Il tracollo dei Centri per l’impiego

Come rilanciarli e renderli risorsa

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Siamo alle solite: i Centri per l’impiego di alcune città pugliesi sono costantemente affollati, e molto spesso capita di assistere ad aggressioni e minacce ai dipendenti, che si ritrovano a lavorare in condizioni di pericolo. Si è pertanto reso necessario avviare tutte quelle forme di tutela per i lavoratori e garantire all’utenza un servizio più dignitoso.

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La politica attiva per l’occupazione ha determinato in questi ultimi anni un massiccio e costante afflusso di utenza, in coda già dalle prime ore diurne. E’ questo uno dei principali motivi per cui il clima tende a scaldarsi: la folla si accumula agli sportelli e le gravi tensioni, purtroppo, sfociano a volte in veri e propri attacchi violenti ai danni dei dipendenti. Ma se le esigenze a cui far fronte sono numerose e complesse, perché non potenziare i centri? Si sa che essi dipendono dalle Regioni, e quindi esistono tanti modelli locali a cui corrispondono disparati livelli di performance. Certamente, uno dei fattori cruciali nel determinare le scarse prestazioni degli uffici risiede nell’età di uscita del personale, elevatasi inesorabilmente negli ultimi tempi. Sembra infatti che il personale in servizio abbia in media quasi 60 anni, età prossima alla pensione. I dipendenti dell’amministrazione pubblica del nostro territorio, dunque, sono impossibilitati di fatto a soddisfare le esigenze di un’utenza prevalentemente costituita da giovani disoccupati, i quali rinunciano, a causa di questo problema, al diritto di ricevere un servizio così importante che possa iscriverli soprattutto nelle liste del collocamento ed orientarli anche all’avvio al lavoro. I nostri centri dell’impiego rischiano di non garantire pertanto quella professionalità adeguata volta ad offrire un coinvolgimento maggiore nel mondo della formazione e dell’avviamento al lavoro. Questi in realtà servono essenzialmente all’orientamento, al bilancio di competenze o promozione di tirocini, nonché a formare e a reclutare, con un percorso, tantissimi giovani. I profili professionali che ruotano attorno a questi uffici possiedono, di fatto, competenze tradizionali.

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Il Ministro del lavoro Luigi Di Maio, in linea con le politiche attive per la formazione continua di coloro che hanno perso il lavoro, più volte si è mostrato interessato a rilanciare i Centri per l’impiego (Cpi) e a favorire un’impennata degli sportelli regionali: “Questi uffici pubblici, eredi del vecchio ufficio di collocamento, hanno dimostrato negli ultimi anni la loro inefficacia: meno di quattro occupati su 100 (il 3,4%) in questi ultimi anni ha dichiarato di aver trovato un impiego”. Il vicepremier pentastellatoha parlato inoltre di innovazione tecnologica e ristrutturazione completa di questi centri: “I dipendenti sono meno di 8.000 (oltre 100.000 in Germania e 45.000 in Francia) e la spesa annua tra strutture e personale si aggira - secondo dati Eurostat - intorno ai 700 milioni contro 11,6 miliardi in Germania e 5,4 miliardi in Francia. Con tale carenza di personale e risorse, solo il 3% dei disoccupati che vi si rivolge trova lavoro, contro il 20% di Francia e Germania”.

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È possibile tuttavia far ripartire queste importanti risorse. Il dirigente pubblico Luigi Olivieri, che si occupa da anni di questi problemi, ha sottolineato la necessità di assumere subito nuovo personale: in Italia gli addetti dei Centri per l’Impiego sono appunto meno di 7mila, mentre in Germania ve ne sono circa 100mila. Da chi dovrebbe essere costituita la nuova professionalità, dunque? Sarebbero essenzialmente psicologi del lavoro e titolari di master post universitari in discipline legate alla ricerca, selezione e formazione del personale. L’obiettivo resterebbe quello di agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro unitamente ad attività di marketing.

Ester Lucchese

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