LE SIBILLE
Dopo aver parlato degli Oracoli, ritengo sia opportuno dare uno sguardo anche alle SIBILLE, le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Pur avendo attraversato i millenni, non soltanto sono sopravvissute ma si sono “adattate” alle differenze culturali, etniche e psicologiche delle popolazioni con le quali sono venute in contatto: creature affascinanti che ci raccontano, a modo loro, un importante spaccato di storia.
Innanzitutto, cosa significa la parola “Sibilla”?
Come quasi sempre in questi casi, il termine è piuttosto controverso: Varrone, letterato e militare romano (+ 27 a.C.) fa derivare questa parola dal greco sioù-boùllan, ovvero "la deliberazione del dio". Conseguentemente, “Sibilla” significherebbe "manifestazione della volontà divina".
Secondo altri, invece, questa parola avrebbe il significato di "vergine nera", sottolineando il fatto che la profetessa - rigorosamente una vergine - pronunciava i suoi vaticini in un luogo nascosto e angusto.
Ad ogni modo, di una cosa siamo sicuri: le Sibille erano delle vergini ispirate dalla divinità - generalmente il dio Apollo - il cui ruolo era quello di predire il futuro e dare responsi, anche se in forma velata e misteriosa.
La loro attività profetica si espletava in stato di trance ed erano rispettate e venerate da tutto il popolo per la loro capacità di sciogliere enigmi che nessun altro era in grado di risolvere. I loro responsi, numerosi e disordinati come le foglie che utilizzavano per profetizzare, lasciavano spazio alle illusioni - se non alle fantasie - dei consultanti, che li interpretavano a loro piacimento. Inoltre era uso delle Sibille trascrivere ogni loro oracolo, realizzando dei veri e propri libri.
Molte di loro sono state personaggi storicamente esistiti mentre altre erano figure mitologiche nate dalle viscere della cultura greca e romana: i primi a parlarne furono Eraclito di Efeso e Platone.
“Apollo e la Sibilla Cumana” - Giovanni Domenico Cerrini
Originariamente la Sibilla era un nome proprio di persona ma col tempo è divenuto il termine con il quale si indicava un ruolo particolare; questo perché attorno alle Sibille iniziarono a sorgere luoghi sacri all’interno dei quali esercitavano i loro vaticini. Si rese così necessario affiancare al nome ormai generalizzato di Sibilla, un altro nome per poterle distinguere l’una dall’altra. Generalmente si adottò il nome del luogo nel quale esercitavano.
Sempre il letterato romano Marco Terenzio Varrone, enumera ben 10 Sibille famose: Persica, Libica, Delfica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontica, Frigia e Tiburtina.
Che fossero delle vergini è cosa certa, meno certa è che fossero giovani, anzi generalmente sono rappresentate come donne molto anziane, la cui missione di intermediarie tra l’uomo e gli dei poteva protrarsi ininterrottamente per secoli.
Inoltre, la verginità della Sibilla non escludeva la gravidanza: ella si univa con il dio Apollo, il quale la ingravidava con l’oracolo che avrebbe poi “partorito” all’umanità. Questo vi ricorda qualcosa?
In un certo senso la Sibilla è molto simile alla Pizia dell’oracolo di Delfi, anche se esistono delle differenze sostanziali, che enumererò più avanti.
Grazie allo spostamento della civiltà ionica nel bacino del Mediterraneo, la figura della Sibilla iniziò a nascere e moltiplicarsi in altre culture, fino a raggiungere quella cristiana: Lattanzio, scrittore romano di fede cristiana (+ 317 d.C.) riconosceva sì l’ispirazione delle Sibille ma la attribuiva al “vero Dio”, cioè a Gesù Cristo.
Ma prima di addentrarci in questi meandri, vediamo quali sono le somiglianze e le differenze tra le Sibille e gli Oracoli.
“Sibilla Delfica” di Michelangelo - Cappella Sistina
Nel mondo antico molte divinità si affiancavano, oltre che di sacerdoti, di pitonesse e indovini che parlassero a loro nome pronunziando profezie ed oracoli: la Pizia delfica è il caso più conosciuto.
Ma prima di questi personaggi, è credenza abbiano visto la luce creature - esclusivamente di sesso femminile - in grado di interpretare il verbo divino: si tratta appunto delle Sibille. Queste sacre donne vivevano in luoghi ritirati ed angusti e vaticinavano possedute da una frenesia divina che le sconvolgeva a tal punto che i loro responsi erano spesso catastrofici e angosciosi. Nella sua prima opera, "le Bucoliche”, Virgilio definisce la Sibilla “horrenda", termine che molto probabilmente indica lo stato di invasamento durante l’estasi.
Sia la Pizia che la Sibilla nascono dal culto di Apollo ma la loro missione viene praticata in maniera differente.
La Pizia, che parlava a nome della divinità, è legata ad un luogo fisico e i suoi oracoli vengono emessi solo in un certo periodo dell’anno.
Il responso, che viene in seguito interpretato da un collegio di sacerdoti, scaturisce dall’inalazione di fumi provenienti dalle fenditure della roccia e dalla masticazione di foglie di alloro, che la inducono in uno stato di trance. Inoltre veniva richiesto al consultante di eseguire tutta una serie di rituali, tra cui sacrifici animali e offerte preziose.
Come la Pizia, anche la Sibilla profetizzava con sofferenza ma non vi erano riti, né sacrifici, né donazioni né tantomeno sacerdoti che interpretavano i suoi vaticini. Non era legata ad alcun santuario e parlava in prima persona rivelando il futuro anche senza essere interrogata.
La Sibilla, pur essendo una vergine, è considera la “madre comune”, in quanto sempre gravida della “parola di dio”.
“Sibilla Cumana” di Michelangelo - Cappella Sistina
Famosa e degna di menzione è la Sibilla Cumana, a cui viene attribuita la maternità dei Libri Sibillini. Questi Oracoli - testi sacri di origine etrusca - venivano consultati solo in caso di pericolo imminente o di catastrofi.
Chi è la Sibilla Cumana?
La leggenda narra che il dio Apollo le promise di esaudire qualunque suo desiderio in cambio del suo amore; ella accettò, chiedendo in cambio di poter vivere tanti anni quanti granelli di sabbia poteva contenere nella sua mano. Dimenticò tuttavia di precisare che, incluso nel “pacchetto”, ci fosse anche l’eterna giovinezza, cosa che Apollo le offrì in cambio della sua verginità. Al suo rifiuto, Apollo la lasciò invecchiare fino a che non assunse le raggrinzite sembianze di una cicala e in seguito la rinchiuse in una gabbia che appese nel suo tempio di Cuma. La vergine Sibilla divenne così “pura voce”.
I LIBRI SIBILLINI avevano un potere enorme ma non erano né di facile lettura né tantomeno potevano essere consultati da chicchessia o in qualunque momento. Solo gli esperti del sacro potevano accedervi, previa iniziazione, e questo solo ed esclusivamente in circostanze estremamente gravi o urgenti.
A partire dal II secolo d.C., invece, prese piede una nuova interpretazione dei vaticini delle Sibille che, da quel momento, furono visti come un annuncio della venuta del Messia e del suo ritorno alla fin dei tempi.
Sibilla Tiburtina o Albunea
Nella sua poesia bucolica, Virgilio annuncia l’avvento di un “puer” e di una nuova era, profetizzati dalla Sibilla di Cuma. L’imperatore Costantino, quattro secoli dopo, “cristianizzò” questi versi identificando il bambino profetizzato dalla Sibilla con Gesù Cristo. La Sibilla stessa fu da questo momento in poi raffigurata con le sembianze della Vergine Maria.
La Sibilla Tiburtina, è una delle delle Sibille più famose proprio per aver profetizzato la nascita di Gesù Cristo.
La leggenda narra che l’imperatore Ottaviano Augusto, essendo stato osannato con l’appellativo di “Divus”, si rivolse ad Albunea chiedendole se poteva farsi venerare come un dio. Dopo aver sottoposto l’Imperatore ad un digiuno di tre giorni, la Sibilla profetizzò: “NASCETUR CHRISTUS IN BETHLEM, ANNUNTIABITUR IN NAZARETH, REGNANTE TAURO PACIFICO FUNATORE QUIETIS. OH FELIX ILLA MULIER CUIUS UBERA IPSUM LACTABUNT”. All’udire queste parole, l’Imperatore proibì di chiamarlo "divus" e fece erigere un altare sul colle capitolino che diede in seguito il nome alla chiesa detta appunto Ara Coeli (altare del cielo).
Le Sibille continuarono ad esercitare la loro funzione fino al 392 d.C. quando fu proibita dall’Imperatore romano Teodosio I, dopo aver reso il Cristianesimo religione di stato nel 380 d.C.
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