LE PROVE DIMENTICATE DELL’EVOLUZIONE: GLI OOPARTS. PARTE II

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L’evoluzione sembra procedere per linee guida già prestabilite, sin da quando Darwin formulò la sua teoria più famosa. Teoria che anche lui stesso non definiva come assolutamente esatta, in quanto mancava sempre qualche particolare, qualche collegamento. Mancanze di cui i suoi seguaci non tengono conto, come se un ragioniere non tenesse conto di qualche decimale, mentre una cosa è certa, come affermò Einstein “Dio non gioca a dadi”. Questo non significa che contestare la teoria evoluzionistica sia proficuo o possa comunque risolvere i misteri che da sempre esistono, relativamente alle specie viventi. Dall’anello mancante all’identità di Lucy, la scienza ancora si muove nella nebbia, seguendo ipotesi razionali, dimenticando spesso di dare spazio a ciò che, come diceva Sherlok Holmes, per quanto improbabile deve comunque essere la realtà. Ad esempio, ancora oggi, non si conosce nulla sul muro di Rockwall, sebbene sia passato oltre un secolo dalla sua scoperta. Tutto iniziò nel 1850, vicino Dallas, quando una famiglia si trasferì in una cittadina per iniziare una nuova vita. I Wade, questo il nome della famiglia, scoprirono una parete di roccia che scendeva molto sotto il terreno. Una struttura che sembrava artificiale, un vero e proprio muro, con addirittura tracce di finestre. Una scoperta simile gettò caos e scompiglio nella comunità scientifica, anche perché stando alle indagini geologiche, la struttura poteva avere oltre 20.000 anni, per essere prudenti.

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In seguito altre ricerche notarono tracce di magnetizzazione uniforme del materiale, come se le rocce si fossero ammassate assieme, dando l’idea di un muro, confutando pertanto le speculazioni fatte fino ad allora. Ancora oggi però permangono dubbi sulla struttura, tra evoluzionisti e sognatori. Ma Rockwall non è l’unico sito archeologico che crea problemi ai puristi dell’evoluzione, o per meglio dire, non è l’unico oggetto che suscita perplessità. Esistono infatti molti manufatti che, perlomeno così come vengono descritti, non dovrebbero o non potrebbero esistere. Si tratta nei cosiddetti OOPART, out of place artifacts, oggetti fuori posto e fuori dal tempo, e che danno adito alle teorie più disparate, dagli extraterrestri alle razze che prima abitavano il nostro pianeta. Tra questi oggetti, i più discussi e controversi sono le cosiddette Lampade di Dendera. Su alcuni bassorilievi rinvenuti in un tempio a Dendera, in Egitto, compaiono infatti alcuni strani coni, con all’interno ciò che sembra essere un lampo elettrico. Queste immagini hanno scatenato dibattiti a volte feroci, e dove molti hanno visto la fantasia al potere altri invece hanno provato ad evidenziare le similitudini tra i moderni accumulatori e quelle figure. Discussione ancora aperta ovviamente.

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E come le lampade di Dendera, anche la Pila di Bagdad. Questo manufatto venne rinvenuto nel 1936 a Khuyut Rabbou’a, vicino Bagdad. Si trattava di una specie di anfora ovoidale in terracotta, impermeabilizzata e un cilindro di rame nell’imboccatura. Questo oggetto venne classificato inizialmente come oggetto di culto, ma poi si scoprì che in realtà si trattava di una primitiva batteria elettrica. Anche in questo caso teorici dell’impossibili contro rigidi assertori dell’evoluzione, ipotesi, speculazioni, ma nessuna certezza. E forse è questo il meccanismo che ci impedisce di trovare risposte, la certezza. Noi puntiamo in una sola direzione per sostenere le nostre ipotesi, fantascientifiche o meno, precludendoci altre strade, un po’ come succede per la ricerca di alcune malattie. Si cerca una cosa e non si vede che si tratta di altro. La nostra storia non è stata scritta con inchiostro indelebile, ed ogni rivelazione può portare ad una consapevolezza. E forse, solo forse, un domani scopriremo che Lucy era una di noi.

Paolo Varese

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