Il caffè pedagogico

Pensiero laterale : perché non possiamo essere razzisti

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L’etnicizzazione del reato e i mass- media

I recenti episodi di cronaca, di cui sono protagoniste le donne vittime di stupro, violenza e femminicidi, registrano una preoccupante crescita a cui corrisponde un altrettanto anomalo fenomeno denominato “etnicizzazione del reato”, il più delle volte alimentato dai mass media: tv, quotidiani e social.

Alcuni anni fa, quotidianamente venivano riportate storie di furti in appartamenti a opera di extracomunitari dell’est Europa, come se la quasi totalità degli avvenimenti di cronaca nera avesse come unico denominatore comune la nazionalità del reo.

Attualmente, il focus si è spostato sugli episodi di violenza perpetrata ai danni delle donne, e anche in questo caso la tendenza è quella di enfatizzare la provenienza geografica di colui il quale commette il reato.

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Recentemente inoltre, due casi di stupro, a Rimini e Firenze - a opera di africani il primo, di italiani il secondo - ha mostrato come si utilizzi, nel divulgare la notizia, il cosiddetto “doppio registro”: di ferma condanna nel caso dei violentatori africani, più possibilista e garantista per quel che concerne il reato commesso dagli italiani.

La violenza sulle donne non è l’unico ambito strumentalizzato da un certo tipo di mass media, in particolar modo la carta stampata orientata politicamente: la morte per malaria della sfortunata bambina di quattro anni ha scatenato titoli in prima pagina di alcuni quotidiani così pregni di razzismo che la Federazione Nazionale Stampa Italiana e l’ Ordine dei Giornalisti sono dovuti intervenire con il seguente comunicato :

«I titoli di alcune prime pagine sulla tragica morte per malaria della bimba trentina rievocano una certa “caccia all’untore” di manzoniana memoria e non fanno certo onore alla nostra professione di giornalisti.

Il ricorso a titoli sensazionalistici e privi di riscontri oggettivi nei confronti di persone straniere, oltre a minare la credibilità dell’informazione, viola il testo unico dei doveri del giornalisti, in particolare in materia di diffusione di notizie sanitarie, ingenerando nell’opinione pubblica timori infondati.

Le generalizzazioni finalizzate ad incitare sentimenti di odio e di risentimento per motivi razziali contrastano, al di là dell’etica e delle regole professionali, con la missione primaria del giornalismo, che deve saper costruire la fiducia dei lettori rispettando sempre la verità sostanziale dei fatti e la tutela delle personalità altrui.

La libertà di espressione ed il rispetto dell’art. 21 della Costituzione non possono essere invocati per far passare messaggi di odio indiscriminato in una supposta interpretazione dei sentimenti dell’opinione pubblica, che invece deve poter ricevere un’ informazione corretta e scevra da suggestioni infondate».

cms_7229/3.jpgSe volessimo attribuire veridicità agli stereotipi e ai pregiudizi che per anni hanno riguardato gli italiani immigrati negli States agli inizi del Novecento, dovremmo definirci un popolo di mafiosi, mangiatori di pizza e suonatori di mandolino. Sono infatti note le affermazioni sugli italiani tratte dalla Relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano dell’ Ottobre 1912. In sintesi:

«Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.

Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.

Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.

Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.

Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.

Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.

Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.

Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.

Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.

I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali».

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Sono sorprendenti le analogie con quanto leggiamo su alcuni quotidiani o sui social circa il fenomeno dell’immigrazione nel nostro Paese …

Ed è proprio per questo che non solo non dobbiamo, ma non possiamo essere razzisti, prima di tutto perché se il quattro per cento dei crimini a sfondo sessuale è commesso da immigrati ne consegue che sei stupratori su dieci sono italiani; in secondo luogo, perché la consapevolezza degli errori commessi nel passato dovrebbe fungere da monito affinché la storia non si ripeta nel tempo, sia pur con persone di nazionalità diverse dalla nostra.

Lucia D’Amore

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