Il caffè pedagogico

Internet e il “Medioevo digitale”

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Siamo tutti a conoscenza di come secoli di storia siano entrati nei testi di scuola per illuminarci su antiche civiltà, guerre, usi e costumi di tutti i popoli della terra.

Gli studiosi hanno potuto ricostruire grazie a fonti orali e scritte la fitta trama di eventi che ci ha preceduti, talvolta facilitati dalla ricchezza dei documenti; in altre occasioni invece, specie per le epoche antecedenti l’uso della scrittura, hanno dovuto affrontare non poche difficoltà per colmare eventuali lacune derivanti dall’assenza di testimonianze scritte.

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Secondo il dott. Vinton Cerl, uno dei “padri di Internet”, stiamo per rivivere una sorta di “Medioevo digitale” a causa della nostra abitudine ad archiviare foto, certificati ed ogni tipo di documento su supporti talvolta inaffidabili.

È come se spingessimo il tutto in una sorta di buco nero inaccessibile a coloro i quali, nel futuro, vorranno conoscere il ventunesimo secolo, proprio come gli storici hanno sempre fatto, ricercando testimonianze preziose per la ricostruzione delle civiltà passate.

Sarebbe opportuno chiarire, affinché ciò non accada, il concetto di “preservazione digitale” così da assumerlo come modus operandi quando ci accingiamo ad archiviare tutto ciò che riguarda noi e i nostri cari.

Man mano che aggiorniamo i sistemi operativi ed i software dei nostri personal computer, i documenti e le immagini salvati con le vecchie tecnologie diventano inaccessibili (come nel caso delle vecchie video cassette attualmente in disuso).

Nei secoli che verranno, gli storici che si troveranno a guardare indietro alla nostra Era potrebbero trovarsi davanti a un “deserto digitale” paragonabile al Medioevo, un’epoca di cui sappiamo relativamente poco a causa della scarsità di documenti scritti.

Pensando a 1000, 3000 anni nel futuro, dobbiamo domandarci: come preserviamo tutti i bit di cui avremo bisogno per interpretare correttamente gli oggetti che abbiamo creato?

“Nei secoli a venire - afferma ancora Cerl - chi si farà delle domande su di noi incontrerà delle enormi difficoltà, dal momento in cui la maggior parte di ciò che ci lasceremo dietro potrebbe essere solo bit non interpretabili”.

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È già accaduto per i floppy disk, utilizzati per il salvataggio dei file, i cui strumenti per leggerli sono attualmente esposti nei musei dell’elettronica. Stessa sorte è toccata alle audio cassette, ai supporti contenenti i primi video giochi ecc…

Detto in altri termini, il digitale ci ha sedotto con l’idea che il bit sia immortale, motivo per cui quando abbiamo qualcosa a cui davvero teniamo corriamo subito a digitalizzarlo: foto, vecchi filmini di famiglia, lettere d’amore, documenti notarili, eccetera. Peccato, però, che anche i bit possano “marcire” e “putrefarsi” (Cerf parla espressamente di “putrefazione dei bit”) se leggerli diventa tecnicamente impossibile.

Una possibile soluzione potrebbe essere quella di stampare tutto ciò che riteniamo importante, al fine di lasciare qualcosa che “parli di noi” ai posteri.

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O ancora, ricorrere alla “pergamena o manoscritto digitale”, un concetto su cui stanno lavorando gli ingegneri della Carnegie Mellon University di Pittsburgh. In sostanza, si tratta di fare delle “istantanee digitali” (“snapshot”) – nel momento in cui un oggetto viene salvato – di tutti i processi che in futuro saranno necessari per riprodurlo, incluso il software e il sistema operativo. L’istantanea potrebbe poi essere utilizzata per visualizzare la foto, il testo o il gioco in un computer “moderno”, anche a distanza di secoli.

Nel frattempo continueremo a preoccuparci di ottenere l’oblìo digitale, senza sapere che quasi ci stiamo riuscendo.

Il problema è che rischiamo di smarrire ciò che ci rappresenta: la voragine che stiamo creando non faciliterà il compito dello storico, per il quale, a distanza di secoli, anche documenti apparentemente irrilevanti potrebbero risultare importantissimi al fine di comprendere un’epoca con la sua sensibilità e il suo punto di vista.

Lucia D’Amore

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