Il genio di Andy Warhol al Vittoriano di Roma
La pop-art più attuale che mai
In una società fluida come quella a noi contemporanea in cui prevale la tendenza alla mistificazione di disvalori, al superficiale, alla perdita dell’approccio contemplativo in favore dell’immediatezza, la corrente artistica della Pop-art, ispirata dal fenomeno sociale della nascita di una forma primordiale di quella società di consumo attualmente ancora in evoluzione, continua ad essere se non rivoluzionaria, per lo meno intuitiva e visionaria.
È per questa ragione che, a 90 anni dalla nascita di uno dei maggiori rappresentanti della Pop-art, le cui opere sono iconiche della corrente a livello globale, il Vittoriano di Roma ha deciso di ospitare dal 3 ottobre al 3 febbraio, 170 opere del celebre artista americano Andy Warhol per rendere omaggio non solo al suo genio risiedente nel messaggio lanciato con forza ed efficacia attraverso la sua arte, ma anche in generale ad un’esistenza straordinaria, fatta di trasgressioni, intuizioni ed eccessi ; in questo modo la mostra infatti riesce a far rivivere lo spirito di tre decenni, dagli anni ’60 agli anni ’80.
L’esposizione offre un percorso preciso che passa dalle serigrafie rappresentanti i celebri personaggi di Warhol, le opere che ormai fanno parte dell’immaginario collettivo, le quali conducono ad una stanza adibita ad un cyber campo di fiori luminosi che trasuda l’essenza del suo stesso spirito, e ancora le opere legate all’Italia, fino a una sezione in cui si dà spazio ai disegni dell’artista e alle mitiche Polaroid, compagna per lui inseparabile e strumento necessario per realizzare i ritratti.
La Pop-art all’epoca si contrappone all’eccessivo intellettualismo dell’Espressionismo astratto, rivolgendo la propria attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della nuova società dei consumi e incarnando un disagio esistenziale profondo, ovvero lo sviluppato senso ribellistico e anticonformista soprattutto delle nuove generazioni che si contrapponeva alla perfezione della realtà artificiale, al falso ottimismo e alla superficiale spensieratezza che la società dei consumi imponeva al fine di garantirsi dei profitti economici.
Il nome stesso « pop-art » infatti sta ad indicare non un’arte del popolo o per il popolo, bensì dev’essere interpretata come un’arte di massa, un’arte prodotta in serie, un’arte che come le masse senza volto, deve cercare di restare il più possibile anonima. « Comprare è più americano di pensare » afferma Warhol, « e io sono americano come qualsiasi altro». Questa frase incarna lo spirito della pop-art che propone volutamente valori quotidiani e banali che non fanno che testimoniare la sfrontata mercificazione dell’uomo moderno, l’ossessivo martellamento pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita.
La poliedricità di Warhol gli ha permesso di approcciarsi a tutte le nuove forme di comunicazione di massa come il cinema, la musica (basti pensare alla famosissima banana sulla copertina dell’album dei Velvet Underground), e la moda ; ed è sempre questa sua peculiarità che gli ha permesso di prevedere una certa evoluzione della società piuttosto che un’altra, facendo emergere quella società presa dalla smania del consumismo e dell’apparenza, in cui tutti sembrano essere alla ricerca di quei 15 minuti di celebrità, che non è poi così lontana a quella odierna, la quale anzi potrebbe essere considerata l’apice evolutivo della stessa. Nonostante ciò il curatore della mostra, Matteo Bellenghi, muove una riflessione personale affermando - "Oggi forse Warhol a 90 anni girerebbe con lo smartphone, pronto a condividere fotografie sui social network. Magari se fosse stato ancora vivo avremmo potuto assistere a un upgrade della sua opera", e spiega – "questo progetto è un racconto per immagini, con tanti oggetti e curiosità, per comprendere l’uomo accanto all’artista".
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