LA CICLICITÀ DEI PREGIUDIZI

Lingua, Sicilia e dintorni

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E ci risiamo. La ciclicità non riguarda soltanto i corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico, assioma fissato nella nostra memoria dai banchi di scuola, oppure l’avvicendarsi nell’universo delle fasi delle manifestazioni immodificabili della natura, pur con qualche particella innovativa, dovuta all’intervento umano, o ancora l’invalidamento dell’essere la storia magistra vitae, di cui era convinto assertore Cicerone nel De oratore. Anche l’attualità, citando la guerra in corso in Ucraina, sottopone all’evidenza che le distruzioni, le stragi, i genocidi passati non hanno insegnato nulla, dato il loro ripetersi.

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La ciclicità cui si accenna riguarda altresì certi pregiudizi, pensieri convenzionali, che fissi nell’immaginario collettivo non vengono scalfiti dal progresso, dal mutamento, dal cambiamento. E così ritornano spesso, magari sotto altre vesti ma ancorati tutti a cliché stantii, deficitari, di omologazione standardizzata, alla luce dell’analisi di ciò da cui provengono. La pelle nera continua a destabilizzare alcuni, la veste religiosa diversa dalla propria suscita effetti pruriginosi, la diversità etnica pone in uno stato di allerta, le classiste elitarie narici continuano a sentirsi disturbate dagli umili fumi maleodoranti, oltre alle altrettante lussuose funzioni ottiche infastidite dal vedere zone di mancate bellezza nel senso botulinico ed innaturale. Per non parlare della altezzosa presunzione di giudicare acriticamente, negativamente coloro che vivono nei vari “sud” del mondo. Vecchia abitudine a cui hanno contribuito varie agenzie comunicative pur culturali come il cinema, la televisione, certa letteratura, che nell’essere specchio della realtà contingente del periodo preso in considerazione hanno determinato degli stilemi, degli standard accolti e fissati a tempo indeterminato nel Dna del pensiero di certi strati, di diversa collocazione geografica, ed estrazione sociale, politica difficile da rimuovere. E così è stato plasmato, per comodità, per gioco di godimento sarcastico un mondo meridionale di ignoranti, di nullafacenti, di inoperosi, di parassiti, di analfabeti a vita. Certamente a studiare correttamente la storia comprendiamo le disagevoli condizioni che svantaggiano le aree meridionali del mondo, motivo questo di induzione a compensare, diversamente dalla realtà che vede i paesi meridionali lasciati nella loro lontananza, non dotati delle strutture di cui si preferisce dotare il nord, come quello italiano a contatto con l’area mitteleuropea. La storia del nostro sud dovrebbe essere nota a tutti, nella sua collaborazione all’unificazione dell’Italia e dei mancati riconoscimenti e stati di abbandono, in cui versa, basta rivedere la questione meridionale. Il sud ha subito la feudalizzazione, il colonialismo, l’essere usato come mercato, nella connivenza di tutti gli organi di potere. La terra si è ammalata, svuotata, indurita per il pesante passo mafioso, costretta all’immigrazione verso il fattivo e operoso nord e anche fuori dell’Italia si è impoverita della vita progettuale, lasciando che tutto si inaridisse e morisse. Quanta sofferenza ha posto il marchio per sempre nel cuore della terra della gente!… Forse molti dovrebbero leggere le opere di scrittori che con le loro pagine hanno testimoniato - De Amicis, Pascoli, Soldati, Pirandello, Verga Sciascia, Vittorini, Pavese - per entrare in un mondo che si giudica ma non si conosce. Siamo consapevoli, noi del sud, degli stenti, delle fatiche, delle rinunce, della sofferenza vissute e ancora in corso, perché le nuove generazioni emigrano, menti brillanti che vanno a rimpolpare la popolazione del nord o di paesi esteri, lasciando invecchiare la loro, senza la forza progettuale, energica, stimolante, organizzativa dei giovani.

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Non serve sfoderare la storia antica, tuttavia, per sapere che il nostro sud è stato la culla della civiltà ellenica, romana, che ha visto periodi fiorenti anche sotto varie dominazioni: araba, bizantina, normanna, angioina... La Sicilia, giardino del mondo, ha l’impronta della bellezza artistica proliferata in essa. La scuola poetica siciliana diede l’avvio alla formazione della lingua colta, l’arte delle varie dominazioni creò un amalgama eccellente tra sapere umanistico e matematico. Proprio i poeti alla corte di Federico II diedero vita alla lingua poetica che solo dopo la morte di Federico passò in Toscana; un melting pot geniale che si è avvalso sempre della geniale briosità caratteriale dei siciliani, nativi in una terra che oltre al soffio dello zefiro delle Grazie ha dato i natali ai più grandi scrittori della mondiale letteratura. Molti siciliani illustri onorano la loro terra di origine eccellendo in ogni campo, sparsi nel mondo. Questo non vuole essere motivo di vanto per il presente se emergono problematiche e disfunzioni politiche, come non può essere motivo di screditamento il fatto che il dialetto siciliano, come qualsiasi altro dialetto, dia la sua impronta al parlare come il toscano, il fiorentino del trecento scelto come lingua nazionale. Ogni dialetto può con la sua inflessione e struttura condizionare il parlare, ma non è la lingua italiana di cui si sono stabilite regole grammaticali per tutta la nazione. Ogni dialetto è patrimonio dell’Unesco, tesoro da custodire, che procede per una via diversa da quella della lingua italiana di cui a scuola si studiano tutti gli aspetti. Chi studia poco o non studia non sa usare, per questo, la lingua correttamente e non perché sia nativo di una regione anziché di un’altra. Non c’è connessione tra dialetto e lingua se non l’artificiale apprendimento scolastico con perfezionamento specialistico: è questa la prova che scardina con fermezza gli inappropriati stereotipi cui ancora troppo spesso siamo costretti ad assistere…

Cettina Bongiovanni

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