LA VERITA’ CHE UCCIDE

DAPHNE GALIZIA COME GIANCARLO SIANI

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Neanche la denuncia presentata quindici giorni fa alla polizia maltese ha potuto evitarle una morte fin troppo annunciata. Aveva invano tentato di difendersi dalle minacce, sempre più spinte, di chi aveva interesse nell’occultare verità scomode; ma, ben presto, le parole si sono concretizzate nel vile attentato che le ha sottratto la vita, nel primo pomeriggio dello scorso lunedì. E’ morta così Daphne Caruana Galizia, 53 anni, giornalista maltese che da anni cercava di far luce sullo scandalo Panama Paper. Mentre si trovava nella sua auto, poco lontano dalla sua abitazione di Bidnija (Malta), sarebbe stata travolta da un’esplosione, la cui origine non è stata ancora identificata. La sua Peugeot 208 è stata sbalzata fuori strada, ormai ridotta a una carcassa fumante. La giornalista è morta sul colpo, sfigurata dalla deflagrazione: “era irriconoscibile” avrebbero riportato gli agenti giunti sul posto. A dare l’allarme uno dei suoi tre figli, Matthew, che dalla loro casa avrebbe udito l’improvviso boato. Come sua madre, il ragazzo è membro del Consorzio Internazionale di Giornalismo Investigativo: anche lui ha contribuito al fascicolo Panama Papers, che ha regalato a lui e al suo team il premio Pulitzer 2017. L’inchiesta, che ha visto coinvolti ben 140 personaggi famosi (tra cui anche 12 personalità politiche tra re, presidenti e primi ministri), è frutto di un’attenta analisi di documenti segreti provenienti da 30 Paesi del mondo, circa 11,5 milioni ogni anno.

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Nelle prime ore successive all’omicidio, si sono accesi i riflettori sul premier laburista Joseph Muscat, che Daphne aveva pesantemente attaccato sia sul suo blog indipendente, il Running Commentary, sia sulle pagine delle testate con cui collaborava. Già nel 2016, sempre nell’ambito dell’inchiesta Panama Papers, la giornalista aveva fatto emergere le presunte colpevolezze del governo: pare che due società off-shore risultassero intestate a Konrad Mizzi, ministro dell’Energia, e Keith Schembri, capo dello staff del Primo Ministro. Ma uno scandalo ben più grave ha travolto la famiglia Muscat lo scorso aprile: con le sue analisi, Daphne era arrivata a scoprire che la proprietaria di Engrant - compagnia panamense con sede alle Isole Vergini, che fa parte delle off-shore incriminate – era proprio la moglie del premier, Michelle. Erano emersi anche strani collegamenti con la società Al Sahra FZCO, situata a Dubai, che avrebbe donato milioni di dollari alla Engrant. Al Sahra FZCO appartiene ufficialmente alla figlia del presidente azero Ilham Aliyev, con cui Malta stava stringendo accordi in campo energetico: una curiosa coincidenza che non è sfuggita alla reporter, e che le è costata l’appellativo di “donna WikiLeaks”. Celebre il filmato che ritrae il presidente e proprietario della Pilatus Bank, Seyed Ali Sadr Hasheminejad, mentre esce dalla porta secondaria dell’istituto di credito trasportando due vistose valigie, forse contenenti i fascicoli relativi ai traffici illeciti delle varie società off-shore.

Le scoperte della Galizia, com’è facile immaginare, fecero scalpore a Malta, portando in breve tempo alla caduta del governo Muscat. Il premier riuscì a riacquistare la sua carica nelle elezioni successive, ma Daphne non si lasciò scoraggiare e proseguì la sua coraggiosa ricerca della verità, che ha portato avanti fino agli ultimi istanti di vita. Nell’ultimo articolo, caricato sul suo blog appena mezz’ora prima dell’attentato, scriveva angosciata: “Ci sono criminali ovunque, la situazione è disperata”.

“Tutti sanno quanto Galizia fosse critica nei miei confronti, ma nessuno può giustificare questo atto barbaro. Non riposerò finché non avremo giustizia” ha commentato con fermezza Joseph Muscat, mettendo a tacere le voci che lo vorrebbero colpevole (o meglio, mandante) dell’omicidio. Il Primo Ministro ha richiesto il supporto dell’Fbi statunitense per far luce sull’attentato. La famiglia di Daphne, tuttavia, sembra già avere dubbi in merito all’affidabilità delle indagini, affidate al magistrato Consuelo Scerri Herrera, che fu “titolare di procedimenti giudiziari intentati contro la giornalista a causa dei suoi articoli”. Una bizzarra coincidenza che infittisce il mistero sulla morte della giornalista. Quali altre terribili rivelazioni ci attendono?

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La tragica morte di Daphne, purtroppo, non costituisce un caso isolato. Prima di lei, tanti altri hanno perso la vita da valorosi guerrieri al servizio di un verità pura e limpida, che prescinde da qualunque interesse personale, persino dalla salvaguardia della propria stessa vita. Impossibile dimenticare la vicenda che coinvolse e uccise barbaramente Ilaria Alpi, reporter del Tg3, mentre indagava sui traffici illeciti di armi e rifiuti tossici in Somalia, così come anche l’assassinio di Giancarlo Siani, ancora più affine nelle modalità a quello della giornalista maltese. Quest’ultimo, infatti, perse la vita a bordo della propria Citroen, raggiunto da una pioggia di proiettili alla testa. 10 colpi di Beretta misero a tacere per sempre quella voce che tanto aveva da svelare sulle attività illecite della camorra, in particolare sulla gestione degli appalti pubblici a seguito del terremoto che nel 1980 colpì l’Irpinia. Due vite parallele, quelle di Daphne e Giancarlo, terminate con un macabro comune denominatore: entrambi sono morti da eroi nella propria terra natale, in una sorta di “guerra civile” senza esclusione di colpi. Se qualche spietato conterraneo ha voluto metter loro il bavaglio, il mondo intero ha il dovere di ricordarli, di onorare il loro modello di vita e di giornalismo seguendo la strada di quella verità che, seppur sfuggente, non tarda mai a rivelarsi.

Federica Marocchino

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