LONDON FASHION WEEK

COLLEZIONI PRET-A-PORTER FALL-WINTER ‘19/’20

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All’ombra del Big Ben dal quindici al diciannove febbraio scorsi si è svolta la fashion week più eccentrica del fashion month, la London fashion week che insieme alla New York fashion week sono, diciamo la verità, una sorta di riscaldamento dei motori per le settimane vere e proprie della moda, quelle più blasonate dove si ritrova il gota del fashion internazionale, Milano e Parigi. All’inaugurazione della settimana della moda d’oltre Manica Caroline Rush, che da dieci anni è alla guida del British Fashion Council, ha dichiarato che il fashion system britannico non ha niente da temere dalla brexit e che Londra continuerà ad essere una città aperta, un crocevia di culture differenti che da sempre hanno reso la moda made in U.K. originale e provocatoria. Inoltre per il secondo anno la fashion week londinese si fregia di essere il baluardo del fur free e della sostenibilità ambientale proponendosi come modello per il resto del fashion system, come avanguardista per un nuovo business che di sicuro sarà quello vincente nell’immediato futuro, quello eco sostenibile. Il capo protagonista di quasi tutte le passerelle è stato, non il trench come verrebbe ovvio pensare, ma l’abito, quasi tutti i designer hanno puntato su questo capo facile da indossare, adattabile a qualsiasi stile, a qualsiasi età e che può essere indossato da mattina a sera variando gli accessori come notoriamente è uso fare dalle donne americane ed inglesi che una volta uscite da casa per andare al lavoro portano con se gli accessori da indossare dopo l’orario d’ufficio per ritrovarsi nei luoghi più cool dello svago. Come è noto la fashion week londinese non ha mai avuto per tratto distintivo quello della sobrietà come quella data da un abito e così in passerella si sono viste un’infinità di piume, paillettes, ruches, il tutto condito dal quel tocco kitsch tipico del fashion anglosassone. Se c’è una cosa dove la fashion week londinese eccelle è la promozione e il sostegno ai giovani designer che saranno il futuro del fashion system, incastrandoli perfettamente nel calendario tra i big e non relegandoli al primo o all’ultimo giorno quando i fashion editor e i buyers o non sono ancora arrivati o sono già andati via rincorrendo la prossima fashion week. Per loro è nato nel lontano duemila il Fashion East, un programma di supporto al quale i giovani designer possono chiedere un aiuto per presentare le proprie collezioni nella fashion week, un aiuto finanziario e un tutoraggio aziendale. Premi come l’International Woolmark Prize, solo per citarne il più importante, cercano di scovare, aiutare e premiare potenziali futuri geni del fashion system, che con la recente scomparsa di Karl Lagerfeld e l’età media dei grandi designer, queste iniziative sono più importanti che mai per tutto il comparto del fashion.

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Si parte con la sfilata della it-girl Alexa Chung che dopo essere stata l’icona fashion di designer e millennials di tutto il mondo, dopo essere stata considerata per molti anni una delle donne meglio vestite del pianeta si reiventa in veste di designer presentando la sua seconda collezione del brand che porta il suo nome. A ben guardare è stata una collezione non brutta, ma nemmeno bella, a tratti si percepisce la paura di oltrepassare la linea di comfort zone che un designer innovativo e con la voglia di sperimentare deve necessariamente oltrepassare. La palette colori non resta negli occhi di chi guarda dove prevale il total black senza nessun accento ad accostamenti insoliti che facciano battere il cuore. Una collezione deludente per tutte le fashion addicted che da una fashionista planetaria come la Chung si sarebbero aspettate molto di più. Anche per lei il fil rouge della collezione è il satin che prende vita attraverso i pantaloni, le gonne fluide dalla lunghezza midi e nei midi dress dalle spalle strutturate. Anche per la Chung le donne nel prossimo inverno useranno le calze anche sotto i pantaloni e nemmeno così velate.

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Chi ha vinto a mani basse in questa London fashion week, visto la penuria di belle collezioni e designer talentuosi, è stata la designer Victoria Beckham che ha deciso di tornare definitivamente a sfilare nella sua patria dopo la breve parentesi americana. Non è un caso che il party a cui nessuno ha voluto mancare è stato il suo per la presentazione del suo canale Youtube incoronandola la nuova regina del fashion system anglosassone. Anche in questa collezione si riconoscono i tratti distintivi della Beckham, l’amore per le linee essenziali, ma dal fitting impeccabile, le lunghezze midi o extra long, i volumi mai inutilmente esasperati, un accostamento di nuance dal forte impatto visivo che danno quel twist fashionista anche all’outfit più basico. Questa è la forza delle sue collezioni e quello che io più amo del suo talento stilistico che con buona pace dei suoi detrattori Victoria Beckham innegabilmente possiede. Sofisticati e very chic i binomi beige e rosso ciliegia o lilla e rosso ciliegia, le camicie che si indossano preferibilmente sotto i micro pull bon ton hanno colli alti e appuntiti. Tutte le fashion addicted sono impazzite per gli stivali effetto calza open toe che la designer ha realizzato in tutte le nuance della collezione per outfit monocromatici, ma anche in stampa animalier. Gli stivali effetto calza sono belli non solo per il loro alto tasso fashionista, ma perché possono essere dei grandi alleati delle gambe delle donne, primo perché celano gambe non sempre perfette, secondo perché se indossati della stessa nuance della gonna o dell’abito tendono, per effetto ottico, ad allungare le gambe. Ben riuscito il mix and match di stampe che rende questa collezione adatta ad una donna concettuale, che vuole essere chic e che non intende puntare su inutili eccessi per essere fashion.

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Il designer Riccardo Tisci è alla sua seconda collezione da quando è alla guida della maison più british che ci sia, Burberry, è stata una collezione che ha tentato di dimostrare come gli opposti possano attrarsi e possano vivere felicemente insieme. La sfilata si è svolta tra due sale della Tate Modern, una sala ultra moderna in cemento, impalcature e free climber intenti a scalare le pareti scrostate con in sottofondo di musica classica, l’altra sala in legno pregiato, pulita e perfetta con in sottofondo una musica rap a tutto volume. Questa imponente location è stata pensata per dimostrare come gli opposti, culturali, etnici e religiosi possono convivere plasmando le proprie eterogeneità senza scontentare nessuno. Questo è stato il fil rouge della collezione di Burberry che ha cercato di accontentare le esigenze dei clienti più agé fedeli allo stile british, ma anche le esigenze dei clienti più giovani e cosmopoliti, lo stesso designer al termine della sfilata ha dichiarato: “volevo celebrare come tutti questi elementi possano coesistere”. Per i puristi della maison c’è l’immancabile trench, la stampa iconica e l’amatissimo beige, per i millennials c’è l’oversize, la destrutturazione dei capi, le nuance fluo. Questo voler accontentare tutti senza convincere veramente nessuno, mi ha lasciato perplessa, è una collezione dove l’identità di Burberry ne esce “annacuata” e senza forti elementi identitari. Purtroppo anche la seconda collezione del designer italiano non convince, Riccardo Tisci deve ancora trovare la propria strada creativa e deve ancora decidere quale strada far intraprendere alla storica maison anglosassone.

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La designer Vivienne Westwood da sempre interprete della contestazione giovanile anglosassone anche questa volta, dopo alcuni anni di assenza dalla fashion week londinese, torna a lanciare attraverso gli abiti il suo messaggio di protesta che questa volta è rivolto alla salvaguardia ambientale del pianeta. La designer porta in passerella donne “normali” assieme alle modelle per un messaggio di inclusione rimarcando che si può essere belle e sfilare in passerella anche senza avere una shape perfetta. Al netto della condivisione per i messaggi lanciati dalla designer la sua collezione rimane kitsch, non indossabile salvo per alcuni capi estrapolati dal mood della Westwood come l’abito lingerie in satin che vedete in foto che crea un outfit perfetto con la giacca dalle spalle over che termina in vita (questo modello di giacca, spalle over, non sciancrata, che si ferma al punto vita promette di essere un must have del prossimo autunno-inverno). Io personalmente non ho mai amato il suo mood grunge che grida: “sono sciatta e me ne vanto!” Ritengo che il sessant’otto sia passato da un pezzo e trovo oggi alquanto banale veicolare una qual si voglia protesta attraverso canali demodé che i millennials non capiscono e non capiranno mai. Protestare sì, ma sempre con stile e buon gusto.

T. Velvet

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