L’ARMENIA, LA SUA STORIA LE SUE RIVENDICAZIONI
Intervista all’Ambasciatore Tsovinar Hambardzumyan (parte I^)
In occasione del Salento Film Festival, tenutosi quest’anno a Bisceglie (BA-Pulia), abbiamo incontrato l’Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica di Armenia in Italia S.E. Tsovinar Hambardzumyan. Classe 1971, nata e formatasi a Yerevan, ha lavorato per oltre un ventennio alla Presidenza della Repubblica di Armenia con incarichi in vari uffici, tra cui quello di analisi, quello diplomatico e nell’ufficio stampa della Presidenza della Repubblica. Dal 2018 al 2020 ha ricoperto il ruolo di Capo del Dipartimento per le relazioni estere del Primo Ministro. L’Ambasciatore, nonostante fervano i preparativi per la visita di Stato del Presidente Armen Sarkissian, ha gradito rispondere ad alcune domande.
Eccellenza, pochi giorni fa avete commemorato l’anniversario della guerra dell’Artsakh (Nagorno Kharabakh). Com’è la situazione adesso?
Negli ultimi tre decenni, l’Azerbaigian ha scatenato tre guerre disumane contro la popolazione civile di Artsakh.
Un anno fa, il 27 settembre, l’Azerbaigian, con il pieno e aperto sostegno della Turchia e dei mercenari jihadisti reclutati dalla Turchia, ha lanciato una guerra senza precedenti contro i cittadini armeni. Nel corso di 44 giorni, la popolazione di Artsakh è stata attaccata con brutali armi incendiarie, come le munizioni a grappolo e al fosforo bianco vietate a livello internazionale. Hanno preso di mira le infrastrutture civili, inclusi ospedali e scuole.
In questo anniversario, ricordiamo le migliaia di soldati armeni che hanno compiuto il loro dovere e hanno sacrificato la loro vita per la loro patria, lasciandosi alle spalle famiglie e sogni. La perdita di quella generazione - che ha cercato di trasformare l’Armenia in un faro di progresso e prosperità - è stata tremenda.
La dichiarazione trilaterale del cessate il fuoco del 9 novembre ha posto fine alla ferocia quotidiana della guerra, tuttavia la violenta aggressione dell’Azerbaigian prosegue, in particolare nella provincia armena di Syunik, così come la continua distruzione di siti religiosi, archeologici e di altro patrimonio culturale. La tortura e gli abusi disumani contro i prigionieri di guerra armeni e molti civili ancora tenuti illegalmente in cattività costituiscono un’aperta violazione dei termini della dichiarazione. Allo stesso tempo, la leadership di quel Paese alimenta costantemente l’odio contro gli armeni, privando le generazioni attuali e future di ogni speranza di pacifica convivenza.
Nonostante tutte queste difficoltà, la Repubblica di Armenia continua a compiere sforzi per lo sviluppo delle istituzioni democratiche, la protezione dei diritti umani, la fornitura di ulteriori garanzie sociali per i cittadini, nonché la protezione della sicurezza del popolo dell’Artsakh.
Quali sono le grandi differenze che ha riscontrato tra il lavoro apicale nel sistema statale a Yerevan e la direzione di un’ambasciata in uno dei maggiori paesi del Mediterraneo?
Lavorando come Direttore del Dipartimento per le Relazioni Estere della Presidenza, poi del Consiglio dei Ministri, mi sono occupata delle relazioni estere nell’amministrazione dei leader del Paese. La carica di ambasciatore ha una copertura molto più ampia. In altre parole, come ambasciatore, devo promuovere le nostre relazioni in tutti gli ambiti: politico, economico, culturale, scientifico, educativo, di difesa. Naturalmente, come capo del Dipartimento degli Affari Esteri, ho sempre coordinato le nostre attività con i ministeri dei diversi ambiti. Ovviamente ci sono molte altre differenze. Ma quello che trovo comune in entrambi i lavori è il servizio alla Patria. Spero vivamente che la mentalità statale e la totale dedizione allo Stato siano sempre i valori dominanti nel mio lavoro.
Come nasce il suo interesse per l’Italia?
Il mio interesse verso l’Italia è iniziato quando sono venuta a Roma per studiare, e poi per condurre una ricerca al college di difesa della NATO. Naturalmente, la mia nomina di ambasciatore in Italia anni dopo ha qualcosa a che fare con questo. Woody Allen una volta ha citato un proverbio yiddish: "Noi pianifichiamo, Dio ride". Credo che la provvidenza abbia contribuito affinché ciò avvenisse, ma potrebbe aver giocato un ruolo importante anche l’esperienza del collegio, che mi ha portata ad acquisire molte conoscenze sull’Italia.
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