LA VOCE DIVENTATA LEGGENDA
Recensione del non riuscito biopic su Whitney Houston

Sono trascorsi ormai più di dieci anni da quell’11 febbraio 2012, quando Whitney Houston venne ritrovata senza vita sul fondo della vasca del bagno della sua camera del Beverly Hotel. Al culmine di una carriera costellata di record e di una vita privata tormentata se ne andava The Voice. Ed entrambi gli aspetti sono stati narrati, con risultati alterni e discutibili, nel nuovo biopic “Whitney – Una voce diventata leggenda”. Affrontiamo subito l’elefante nella stanza: il film è una grande occasione persa, un prodotto inferiore ai fratelli dedicati, ad esempio, ai Queen o Elton John. Anthony McCarten, sceneggiatore proprio di “Bohemian Rhapsody”, manca il colpo, e né le canzoni né le scelte registiche di Kasi Lemmons riescono a salvare la pellicola. La narrazione è il grande punto debole del film, con due ore e mezza di durata che alla fine non lasciano quanto dovuto a chi guarda. I salti temporali, pur accompagnati dalle date di riferimento, confondono, e gli episodi della vita di Whitney sembrano collegati da un filo conduttore abbastanza labile. Ovvero: i passaggi dagli esordi all’ascesa e infine al declino sembrano susseguirsi più ex abrupto che in maniera consequenziale. Il titolo italiano, poi, non aiuta per nulla a capire le intenzioni dei produttori: quello originale era “I Wanna Dance With Somebody”, lo stesso di una delle canzoni più celebri della cantante, ed esprimeva appieno il poco approfondito desiderio di libertà della protagonista del film.
Un titolo più adatto per l’adattamento italico sarebbe stato quello scelto per questo articolo. Inoltre, nessuno dei due grandi aspetti succitati viene approfondito a dovere, rimanendo entrambi sospesi nel non detto. Paradossalmente, quindi, questo film biografico riesce nell’impresa di rievocare nostalgia ed essere abbastanza inconcludente. Il lato artistico viene mostrato quel tanto che basta a raccontare l’esplosione del successo con la performance dell’inno americano al Super Bowl del 1991, facendo poi ricadere la Houston nel macchiettistico essere una star viziata. Vita romanzata, certo, ma a fronte di altri personaggi non sviluppati a dovere il tutto si appiattisce oltre misura. Perché anche le figure del padre e dell’ex marito Bobby Brown risultato, alla fine, il classico padre scialacquatore e lo stereotipato criminale mancato. Anche l’amica intima Robyn Crawford risulta presente a targhe alterne nella narrazione, così come la madre e l’importante figura di Clive Davis. Dal punto di vista più della persona e meno del personaggio, vengono misteriosamente epurati dalla trama le cause psicologiche scatenanti dell’abuso di droghe e la famosa causa da 100 milioni tra Whitney Houston e il padre.
Con tanto di un paio di elementi aggiunti ex novo a favor di trama, ma a conti fatti completamente inutili, diventa difficile consigliare la visione a chi non è fan di The Voice; perché, se si vuole far conoscere chi è stata Whitney, ci sono prodotti migliori di cui usufruire. Di contro, tuttavia, ci sono due elementi che vengono ricordati con piacere. Senza girarci intorno, sono state prese le registrazioni originali della Houston, e sono ovviamente una gioia per le orecchie. A chi deciderà di vedere il film il gusto di scoprire quali grandi capolavori sono stati inclusi per questa pellicola. Non tutte le performance, però, provengono dagli archivi della cantante: le primissime sono frutto della voce di Naomi Ackie, scelta per il ruolo più importante del lungometraggio. La trentenne britannica, complice una somiglianza fisica con il personaggio che è stata chiamata ad interpretare, si cala bene nella parte; un gustoso retroscena svela che sul set ha cantato per davvero, venendo poi le scene montate con la voce di Whitney Houston, in modo tale da rendere credibile tutta la sua performance attoriale. Ma la parte del leone, nonostante una già citata presenza più ridotta del dovuto, è ad appannaggio di Stanley Tucci: l’interprete del leggendario produttore Clive Davis riesce a portare in scena il personaggio più umano di tutti, passando da discografico interessato al lato meramente musicale a mentore per WH. In definitiva, dunque, un biopic che non raccoglie più di un 5 in pagella.
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