Imran Khan: atleta, playboy e presidente in pectore del Pakistan

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18 ottobre 1991, allo Sharjah Cricket Stadium, sotto gli occhi di oltre 15.000 spettatori, va in scena l’incontro del Wills Trophy fra India e Pakistan. In teoria dovrebbe essere solamente un’amichevole, ma quando in gioco ci sono queste due nazionali, in realtà di amichevole c’è sempre molto poco. I match tra indiani e pakistani non sono mai una semplice sfida sportiva: sono delle battaglie, sono dei derby fra due culture così simili e al tempo stesso così ostili fra loro, sono l’emblema della rivalità fra due nazioni che, dopo aver condiviso per secoli la propria storia, si ritrovano adesso a condividere solamente tensioni e reciproche ostilità politiche.

Nella nazionale indiana milita un giovane ragazzino dalla pelle mulatta e dal cuore fedele al Mumbai team, Sanjay Manjrekar. Alla maggior parte di noi occidentali questo nome dirà molto poco, ma agli indiani dice veramente tanto: è il miglior giocatore della propria squadra, è un battitore destrorso dalle braccia robuste e dagli occhi iniettati di sangue ma, soprattutto, è l’uomo che quel giorno avrebbe fatto piangere l’intero Pakistan.

cms_9845/2v.jpgLa partita termina con 238 runs a 178 per l’India e Sanjay viene premiato come miglior giocatore dell’incontro. Ma non è finita, perché come in ogni squadra che si rispetti, anche il Pakistan ha il suo leader. Si chiama Imran Khan, ed è uno dei pochi atleti nella storia del gioco capace di lanciare e di battere la palla in maniera altrettanto sublime. Ha trascorso la maggior parte della sua giovinezza in Inghilterra, ma non per questo è meno amato dai suoi compatrioti, tutt’altro. Per comprendere la sua importanza nell’ambito dello sport pakistano, basti pensare che quando si ruppe una tibia, nell’82, il governo destinò consistenti fondi pubblici per permettergli di avere accesso ad una terapia innovativa. Perfino quando a causa degli strascichi dell’infortunio minacciò di abbandonare la carriera agonistica, ricevette una telefonata direttamente dall’allora Presidente della Repubblica Zia-ul-Haq, il quale gli scongiurò di ripensarci, venendo ovviamente accontentato.

Solo che purtroppo, in seguito alla sconfitta, furono in molti a chiedersi se fosse ancora il migliore al mondo, o se fosse stato superato dal ben più giovane Sanjay. Fra i due nasce una di quelle rivalità destinate a contraddistinguere la storia dello sport, una rivalità accesa ma al tempo stesso leale, che per un breve periodo appassionò gli amanti di cricket in ogni parte del mondo. All’epoca dei fatti, erano in molti a considerare Imran Khan in declino, ma com’è risaputo non bisogna mai sottovalutare il cuore di un campione: appena sei mesi dopo quell’umiliante sconfitta, Imran Khan guidò il Pakistan alla sua prima storica vittoria nella coppa del mondo di cricket, in finale proprio contro quella stessa Inghilterra dov’era cresciuto.

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La gente impazzisce: Imran viene considerato alla stregua di un eroe nazionale. Tutti si aspettano che con un capitano del genere gli anni a venire si riveleranno lucenti e pieni di soddisfazioni; ma, proprio in quel momento, ecco che a rovinare la gioia del popolo pakistano arriva un annuncio a sorpresa da parte di Imran Khan: ha deciso di ritirarsi definitivamente dal cricket, e questa volta non è disposto a cambiare idea per nessun motivo. Durante la successiva edizione dei mondiali di cricket, il Pakistan venne eliminato ai quarti di finale dall’India e perfino oggi, a distanza di 26 anni dal ritiro di Imran, la sua nazione aspetta ancora di poter alzare al cielo la propria seconda coppa del mondo.

cms_9845/4.jpgIn quanto al nostro protagonista, dopo essersi ritirato dalle scene si trasferì a Londra, dove si guadagnò ben presto una reputazione di tombeur de femmes. Alcuni giornali di gossip gli attribuirono una storia d’amore (mai confermata dai diretti interessati) con Lady Diana, con la quale venne più volte fotografato insieme nei locali più chic della City.

Tuttavia, fu solo nel 95 che l’ex campione decise di sposarsi. La scelta ricadde su Jemima Goldsmith, una ragazza di ventidue anni più giovane il cui padre, James, era un importante finanziare dal patrimonio superiore ai 100 milioni di sterline. Tutto sta andando nel verso giusto, eppure Imran sembra non riuscire a trovare pace… si sente in colpa per aver abbandonato il proprio Paese, si sente in colpa per il fatto di dover vivere nel lusso più sfrenato mentre milioni di suoi connazionali soffrono la povertà. Prova a fare beneficenza, a far costruire scuole e ospedali in Pakistan, ma tutto questo non è sufficiente a placare la sua nostalgia: decide di tornare in patria.

Imran Khan non è mai stato uno di quegli atleti che abbandonano qualunque velleità culturale per dedicarsi esclusivamente allo sport. E’ sempre stato un ragazzo intelligente e di buona famiglia: da giovane, tra una partita di coppa del mondo e l’altra, aveva persino trovato il tempo di laurearsi in filosofia prima e in economia poi ad Oxford. Tutto ciò non sembrerà affatto strano a chiunque dovesse conoscere la storia del suo più famoso avo, Pir Roshan, il quale, pur essendo un valoroso guerriero, non aveva mai trascurato il suo amore per la cultura al punto da codificare nel XVI l’alfabeto Pashto, tutt’ora utilizzato da quasi dieci milioni di pakistani. Ecco, Imran Khan in fondo non è mai stato così diverso dal suo avo: entrambi erano al tempo stesso dei combattenti e degli intellettuali; entrambi utilizzavano con la stessa disinvoltura le virtù della mente e quelle del corpo. Fu così che, grazie alle sue qualità, nel ‘96 l’ex fuoriclasse comprese che era giunto il momento di candidarsi per provare a cambiare davvero le cose. Le prime elezioni si rivelarono un flop e sicuramente Imran dovette passare momenti molto difficili specialmente quando, nel 2004, Jemima dopo essersi stancata della vita in Pakistan decise di chiedere il divorzio.

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Eppure, lui non si arrese, anzi, provò a fare dei suoi fallimenti la sua stessa forza: soprannominò ironicamente il suo nuovo partito “Khan’t”, un gioco di parole frutto del suo cognome e di un’espressione che in inglese vuol dire letteralmente “non si può”.

Lentamente, la proposta di una nazione meno corrotta e di una normalizzazione dei rapporti con l’India ha colpito e affascinato soprattutto la classe media pakistana. Nel 2014, secondo un sondaggio di YouGov, Imran Khan risultava essere il dodicesimo uomo più popolare al mondo, non v’è dunque da stupirsi se le elezioni di mercoledì scorso hanno premiato il leader politico con la vittoria. Il movimento per la giustizia del Pakistan ha infatti ottenuto 116 seggi sui 269 a disposizione, e malgrado ne servano almeno altri diciannove per governare, pochi analisti politici dubitano del fatto che Imran Khan possa riuscire a trovarli attraverso alleanze postelettorali con partiti minori.

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La situazione non sarà delle più facili: il Pakistan è da anni dilaniato da una serie di brutali contraddizioni sociali, il fanatismo religioso cresce sempre di più e perfino le ultime elezioni sono state funestate da un attentato che ha portato alla morte di diciotto persone a Quetta. Tuttavia, non è questo il momento per lasciarsi intimidire: al contrario, la speranza è che la vittoria dell’ex crickettista possa sancire un nuovo inizio per la sesta nazione più popolata al mondo.

L’aspetto più curioso di tutta questa storia, è che la prima persona a fare le congratulazioni al presidente in pectore non è stato un suo connazionale, ma il suo grande rivale dei tempi passati, Sanjay Manjrekar: “Imran è l’emblema di come sia possibile porsi degli obiettivi e raggiungerli. Congratulazioni e buona fortuna!” ha twittato poco dopo la fine dello spoglio elettorale. Purtroppo, in questo momento ad attendere il presidente vi è una sfida ancora più difficile di quelle che disputava con Sanjay. In compenso, possiamo dire che in un certo senso la normalizzazione dei rapporti con l’India è già iniziata.

Gianmatteo Ercolino

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