lentezza delle connessioni dell’epoca.Per fare questo è stato creato un sistema basato sulle ridondanze dei suoni e dei silenzi, tagliando tutte le frequenze che, secondo gli sviluppatori, non erano essenziali all’ascolto umano in quanto fuori dalla capacità uditiva, basata sul cosiddetto “modello percettivo” che definiva il nostro orecchio uno strumento “non lineare”, incapace di percepire tutti i suoni e soprattutto di percepirli nello stesso modo.
Quindi una tecnica “lossy”, con perdita di informazioni, dove il suono in quanto compresso, ossia tagliato delle frequenze troppo basse e troppo alte, diventava per la prima volta diverso da quello originale, anche se tale differenza non sarebbe stata percepita dai nostri sensi.Nasceva il concetto di musica liquida, neologismo utilizzato da riviste di settore per indicare quella porzione della musica fruibile senza supporto fisico (CD, vinile, nastro o quant’altro).Parimenti vedeva la luce una nuova forma di pirateria, dedita allo scambio illegale di brani in rete su piattaforme cosiddette “ peer to peer “ che per anni hanno rischiato di mettere in ginocchio l’industria discografica.Napster, la più nota. Questa tecnologia di condivisione in rete creò inediti scenari.Per la prima volta iniziava a circolare una mole impressionante di materiale, dagli album ufficiali a versioni inedite, cover, demo mai pubblicate e incisioni pirata di concerti.Una sorta di far west del web insomma, ma una manna per gli appassionati della quantità e dell’introvabile. In sostanza la stragrande maggioranza della platea planetaria. Non per gli audiofili incalliti però… Coloro che prima di tutto anteponevano la qualità tecnica della riproduzione, unico canale capace di rendere fruibile in modo opportuno il contenuto artistico di un opera, il cui corrispettivo in rete veniva giudicato spesso inidoneo, non in grado di competere con un’incisione originale.Inutile dire che si trattava, allora come adesso, di una nicchia di appassionati.Il “problema” non era più vivere e gestire la scarsità della disponibilità di canzoni, album e artisti, ma era diventato quello di gestirne l’abbondanza. Malgrado tutto l’ ovvio scalpore suscitato dalle questioni di violazioni del copyright, Napster fu la fautrice di una grande innovazione: trasformò la condivisione personalizzata e locale in condivisione collettiva e globale.I medesimi utenti appassionati guidarono questo processo realmente rivoluzionario, dove erano gli ascoltatori a creare e a decidere, divenendone parte attiva, un cambiamento che ha gettato le basi dell’era attuale.Di fronte a questa realtà̀, le case discografiche, nel tempo, dovettero iniziare a vedere questo fenomeno come indicazione di una nuova via da percorrere e non unicamente come una minaccia. La tecnologia venne utilizzata per aprire negozi virtuali dove poter comprare e scaricare musica. Nacque lo store digitale, come lo conosciamo. Dopo Napster le piattaforme di distribuzione digitale legale della musica hanno avuto reale impatto sul mercato nel 2003-2004 grazie a Apple, allorquando Steve Jobs convinse le case discografiche che era il momento di vendere il prodotto "musica" su Internet.Nel 2003, negli States venne lanciato iTunes Music Store, il negozio on line che offriva una selezione di circa duecentomila brani, con artisti provenienti dal catalogo di tre tra le più importanti major (Universal, Sony e Warner). Il prezzo era di 9,99 dollari per un album e 99 centesimi per ogni brano.
Jobs era riuscito a convincere le case discografiche che la musica su Internet doveva essere slegata da vecchi paradigmi, ossia dal concetto di album fine a se stesso.Già alla fine del 2003, la Apple varò la versione dell’iTunes Music Store per Windows, mentre a luglio del 2004, ancora prima di aprire le versioni europee, festeggiò la vendita di cento milioni di canzoni. Nel 2006 varcò la soglia del miliardo, nel 2008 di cinque miliardi. L’integrazione tra dispositivi nell’ecosistema della Mela morsicata fu la chiave del successo mondiale della diffusione della musica digitale in casa Apple. Steve Jobs dimostrò coi numeri di poter realmente contrastare la pirateria. Non la sconfisse, ma certamente fu in grado di dare la prima alternativa legale, valida e perfettamente integrata in un sistema stabile, sebbene a pagamento, in grado di offrire all’utenza qualcosa di meglio, rispetto al P2P, uno step successivo in termini di qualità e semplicità di utilizzo. Dunque, qualcosa a cui gli appassionati potessero attribuire un valore aggiunto che ne giustificasse appieno il pagamento. Si era creato un servizio che soddisfaceva un bisogno. L’evoluzione di ciò porta ai giorni nostri, all’avvento della musica in streaming. L’ascolto di musica on line è la nuova frontiera che sta inesorabilmente facendo dissolvere Il mercato fisico della musica. L’acquisto di Cd sembra essere oggi una scelta sempre più di nicchia. C’è invece un certo ritorno al buon vecchio 33 giri, parliamo ovviamente di numeri molto esigui che interessano gli appassionati di un particolare artista o i collezionisti. Ascoltare musica in digitale rappresenta la strada più semplice e istantanea per poter godere di servizi in continuo aumento, come ad esempio la possibilità di condivisione di playlist, di informazioni su questo o quell’artista con un’interazione a mezzo social, che assurgono sempre più al ruolo di protagonisti.Si è assistito a un profondo cambiamento dell’industria musicale, con la convergenza sempre più marcata verso il digitale, non più soltanto per gli store on line (con la vendita e il download), quanto invece per il fatto che sono approdati sul mercato servizi come Spotify ed Apple Music, che dietro il pagamento di una quota mensile da 9,99 Euro, permettono agli utenti l’ascolto senza restrizioni di qualsiasi tipo di canzone, o come nel caso di Spotify, anche la scelta di una componente completamente free che ne consente l’ascolto con intervallati brevi spazi pubblicitari. Secondo uno studio della Record Industry Association of America, i servizi di streaming musicale starebbero avendo un ruolo centrale nella rinascita dell’industria.
Il business dello streaming si avvia con decisione a superare i 2 miliardi di Dollari di entrate entro la fine di quest’anno, e più in generale, lo streaming in tutte le sue forme ha rappresentato quasi la metà delle entrate riportate durante la prima metà del 2016.Il CEO della RIAA, Recording Industry Association of America ( Associazione Americana dell’Industria Discografica ) Cary Sherman, ha evidenziato che siamo davanti a uno stravolgimento per un settore di mercato che fino a sei anni fa era focalizzato prevalentemente sui prodotti fisici.In media ci sono stati più di 18 milioni di abbonamenti sottoscritti durante la prima metà dell’anno, pertanto rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente un numero che ha superato tanto le vendite di CD che il download, a fronte di entrate dello streaming cresciute del 57% solo nella prima metà dell’anno, con un fatturato di ben 1,6 miliardi di Dollari. Le vendite dei supporti fisici sono calate del 14% nel corso del primo semestre dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2015. (Fonte dati 9to5mac).
Come vediamo, giri di affari astronomici se pensiamo che Spotify vanta più di 40 milioni di abbonati mentre un servizio con poco più di un anno di vita come Apple Music, 17milioni. Un conflitto all’ultimo sangue per contendersi quanti più ascoltatori sul pianeta, una parterre fatta di infinite realtà collegate a pc e sempre più a smartphone e tablet.Assetati di musica che si ritrovano a dissetarsi e ad avere allo stesso tempo continuamente sete.Un’ offerta che sempre più spesso nell’ultimo periodo si rivolge anche ai quei “famosi” audiofili. Ci sono realtà ristrette, come TIDAL dagli Stati Uniti o la francese Qobuz, che, badando alla qualità, propongono abbonamenti che offrono musica fino agli stessi requisiti del CD, con abbonamenti al doppio del prezzo di mercato e la promessa di iniziare streaming addirittura a qualità superiori. Qui si innescherebbe una discussione senza fine tra i fautori della cosiddetta musica HI RES e coloro che pensano sia assolutamente inutile, al pari della disputa tra Mp3 e CD.Effetto Placebo? Suggestione? Oppure un effettivo miglioramento percepito? Come al solito c’è un unico giudice in questa disputa: il nostro udito.Siamo alla fine del viaggio. Cosa possiamo aver perso dal passaggio dal fisico al digitale? A ognuno di noi le proprie valutazioni. Ovviamente ben diverse da generazione a generazione.I nativi digitali magari non avranno un granché da rimpiangere ma quelli come me qualcosa si. Non credo i CD, anzi sicuramente no, ma lo scricchiolio di una puntina su minuscoli solchi neri, a volte tenue, altre insopportabile, cui seguiva un suono caldo e denso di pathos.... Be’, che dire…?Si è perso il piacere di possedere dischi, di tenerli in libreria o sugli scaffali ben ordinati, catalogati e osservati di tanto in tanto quasi fossero un tesoro personale. La praticità della nuova era lascia il retrogusto di una nostalgia che non si può cancellare nella perfezione dei numeri.
Lascia un commento
NB: I commenti vengono approvati dalla redazione e in seguito pubblicati sul giornale, la tua email non verrà pubblicata.