LA PAGINA DELLA CULTURA NEI DIALETTI ITALIANI - II^
Aspettando Natale in… Piemonte

Prima della cristianizzazione e fino al III sec. d.C. in Piemonte in occasione del solstizio d’inverno si rendeva onore al Sole e a Mitra, il dio introdotto nella mitologia dai legionari romani. I festeggiamenti erano all’insegna del tipico rituale pagano, caratterizzato dagli eccessi di libagioni e licenziosità, in minima misura sopravvissuti anche dopo la cristianizzazione.
Con la diffusione del cristianesimo i Presepi e le sacre rappresentazioni per quanto radicati hanno finito con il convivere, a partire dal V secolo, con le tante tradizioni presenti nel territorio.
Qualche curiosità
Era usanza in questo periodo trarre auspici dai prodotti della natura: l’interno di una mela nel Vercellese, l’albume dell’uovo in un recipiente nel Torinese. In Torino città, al mercato di corso Racconigi gli agnelli portati dai pastori venivano incoronati con ghirlande colorate mentre, nelle chiese, dopo la messa di mezzanotte, si era soliti bere vin brulé profumato di spezie.
Una originale mescolanza di sacro e profano vigeva nelle comunità alessandrine. La Messa, recitata in dialetto alessandrino, rievocava la storia di poveri pastori alessandrini che andavano ad adorare Gesù Bambino, con frequenti riferimenti satirici alla realtà contemporanea tra scherzi e lazzi.
Nel Monferrato, invece, ogni famiglia andava in chiesa a mezzanotte lasciando socchiusa la finestra per permettere alla Sacra Famiglia di entrare in casa a riposarsi. Al rientro in casa il bimbo più piccolo della famiglia deponeva nella mangiatoia del Presepe la statuina di Gesù Bambino tra Giuseppe e Maria.
Le altre statuine, a cominciare da pastori e artigiani, venivano, invece, aggiunte nei giorni successivi, fino al 6 gennaio, giorno in cui arrivavano i re Magi. Anche nella ritualità piemontese compare Gelindo, il saggio buontempone che avevamo incontrato in Valle d’Aosta, con gli opportuni adeguamenti al contesto. In Piemonte Gelindo si esprime nel dialetto del posto. Tradizionale del Piemonte è anche il vischio, che cresce spontaneo in molte aree ed è simbolo di buon augurio sotto le feste natalizie.
I dodici giorni prima dell’Epifania rappresentando i mesi dell’anno in arrivo erano importanti perché li si considerava per le previsioni metereologiche. Nel Biellese l’olio dei lumi della Messa di Natale lo si conservava perché di buon auspicio. Nel Cuneese l’uomo più anziano della famiglia a Natale accendeva una candela e proclamava le previsioni per il raccolto. La festa era grande se la fiamma si piegava perché il vaticinio sarebbe stato favorevole portando abbondanza.
Prima della Messa si eseguivano musiche e canzoni, originariamente riservati al clero e nel tempo anche ai laici. I canti natalizi, “nouvet”, propri della tradizione popolare della provincia di Torino e di Cuneo, nonché in Provenza, nella valle del Rodano e nella zona dell’Argentera, cominciarono ad essere raccolti nel 17° secolo insieme alle cosiddette pastorali o “pastorelle” (simili alle “carols” inglesi, ai “Weihnachtslieder” tedeschi e alle “colinde” romene).
Er pan ’d Nadal
Tra le poesie dialettali ho scelto per voi Er pan’d Nadal perché celebra la sacralitàdel pane. Il pane, nella cultura contadina di un tempo, non possiede solo un’ importanza alimentare. Il pane aveva la valenza simbolica di rappresentare il sigillo di una cultura, simbolo del sudore e del lavoro dell’uomo. Mancare di rispetto al pane, quindi, era un sacrilegio.
Tale considerazione era talmente profonda da giungere ad attribuire al pane di Natale proprietà magico-terapeutiche. Un pane bianco, in apparenza uguale a quello prodotto nelle normali cotture di panificazione, per il fatto di essere stato confezionato o consumato nel giorno di Natale si caricava di virtù straordinarie. Non diventava raffermo e non ammuffiva, anche se lo si conservava per tutto l’anno, perchè lo si metteva da parte come una reliquia (spezzato, in un sacchetto speciale) per usarlo come antidoto a vari malanni: principalmente occorsi agli animali della stalla (occlusione intestinale, indigestione di una mucca ecc.) ma anche alle persone (problemi gastro-intestinali lisca di pesce in gola ecc.).
Un pane riverito, dunque tant cme l’òstia…, diventava magico. Nel caso di morti drammatiche, quando d’estate le acque del fiume Tanaro si portavano via qualche giovane vita e non si riusciva a trovare il corpo dell’annegato si prendeva un pezzo di pane di Natale, lo si metteva su una tafferia e lo si faceva scivolare sulle acque del fiume: «dove si fermava il pane là c’era il morto».
Nella lirica che vi propongo, giocata su più registri, riconoscerete le qualità del pane di Natale.
Cul ch’à t’amprèiz tu mari t’al zmèintji pì
mustrà er bèin e u gist s’a t’à cuncepì
rispetè i viv e i mòrt, i vègg, l’izansa
mustrà u rispèt der pan, du tòc che ’r vansa.
Parlè ’d cèrt ròbi smeja ’d prufanèji
squatè ’d j’òs ’d mòrt, pià ’n man, girèj, stidièji
ma j’ è ’mnì i tèimp da fèl, tròp mond cambeia
’t sai pì er bèin e ’r mà, l’òm ’uà ch’u seia.
Queinta Gianinu ch’i tnivu ’r pan ’d Nadal
pr’er bìastji, tant cme l’òstia, der pan nurmal
ra mica andava ruta prim ’d lughèra
stacia ans ra taura, cou diznè, guai pièra.
«Tucli nèinta ch’l’è ’r pan ’d Nadal» it divu
Medèu ’s viza sé, cme ch’ij credivu
tèimp dl’autra uèra ancur, pan bianc, tentava
mangiavu l’auter nèi, ul rispetava.
Sèinti parlè ’d rispèt cuicòz t’ampari
Gianinu vian an mèint in autr’afari
’d quand ch’ j’era ar mond ancur su ’msìa e su nòna
chil na maznà, pià ’r lurdi se ’r babòna.
«Er pan an taura er va puzà paricc!»
Con garb, u sut a suta, sèimp dau lindricc
der vòti lur maznà is la riziavu
l’è anuà che ’tur ra taura i zgiaf rivavu.
Cul pan ’d Nadal queintu ch’us cunservava
diz ch’un mufiva nèint, ’mnì sec dirava
d’acòrdi ch’il tnisu au sicc, vùa cunision
drubavu se ra bìastia fa andigistion.
Il pane di Natale
Quello che ti ha insegnato tua madre non lo scordi più
insegnato il bene e il giusto se ti ha concepito
rispettare i vivi e morti, i vecchi, l’usanza
insegnare il rispetto del pane, del pezzo che avanza.
Parlare di certe cose sembra di profanarle
scoprire delle ossa di morto, prenderle in mano, girarle, studiarle
ma è venuto il tempo di farlo, troppo mondo cambia
non sai più il bene e il male, l’uomo dove sia.
Racconta Gianino che conservavano il pane di Natale
per le bestie, tanto come l’ostia, del pane normale
la micca andava rotta prima di riporla
rimasta sulla tavola, col desinare, guai a prenderla.
«Non toccarlo che è il pane di Natale» ti dicevano
Medeo si ricorda sì, come gli credevano
tempo dell’altra guerra ancora, pane bianco, tentava
mangiavano l’altro nero, lo rispettava.
A sentire parlare di rispetto qualcosa impari
a Gianino torna alla mente un altro affare
di quando erano al mondo ancora suo nonno e sua nonna
lui un bambino, prende sberle se piagnucola.
«Il pane in tavola va posato così!»
Con garbo, il sotto sotto, sempre dalla parte dritta
a volte loro bambini se lo litigavano
è dove intorno al tavolo gli schiaffi arrivavano.
Quel pane di Natale raccontano che si conservava
dicono che non ammuffiva, divenuto secco durava
d’accordo che lo tenessero all’asciutto, ci vuole cognizione
lo adoperavano se la bestia fa indigestione.
Sulle tavole piemontesi oggi.
Sulle tavole piemontesi a Natale non possono mancare: Insalata di carne cruda all’albese;
Peperoni in bagna cauda (salsa a base di olio, aglio e acciughe); Acciughe al verde;
Flan del cardo; Tortino al porro; Agnolotti al plin, con sugo d’arrosto;
Risotto con radicchio o al barolo; Arrosto di cappone; Misto di bollito con salse, carote e patate al forno, torta gianduia e zabaione e torrone d’Alba.
Fonte: ISRAL – Centro di cultura popolare “Giuseppe Ferraro” Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile – IRCRES-CNR Fame e Abbondanza in cinquantacinque poesie di Giovanni Rapetti
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