Il caffè pedagogico

Sulla sindrome di alienazione genitoriale

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Nota come P.A.S. (acronimo di Parental Alienation Syndrome), la sindrome da alienazione genitoriale è una dinamica di carattere psicologico che si verifica ai danni dei minori in occasione di separazioni, specie se conflittuali, e/o in caso di violenza all’interno delle mura domestiche.

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A seguito del crescente numero di controversie direttamente proporzionali al numero di richieste di separazioni, il Legislatore ha regolamentato “il diritto del minore di mantenere il rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori” ( L. 54/2006 ). Il diritto alla bi-genitorialità, sancito dalla “Convenzione sui diritti dell’Infanzia”, tende a palesare il principio secondo cui un bambino deve avere la legittima aspirazione a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche (e non solo) nel caso in cui questi decidano di “separarsi”.

Essere genitori è un impegno che si prende vita natural durante nei confronti dei figli, e non certo verso l’altro genitore. Questo principio diviene uno snodo fondamentale per comprendere quanto siano ingiuste ed inopportune le macchinazioni messe in atto per screditare uno dei due, facendo sì che questo venga messo in cattiva luce agli occhi dei propri figli.

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Generalmente, per quanto doloroso e lungo possa essere, l’iter di una separazione giunge prima o poi al suo epilogo. Stabiliti i termini di natura economica, si arriva ad un accordo sull’affidamento dei figli, quando ricorrono i presupposti condiviso. Tuttavia questo potrebbe essere solo l’inizio di un percorso irto di ostacoli allorché le questioni di natura psicologica siano rimaste irrisolte. Entra a questo punto in gioco la P.A.S.

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Le dinamiche messe in atto, solitamente (ma non esclusivamente) dalla madre, in quanto in genere ella ricopre il ruolo di genitore “collocatario”, seguono fondamentalmente due modalità: esplicite, dunque segnalabili alle autorità competenti, o sottilmente implicite e di conseguenza difficilmente dimostrabili.

Teorizzata da Gardner, la Sindrome da alienazione genitoriale ha come principale caratteristica la denigrazione da parte del bambino verso un genitore, senza alcuna giustificazione. Essa deriva dall’associazione tra l‘indottrinamento da parte di uno dei genitori e il contributo dato dal minore. Si parla, appunto di bambini “programmati” o che subiscono un lavaggio del cervello. Il genitore che influenza il proprio figlio, aizzandolo contro l’ex-partner, viene definito “programmatore“.

Nella sua forma esplicita le tecniche che il genitore alienante, in modo più o meno consapevole, mette in atto per la “programmazione” del bambino sono:

a) manipolare i fatti sempre a proprio vantaggio e a svantaggio dell’altro

b) riscrivere il passato e la realtà, facendo comparire in una veste compromessa l’ex partner

c) mostrare gusti, pensieri completamente opposti a quelli dell’altro

d) drammatizzare i fatti e ricordare al bambino di essere il genitore migliore tra i due e l’unico che lo ha cresciuto e si è occupato di lui

e) sottolineare l’inaffidabilità dell’altro genitore e considerarsi l’unico capace di prendersi cura dei bambini

f) creare problemi, confusione e sensi di colpa nel momento in cui il bambino deve vedere l’altro genitore.

La lista degli atteggiamenti espliciti potrebbe continuare, sebbene siano stati elencati i comportamenti più frequenti.

Vi sono tuttavia alcune “non azioni”, altrettanto insidiose da parte del genitore “programmatore” che alla lunga deteriorano il rapporto tra i minori e l’altra parte, atteggiamenti questi che risultano essere sottilmente dannosi, ma così impercettibili da non poter essere dimostrati con certezza e conseguentemente denunciati.

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Solitamente il minore, distratto dai suoi innumerevoli interessi e impegni, si sottrae involontariamente ai contatti, sia pur telefonici, con uno dei genitori; compito dell’altro è quello di garantire una comunicazione efficace e costante che vada ben oltre il principio del “non ostacolare” ma che piuttosto favorisca il legame con i figli pre-esistente alla separazione dei coniugi.

La legge tutela il genitore “alienato” e la psicologia delinea livelli di gravità e trattamenti adeguati orientati su :

1) Il bambino, al fine di ristabilire un corretto esame di realtà, ricostruire il legame e la relazione con il genitore “alienato”, lavorare sul senso di colpa e sull’incapacità di differenziarsi e separarsi dal genitore alienante e dai suoi giudizi e pensieri;

2) Il genitore alienante, al fine di far comprendere la differenza che intercorre tra il conflitto coniugale di coppia e il ruolo genitoriale che da tale conflitto non può né deve essere messo in discussione, al fine di riconoscere i danni che tale comportamento può creare nel presente e nel futuro al proprio bambino, al fine di ricostruire un legame con quest’ultimo caratterizzato dall’equilibrio, dalla protezione dai conflitti, dall’attenzione alle sue esigenze, emozioni, necessità e al fine di evitare che egli sia trattato come uno strumento e un’arma nel conflitto con l’ex partner e non come una persona;

3) Il genitore alienato, per offrire strategie atte a ristabilire il legame con proprio figlio.

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Affinché la terapia psicologica possa risultare efficace è tuttavia fondamentale che il genitore alienante prenda coscienza di quanto stia accadendo e metta da parte il suo rancore residuo nei confronti dell’altra parte per focalizzare la sua attenzione sul benessere psico-fisico del bambino.

Lucia D’Amore

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