LA CULTURA E’ IL MIGLIOR VIATICO PER LA VECCHIAIA.
Tullio De Mauro, esimio docente di linguistica generale all’università di Roma, asserisce che, ancor oggi, nel terzo millennio, il 40% degli italiani non è in grado di comprendere gli articoli di un quotidiano. Cinque italiani su cento non sono in grado di distinguere una lettera o un numero dall’altro. L’Italia è il paese UE con il minor numero di diplomati.
Secondo l’OCSE la nostra nazione è penultima per numero di laureati ed è in fondo alla classifica per alfabetizzazione e far di conto. Dati veramente sconfortanti ma, purtroppo, reali. Secondo quanto riportato dal quotidiano “La stampa” , dalle risposte a un questionario degli studenti del progetto “Erasmus”, emerge un giudizio impietoso sull’utilizzo della lingua inglese. Udite, udite. Il 53% degli studenti ritiene che la conoscenza della lingua inglese sia utile ma “non fondamentale”, il 46,6,% lo ritiene assolutamente inutile mentre un misero 1,4% lo considera indispensabile.
Dopo aver preso atto di questa nuova forma di analfabetismo di ritorno, una domanda sorge spontanea. Per quale recondito motivo i nostri politici, giornalisti e conduttori televisivi di talk continuano a propinarci termini in inglese? Piuttosto che “jobs act” non sarebbe meglio dire “riforma del lavoro”? Lo capirebbero tutti o quasi. Che qualcuno me lo spieghi! Altro termine astruso è “spending review” che, in ultima analisi, sta a significare una semplice “revisione dei conti pubblici”.
“Lor signori”, pur di non essere chiari e di “sembrare” acculturati, sono riusciti a trasformare il “trasferimento di poteri” in una parola inglese: “devolution”. Le politiche sociali oramai si chiamano “welfare” e la libertà di concorrenza: “antitrust”. Oltretutto, mi chiedo, quanti Italiani sappiano cosa sia il Quirinale o che “la Farnesina” possa essere la sede del ministero degli affari esteri, che “Palazzo Madama” sia la sede del Senato e che “Palazzo Chigi”, altro non è che il posto dove si riuniscono i nostri parlamentari.
Ma, che l’Italiano medio, con tutte le problematiche legate alla sopravvivenza quotidiana, durante la lettura di un telegiornale, sia veramente tenuto a conoscere simili particolari, ho diversi dubbi. Se ne deduce che le interpretazioni personali di un pubblico impreparato sia variegato e contrastante. Ricordo con nostalgia una trasmissione televisiva degli anni 80 dove Nino Frassica, nei panni di un frate illetterato, incitava gli ascoltatori a “migliorare la propria ignoranza”. Parole sante!
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