LA PAGINA DELLA CULTURA NEI DIALETTI ITALIANI - XII^

Aspettando il Natale…in Umbria

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L’Umbria, a motivo della peculiarità del territorio in questo periodo prevalentemente innevato, si rivela nel tempo di Natale come naturale scenario per comunicare l’intensa spiritualità della Natività.

Le contrade dei borghi e delle città, custodi di antiche tradizioni, si atteggiano a solenni testimoni di un collettivo sentire antico destinato a restare incontaminato dal tempo che scorre.

Dominante è, ovunque, la rievocazione della Notte Santa attraverso l’espressione presepiale che, nella suggestività degli ambienti, assume note di enorme intensità.

Altrettanto diffusa, nelle celebrazioni rituali, è la presenza del fuoco, retaggio del paganesimo che in questa Regione assume marcati contenuti religiosi.

Sacro e profano tra ceppi e falò

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In Dicembre, con l’approssimarsi dei giorni più corti dell’anno i contadini dovevano scongiurare che il buio avesse il sopravvento sulla luce, la notte sul giorno, il gelo sul caldo. Per questo motivo esorcizzavano con grandi fuochi le lunghe tenebre delle giornate più brevi dell’anno.

Il fuoco diveniva, dunque, l’elemento arcano in cui la ritualità negativizzava gli effetti distruttivi a vantaggio dei contenuti purificativi.

Il rito del ceppo, antesignano del fuoco solstiziale paleocristiano, era diffuso particolarmente nel contado della Valnerina dove era tradizionalmente associato alla fertilità ed all’abbondanza dalla comunità rurale, che anelava buoni auspici sia dal ceppo ardente sul quale deponeva gli alimenti della parca mensa contadina e sia dalla virtù fecondante ed apotropaica annessa alla cenere. Si era, inoltre, soliti spargere ai piedi degli alberi da frutta i carboni residuati dal ceppo natalizio nella certezza che avessero il potere taumaturgico di proteggere la casa dalla folgore.

Il cippu, proveniente da un albero di quercia, lo si poneva nel camino. La scelta del tipo di albero non era casuale: il nome latino della quercia, robur, esprime l’idea di forza, elemento da sempre considerato di vitale importanza per l’umanità.

Nelle celebrazioni natalizie delle origini alla quercia si associavano, pertanto, i fausti significati, forieri di abbondanza e di lunga vita. La resistenza di tale tipo di legno all’azione distruttiva del fuoco simbolicamente esprimeva, dunque, la forza che si confidava potesse avere il nucleo famigliare nell’affrontare e superare le avversità esistenziali.

Negli auspici di poter accendere, in occasione del Natale successivo, un nuovo fuoco trovavano fondamento le formule propiziatorie declamate dal paterfamilias in presenza della comunità familiare, interamente coivolta nella preghiera. Il ruolo assunto dall’uomo capofamiglia era infungibile: questi incarnava la paternità (che l’albero della quercia, nel suo essere consacrazione al padre degli dei, oggettivava).

Il rito del ceppo ha perso nel tempo la connotazione delle origini per divenire, già nella seconda metà del secolo scorso, uno spettacolo per la gioia dei bambini: lu ‘nfalu.

Divenne consuetudine del pomeriggio della Vigilia di Natale, a Ponte di Cerreto, che i bambini andassero di casa in casa e, brandendo un mazzuolo di legno, battessero sul ciocco di Natale affinchè, sotto i colpi, si sprigionassero nugoli di scintille. Lo sprizzare delle scintille dal ceppo, che tanto divertiva i piccoli, veniva interpretato come auspicio di prosperità e ricchezza. Si riteneva, infatti, che nel nuovo anno al numero delle scintille avrebbe corrisposto quello di vitelli, agnelli, porcellini e capretti.

Un retaggio suggestivo della sacralità del fuoco lo si rivive a Poggiodomo e Mucciafora, dove annualmente si svolgono i Foconi delle Vigilia.

In Valnerina, la tradizione si tramanda nei Focaracci o Fuochi della Venuta: un momento di grande partecipazione popolare per commemorare la Traslazione della Santa Casa della Vergine di Nazareth, avvenuta 1294 quando, in occasione dell’occupazione della città da parte dei musulmani, gli angeli dovettero intervenire per condurre in volo la costruzione fino a Recanati. Nella memoria collettiva i fuochi accesi simboleggiano il rischiarare le tenebre per illuminare il cammino degli angeli.

E sempre in onore del sacro fuoco si rinnova annualmente il Focone di Monteleone nel rituale del Farro di S. Nicola (Patrono del paese),volta a rievocare quando S. Nicola, addolorato per lo stato di indigenza degli abitanti di Monteleone, avrebbe donato il farro per sfamare i poveri.

Grandi falò illuminano anche Norcia con Li Fauni (o Festa delle Campane) che si svolge la sera tra il 9 e il 10 dicembre, quando tutta la città e le frazioni sono illuminate da pire di ginepro infuocate. In tale occasione grandi falò, alti anche 10 metri, illuminano la notte, circondati da un banchetto semplice ma genuino, a base di salsicce e vino caldo. Nel borgo nursino questa tradizione è ancora molto vissuta. Infatti, ognuna delle sette guaite (i rioni), uno per ogni porta muraria, nomina i rappresentanti che danno vita ai Faoni cimentandosi in un accanito agone dove trionfa il Faone più grande il fuoco più bello o il banchetto più ricco. Il coinvolgimento collettivo conferisce all’evento un dilagante folclore in cui ciascuno diviene protagonista. Improvvisati stornelli al suono degli organetti, l’allegria spensierata innescata da qualche dose aggiuntiva di inebriante vin brulé, dolci e carne alla brace conferiscono all’evento il tono di una festa senza tempo.

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Al simbolo della luce si legano moltissimi eventi. A Gubbio, ad esempio, dal 1981 sulle pendici del Monte Ingino, il 7 dicembre di ogni anno viene acceso albero di luci talmente imponente da essere entrato nel Guinness dei Primati come il più grande del mondo. Svettando per oltre 750 metri e coprendo un’area di 130 mila metri quadrati, l’albero di Gubbio contiene 700 corpi luminosi di vario tipo e colore, tutti culminanti nella grande stella che, con il suo fascio iridescente raggiunge la cima della montagna dove si trova la Basilica di Sant’Ubaldo (Patrono della città). Lo scenario suggestivo trova un complemento altrettanto incantevole nel Presepe San Martino (una splendida ambientazione della Natività con oltre 120 personaggi a grandezza naturale) e nella Sacra Rappresentazione che si svolge nel quartiere di San Pietro, dove i personaggi si esibiscono negli antichi mestieri.

All’albero “montanaro” di Gubbio si contrappone quello in acqua, visibile ogni sera dal Parco della Rocca Medievale di Castiglione del Lago (di Trasimeno) le cui luci “disegnano” sull’acqua la sagoma dell’albero di Natale: un chilometro che prevede l’utilizzo di circa 70 pali portanti piantati nel fondo del lago, 2.400 lampadine perimetrali, 50 lampade interne e 5 chilometri di cavo.

Il Presepe

Tra i simboli natalizi più ricorrenti in Umbria c’è sicuramente il Presepe. Tra i più antichi e spettacolari meritano di essere menzionati quello di Assisi, caratterizzato con personaggi in terracotta a grandezza naturale, il Presepe vivente alla Cascata delle Marmore, quello artistico di Ferentillo allestito nella chiesa di S. Maria Assunta, quello monumentale di Città della Pieve, quello nel pozzo a Orvieto che ogni anno si rinnova seppure nella peculiarità della sua ambientazione, l’ultima grande grotta del percorso ipogeo del pozzo della cava.

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Molte, come detto, sono le espressioni viventi del Presepe. In aggiunta a quelle già citate meritano menzione il Presepe vivente di Petrignano d’Assisi, tradizionalmente allestito con il lavoro di tutta la comunità per dare un aiuto, con il danaro ricavato dalle offerte, ad enti e associazioni meritevoli di sostegno e solidarietà. A Marcellano, il Presepe vivente possiede un’austera cornice medievale: è, infatti, realizzato all’interno del castello del XII° secolo. Singolare è anche il Presepe vivente di Rasigna perchè riproduce fedelmente il modello francescano contestualizzandolo in una tipica giornata agli inizi del ‘900.

A più recente tradizione si ispira Budino, una frazione di Foligno, dove da oltre vent’anni viene allestito un caratteristico presepe meccanizzato, che negli anni si è arricchito di un numero crescente di scene rappresentative delle arti e dei mestieri del territorio umbro.

Ad Acquasparta, all’interno del Presepe vivente, figurano le numerose botteghe di antichi mestieri con punti di degustazione tipici del luogo, per trasmettere congiuntamente un unico messaggio: quello evangelico.

Tra note e rime

Una delle manifestazioni più vivaci e colorate è senza dubbio quella così detta delle Pasquarelle, i canti in dialetto nursino che, evocano temi religiosi natalizi ed epifanici al suono di organetti, tamburelli e triangoli. Nel periodo tra Natale e la Befana i Pasquarellari, andando di casa in casa, annunciano la nascita del Messia. La tradizione della Pasquarella (che a Norcia si rinnova ogni anno con brani legati all’attualità) rimanda alla tradizione religiosa dell’Epifania.

Ghjé s’è stranito er sonno da le stelle è la poesia che ritengo esprima il clima festoso dell’Attesa.

Ghjé s’è stranito er sonno da le stelle,

la luna non pòle troà pace,

stanotte succete quarghjccosa;

njscjuno s’er sà spiecà,

ma sotto sotto ‘n mistero ci stà.

San Ghjuseppe s’arcomanna:”arrì so’ somaro mio,

moémece, doemo apprescià,

e no’ scencellà tanto,

ché porti la Matre de Dio!

Pe’ stù Fjo che sta pe’ nasce,’n posto se troerà!”

E’ menzanotte sonata,er monno s’è fermato,

‘na stalla apre le porte.

E’ ghjta proprio bene,

nasce tra paja e fieno,

l’amabbile Bambino.

L’angiulitti a mìarate,volanno tra le stelle,

vonno a chiappà la luna,

pe’ accenne le cannelle;

artroono li strumenti,le trombe

e li clarini,ghjé donno a tutto fiato,

pe’ svejà la ghjente.

” Er Fjaréllo è nato,svejateve !

Ghjete a veté quant’è carillo !

Cambiate er calendario de’ la storia,

perché ammo’ ‘na speranza c’è

e non dicete più ch’è tutto ‘nu sfacèlo,

perché ogghj su sta Terra

c’jà messo le mane er Célo !

Se dice che a Beagne,la notte de Natale

le bestie parlaono e specie li somari.

La somara de Fischio,

quella de Bagattella,

er somaro de Neno de Cirocco

e qujllo de Cascò,

arraggjaono co’ ‘na voce

che parìa ‘na campana che fa din don!

(Traduzione)

Le stelle non hanno più sonno

la luna non trova più pace

stanotte succede qualcosa di strano,che nessuno si sa spiegare,

ma c’è un mistero.

San Giuseppe si rivolge al somaro e

si raccomanda di fare in fretta e di non traballare tanto,

perché trasporta la Madre di Dio.

Spera di trovare un posto per far nascere il Bambino.

E’ mezzanotte in punto, il mondo sembra fermo, una stalla li accoglie.

E’ andata bene il Bambino amabile nasce tra la paglia e il fieno.

Gli angioletti a migliaia volando

tre le stelle vanno sulla luna per accendere

le candeline ritrovano i loro strumenti musicali

e suonano a tutto fiato per svegliare la gente

gridano: il Figliuolino è nato,

andate a vedere quant’è carino !

Ora cambia la storia, e non dite più che

il mondo è in sfacelo,

perché oggi sulla Terra ci ha messo le mani il Cielo!

Si dice che a Bevagna la notte di Natale parlavano gli animali

e specie gli asini, ragliavano come una campana che fa din don!

Natale in tavola

A Natale la famiglia oggi si riunisce intorno ad un piatto di pasta fresca fatta in casa e cotta nel brodo di cappone. Una volta estratto dal brodo il cappone viene consumato come secondo, insieme con la torta al testo una grigliata di maiale e di agnello.

Nella civiltà contadina dilagava la miseria: non figuravano le carni ma le zuppe di farro, ceci, cicerchie accompagnate al brustengolo, un pane povero, arricchito di frutta secca, della vecchia tradizione campagnola.

La tradizione culinaria natalizia contempla dolci di antica origine come i mostaccioli.

I Mostaccioli di S. Francesco

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Tradizione vuole che Madonna Jacopa dei Settesoli (la nobildonna romana della potente famiglia dei Frangipane che ispirò a Francesco la fondazione dei “Fratelli e sorelle della penitenza” detto anche “Terzo ordine francescano dedicato ai laici”) solesse preparare per Francesco particolari biscotti dalle dimensioni di un dito, si chiamavano “mostaccioli”.

Si narra che quando Francesco avvertì l’avvicinarsi della morte, disse ad un frate di scrivere una lettera a Jacopa, per chiederle di raggiungerlo alla Porziuncola, con una veste per la sepoltura e candele per il funerale. Il Santo nella chiusa esprimeva il seguente desiderio: Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma.

Proprio mentre i frati stavano cercando qualcuno che portasse la lettera a Roma, si udì bussare alla porta. Jacopa era arrivata con i suoi figli e con tutto ciò che Francesco desiderava e con i dolci, fatti con mandorle, zucchero ed altri ingredienti, noti allora a Roma e nel circondario, col nome di mortarioli.

Il Panpepato

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Di tradizione ternana e di origine contadina, i panpepati sono dolci, dal sapore particolarissimo, dovuto al gusto piccante del pepe, che esalta tutti gli altri aromi.

Ne esiste anche una versione detta "pan giallo", che all’impasto del panpepato aggiunge della gelatina di frutta e pasta di mandorle.

La Rocciata di Assisi

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Questo dolce tipico di Assisi (ma anche delle città di Foligno e Spoleto) prende il nome dalla “roccia” (in dialetto locale, significa “tonda”).

Si dice che nei paesi prospicenti il lago Trasimeno la forma del torciglione evoca l’anguilla, il cui consumo è tradizionale la vigilia di Natale.

Il Torcolo di S. Costanzo

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E’ il dolce tipico che un tempo veniva preparato a Perugia per il giorno della festa del Santo (uno dei tre Patroni della città).

Il torcolo è un dolce pervaso da un delicato gusto di anice, il cui impasto di base è la pasta di pane, arricchita da olio, burro, canditi, uvetta e anice.

Il nome evocante una corona deriva, secondo la tradizione popolare, dal fatto che S. Costanzo fu decapitato e nella ricomposizione del suo corpo, per nascondere il segno del martirio, venne posta sul collo, come segno di pietosa devozione, una corona di fiori.

Nel ‘500, le ricche Congregazioni acquistavano notevoli quantità di torcoli per distribuirli ai poveri.

Il Torciglione

Nella sua forma a spirale il torciglione ricorda il tempo ciclico e rievoca i riti pagani, in cui il serpente veniva adorato come divinità, in quanto simbolo di vita e di vigore. Si tratta di un impasto di mandorle tritate grossolanamente e di zucchero, amalgamato da albumi montati a neve, a cui viene data la forma sinuosa di un serpente, con squame a rilievo, occhi e lingua biforcuta.

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Secondo la tradizione, le antiche popolazioni umbre della zona del Trasimeno, in occasione del solstizio d’inverno, avevano l’abitudine di preparare un dolce votivo simile fatto di mandorle e miele. Nel medioevo, le monache cappuccine di Perugia identificavano nella ricetta il serpente dell’Apocalisse schiacciato dal tallone della donna vestita di luce. Tagliare e mangiare una fetta di torciglione equivaleva a sconfiggere il male.

Antonella Giordano

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