Imprenditoria d’eccellenza

Inauguriamo la rubrica “Artigianato, eccellenza italiana”

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Inizia oggi una rubrica dedicata all’artigianato, eccellenza italiana.

Tante le stelle che non si conoscono, ma che ogni giorno contribuiscono a mantenere alto il nome del nostro Paese, facendo conoscere i prodotti doc e dop che recano pregio e ci fanno sentire orgogliosi di essere italiani.In questi numeri cercheremo di farvi conoscere tutti gli aspetti delle maestranze. Ascolteremo storie, scopriremo aneddoti, ma soprattutto capiremo come si fa a creare una “bottega” attraverso il racconto di chi ce l’ha fatta. Seguiteci.Il nostro viaggio inizia a Sorrento, dove abbiamo incontrato Giuseppe Schisano, mastro birraio della Costiera Amalfitana.Nato a Piano di Sorrento (Na) il 9 Settembre 1973, ha ereditato la passione per la cucina e il buon cibo dalla famiglia paterna, affiancata da sempre a una naturale predisposizione verso le scienze, la matematica, la fisica e la chimica. Dopo gli studi scientifici frequenta l’Università di Siena conseguendo la laurea in Scienze Economiche e Bancarie. Frequenta un Master in ICT (Information e Communication Technology) all’università di Salerno e subito è assunto da una Multinazionale dell’Informatica per la quale colleziona esperienze in giro per l’Italia. Ma le sue vere inclinazioni sono altre. Tornato a Sorrento, comincia a collaborare con il cognato, Francesco Galano, acquisendo specifiche cognizioni su vino, limoncello e grappa. Di lì il passaggio al mondo della birra artigianale è veloce. Il ricordo di alcuni racconti sulla nascita, negli anni ‘80, del primo microbirrificio proprio a Sorrento, lo inducono a studiare le tecniche di produzione della birra, dando il via ad un lungo ed affascinante viaggio che continua ancora oggi. Nata per gioco, la passione cresce sempre più. E con essa la sete di conoscenza degli ingredienti e dei processi produttivi. Nel 2009 viene messa in commercio la sua prima birra la “Syrentum”.

cms_4787/foto_2.jpgNel 2012 insieme ad altri amici birrai (Birrificio Aeffe, Birrificio dell’Aspide, Birrificio Irpino, Maltovivo, Birra Maneba, Birrificio Karma, Birrificio Serro Croce, Birrificio Sorrento) dà vita ad “A.Bi” Associazione della Birra Campana con lo scopo di diffondere la cultura della Birra artigianale locale. Finalmente, dal 2013, un impianto di proprietà in Penisola Sorrentina gli permette di continuare professionalmente la passione di sempre.

Giuseppe parlaci un po’ di te, delle tue origini, dei tuoi inizi

“Sorrentino dalla nascita e innamorato della mia Terra, ho sempre avuto una predilezione per le ‘cose buone’ da mangiare e da bere, o quantomeno che io reputassi tali, a cominciare dalla ricchezza enogastronomica partenopea e campana. Mi è sempre piaciuto cucinare e la vita poi mi ha dato l’opportunità di vivere per lavoro, ma anche per piacere, in quasi tutte le regioni italiane ma su tutte la Toscana, dove ho frequentato l’università, e la Sicilia che hanno arricchito la mia passione enogastronomica. Quando un pomeriggio d’estate, tranquillamente steso al mare, ricevetti una telefonata da un mio amico, in vacanza in Trentino, che mi chiese se mi avesse fatto piacere far funzionare un piccolo alambicco per distillare ‘grappa’ che aveva visto in vendita, la mia risposta fu fulminea e affermativa. Il tempo di rivestirmi ed ero già in una nota libreria di Sorrento a cercare notizie tecniche su come produrre ‘acquavite’. Con bottigline ricercate e tanto di ceralacca, l’acquavite, con varie aromatizzazioni, diventò il nostro regalo di Natale per i parenti. In breve diventò il regalo per gli amici; cominciarono ad arrivare molte richieste, ma fare acquavite richiedeva tanto tempo per avere quantità esigue di prodotto finito. Urgeva produrre qualcosa che a parità di tempo desse più prodotto. Mi ricordai dei racconti sul primo microbirrificio d’Italia nato proprio a Sorrento nei primi anni Ottanta e mi misi alla ricerca di notizie sulla produzione brassicola. Mi si aprì un mondo ancora più affascinante. In breve io e i miei amici ci trasformammo da “grappaioli” in “birrai”. Costruimmo le prime rudimentali attrezzature, acquistammo le materie prime: i primi risultati furono subito incoraggianti.

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La mia curiosità verso questo mondo mi spinse ad approfondire e quando per il resto della compagnia l’impegno diventò eccessivo, decisi di proseguire da solo. Progettai un nuovo impiantino casalingo e coinvolsi Francesco Galano attuale mio socio al Birrificio Sorrento. Le prime produzioni avvennero in un locale all’interno di un limoneto e fu quasi automatico utilizzare le bucce del limone nella produzione della Birra. Le produzioni però non diedero subito i risultati sperati. Amici e parenti sommelier a cui sottoponevamo le nostre creature sentivano in esse sentori di medicinale ed altro. Per me diventò una sfida, dovevo scoprire perché succedeva ciò. Mi misi a studiare le materie prime, ripresi i libri di chimica del liceo e partii da ciò che ritenevo più importante nella produzione della Birra: Malto, luppolo e lievito. I risultati non cambiarono. Rimase da studiare l’acqua e il percorso ormai era completo. Le produzioni migliorarono sempre più e in me nasceva il sogno di riportare un Microbirrificio a Sorrento. Oggi siamo il Birrificio Sorrento”.

Cosa ti ha spinto a farlo?

“Inizialmente mi ha spinto la curiosità, la voglia di creare qualcosa che piacesse prima di tutto a me e pian piano si è materializzato il sogno di portare un Microbirrificio a Sorrento. Gli studi di fattibilità però non erano incoraggianti. La penisola sorrentina ha una grossa vocazione turistica a discapito di quella manifatturiero/industriale. E’ difficile trovare locali di produzione adatti e i costi sono notevoli. Quando stavamo per abbandonare l’idea nel 2008 andammo al “Villaggio della Birra” a Bibbiano (Si) (ancora la Toscana) dove venimmo a conoscenza della realtà Belga delle Birfirm ossia Birrifici senza la proprietà dell’impianto ma che producono prendendo in fitto impianti di altre realtà brassicole. Durante i nostri girovagare per manifestazioni e concorsi homebrewer conoscemmo Mario Cipriano che stava per aprire il suo Birrificio. Gli proponemmo questo modo di produrre e nel secondo semestre del 2009 creammo marchio, etichetta e la nostra prima Birra che fu presentata da Kuaska il 7 dicembre 2009 proprio a Sorrento. Il sogno si era realizzato a metà. Eravamo riusciti a portare a Sorrento solo la Birra Artigianale non ancora un vero e proprio Birrificio”.

Qualcuno ti ha aiutato? E’ stato facile inserirti nel tessuto imprenditoriale?

“Un Birrificio è fatto di tante ‘anime’, c’è la produzione, la logistica, la parte commerciale ecc. Una sola persona non può fare tutto. Per me avere come socio Francesco è una fortuna, avere una persona fidata che si occupa del commerciale mi permette di concentrarmi sulla produzione ma soprattutto mi permette di sperimentare cose nuove per le future creazioni. Partire da zero non è mai facile in qualsiasi campo ma la nostra filosofia, scritta a caratteri cubitali sulla trave del Birrificio, è ‘…a piccoli passi’: idee ben ponderate senza voler strafare, senza cercare di fare il passo più lungo della gamba. Se le idee sono valide, lavori bene e sodo prima o poi qualche risultato arriverà.

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Qual è il ricordo più caro che conservi in questo percorso, se c’è, e a cui ricorri per farti forza?

“Per la verità ne ho più di uno ma due su tutti: quando nel 2009 proponemmo a Kuaska (uno dei massimi esperti di Birra Artigianale) di presentare la nostra prima Birra mi disse che ero un “pazzo” poiché la Syrentum era una Birra di grande equilibrio e se l’avessi sbagliata si sarebbe sentito subito, ero come un ‘trapezista senza rete’. L’altro riguarda la nostra voglia di mettere il nostro territorio nel bicchiere. Un giorno un giudice internazionale Belga, degustando per la prima volta le nostre Birre, disse che bevendole e chiudendo gli occhi gli veniva in mente il ‘Sole dell’Italia’. Per noi fu una grande soddisfazione”.

Ormai sei lanciato. Qual è il tuo segreto?

“Se lo dicessi che segreto sarebbe?!... Scherzo ovviamente. Non credo di avere segreti particolari semplicemente mi piace ciò che faccio, mi appassiona, penso alla mia attività continuamente. Spesso mi capita di addormentarmi con qualche problema da risolvere e al mattino mi sveglio con una possibile soluzione. E’ come se il mio cervello avesse continuato a lavorare ma al tempo stesso non mi sveglio stanco ma carico per affrontare il problema. Non so se riesco a rendere l’idea ma credo che se ti piace fare il tuo lavoro sei soddisfatto già nel farlo”.

cms_4787/foto_5.jpgLa tua Birra, cos’ha di speciale?

“Le mie Birre sono come figlie e ‘i figli so’ pezzi ‘e core’ (i figli sono pezzi di cuore). Non so se abbiano qualcosa di speciale, io cerco di mettere nel bicchiere l’essenza del mio territorio e quindi anche la mia. Le mie Birre sono territoriali e per territoriale non intendo solo che in esse utilizzo le bucce dei Limoni di Sorrento IGP o delle Arance di Sorrento. Sono territoriali perché nascono dal mio background fatto anche di territorio, sono territoriali perché adatte al nostro clima, alle nostre tradizioni e alla nostra cucina tradizionale. La Syrentum è una Birra che può rinfrescare dalla calura estiva ma che può accompagnare benissimo un piatto di pesce. Sono Birre che piacciono prima a me, devono essere facili da bere ma avere una loro personalità. A me piace definirle semplici ma non banali”.

cms_4787/foto_6.jpgQuanto è importante la qualità nella produzione?

“E’ fondamentale da tutti i punti di vista non ultimo quello economico. I microbirrifici non riescono a fare economie di scala quindi puntare sui prodotti che fanno la differenza solo sul prezzo è un suicidio. Per me poi qualità significa anche rispetto nei confronti della clientela e della fama internazionale, costruita nel tempo, di cui gode Sorrento. In birrificio ho sempre davanti una gigantografia della Penisola Sorrentina con su scritto ‘Un posto così… merita una Birra Artigianale di Qualità’…dovessi dimenticarmene!”

cms_4787/foto_7.jpgAnche le grandi industrie stanno riavvicinandosi all’artigianato inteso come genuinità. Cosa ne pensi?

“Più che altro stanno cercando con strategie di marketing e di comunicazione ben studiate di confondere le idee. In gergo si chiamano “Crafty”. Penso che l’ideale sia dare al consumatore gli strumenti per capire cosa sia di qualità e cosa non lo è, invece di incantarlo con diciture assurde. Il classico esempio è la dicitura ‘Doppio Malto’ che esiste solo in Italia. Indica semplicemente una categoria commerciale non indica né ‘forza’ né numero di malti utilizzati al contrario di quanto pensano la stragrande maggioranza dei consumatori italiani. Non ci dice nulla sulle caratteristiche di una Birra ma a livello di marketing funziona poiché fa pensare ad una birra forte ed alcolica. Per la legge Italiana una birra di appena 3.5 gradi alcolici finali, che sia partita da un mosto con grado zuccherino (Grado Plato) uguale o superiore a 14, deve riportare in etichetta la categoria ‘Doppio Malto’. Chiariamoci il problema non è legislativo ma di marketing ed è solo una delle tante ‘storture’ esistenti”.

Ci dai qualche dato della birra: dove si produce e in quale regione se ne consuma di più? E quali sono le fasce d’età che la prediligono?

“Attualmente le regioni che hanno un maggior numero di Birrifici e che si traduce anche in maggior produzione sono Lombardia, Piemonte e Veneto. Regioni che offrono maggiori infrastrutture alle attività imprenditoriali e più avvezze al consumo di bevande alcoliche. Il sud nonostante i soliti problemi che ci tiriamo dietro fin dalla “questione Meridionale” in questo settore si sta facendo valere molto. Su tutte Campania, Puglia e Sardegna. C’è da sottolineare una differenza culturale e di abitudini nei consumi: al nord si esce di casa “solo” per andare a bere al sud no, si esce per mangiare e poi si beve anche.

Sembra una sfumatura ma non lo è. Al sud qualsiasi winebar, birroteca o simili hanno sempre dovuto affiancare qualcosa da mangiare all’offerta beverage. In definitiva, comunque, osservo e sono fermamente convinto che nel settore della Birra Artigianale il sud ha le capacità, e il dovere, di ridurre il gap con il nord creando indotto e lavoro.

Per quanto riguarda il consumatore più che dividerli per fascia d’età li dividerei per capacità di potere d’acquisto. La Birra Artigianale, secondo la mia esperienza, piace e incuriosisce il ventenne come l’ottantenne. Ovviamente costando come un buon vino spesso dai giovanissimi vengono preferiti prodotti commerciali molto alcolici che possano far raggiungere stati di ‘ebbrezza’ più velocemente e a basso costo. E’ triste ma è la realtà, bisogna educare e far cultura anche su questo”.

cms_4787/foto_8.jpgE’ vero che gli Italiani sono legati più al vino?

“Storicamente nell’800 in Italia c’erano molti birrifici. Durante il periodo fascista la Birra fu considerata un prodotto ‘esterofilo’ e tassato in modo da portare i birrifici alla chiusura a vantaggio del vino che invece era considerato il prodotto ‘italico’. Non a caso anche gli antichi Romani preferivano il vino alla Birra considerandola la bevanda dei barbari, ma poi sono arrivate fino a noi testimonianze di predilezione per la Birra da parte di noti Romani come Agricola o destinata ad usi medici. Sembra, infatti, che l’imperatore Augusto esentò dalle tasse la classe medica quando il suo medico personale lo guarì dal mal di fegato utilizzando la ‘Cerevisia’. Nel secondo dopoguerra, con l’avvento del boom economico (1958-63) il ‘vuoto’ di birrifici artigianali fu colmato dalle multinazionali e la birra fu relegata a bevanda senza importanza, che doveva costare poco, essere consumata ghiacciata e altri mille luoghi comuni che l’hanno banalizzata. In definitiva il fatto che il vino, per varie ragioni storiche, abbia avuto un peso maggiore nella nostra cultura contadina non è uno svantaggio. Per me, chi è già abituato a bere bene vino percepisce più facilmente che si può bere bene Birra”.

cms_4787/foto_9.jpgLa Birra fa bene?

“I quattro ingredienti principali con cui si produce la birra sono acqua, malto, luppolo e lievito. Tolto il luppolo sono gli ingredienti del pane e questo spiega perché spesso si dice che la birra è pane liquido. Nel medioevo i monaci bevevano birra come sostentamento durante il periodo quaresimale, rispettando il diritto canonico secondo il quale i liquidi non interrompono il digiuno. E’ fondamentale, però, non dimenticare due cose: la prima è che la Birra contiene alcol e quindi non bisogna abusarne, la seconda è che anche l’alimento più sano del mondo, se consumato in eccesso, fa male. Meglio bere meno ma bere bene”.

Secondo te, è facile oggi mettersi in proprio in questo settore?

“Mettersi in proprio non è mai facile, ma neanche impossibile. Sicuramente un mercato in espansione perdona qualche errore rispetto ad un mercato già maturo. Nel lungo periodo però si fa selezione e rimarrà solo chi ha lavorato bene”.

A cosa dovrebbe puntare chi inizia?

“Sicuramente alle virtù riconosciute al “made in Italy” che sono valide sia in patria che fuori: creatività e qualità”.


cms_4787/foto_10.jpgDove si può imparare a fare la birra?

“Attualmente in Italia ci sono scuole in Umbria e in Veneto. Molti birrifici poi sono disponibili a stage pratici. Mi piacerebbe che una buona scuola per Birrai nascesse anche in Campania…lancio il sasso nello stagno magari qualcuno ascolterà il mio appello”.

Magari sarai tu a realizzarla! Ultima domanda: quanto costa oggi aprire un punto vendita o un esercizio di somministrazione di birra?

“Dipende da tanti fattori, non si può rispondere così su due piedi. Per ogni buon progetto che si rispetti bisogna fare degli studi di fattibilità e un business-plan. Tanto per intenderci un conto è aprire un punto vendita nel centro storico di Sorrento, diversissimo è se lo si apre sulle colline sorrentine. Figuriamoci se è possibile generalizzare una cifra in una nazione come l’Italia che è diversissima da Lampedusa a Campione d’Italia”.

Un tuo consiglio ai giovani artigiani:

“Il mondo è cambiato e sta cambiando. Questo si riflette anche sull’Artigiano. Non basta ‘andare a bottega’ per essere artigiani o condurre un’azienda di famiglia con gli stessi sistemi dei nonni e dei padri. Sempre più spesso sento dire ‘faccio così perché così faceva mio nonno e così faceva mio padre’. Oggi l’artigiano deve studiare, deve essere consapevole, anche da un punto di vista scientifico, del perché un’operazione vada fatta in un modo anziché in un altro. Deve conoscere le tecnologie e saperle applicare alla tradizione, per migliorarla e non stravolgerla. Solo così si può puntare alla qualità e alla costanza qualitativa dei processi produttivi artigianali. Servono due cose fondamentali: Passione e Studio, la prima fa diventare leggera anche la seconda”.

Enrico Marotta

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