Il Ricatto … ora siamo al ricatto!

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“Claro” è un comune di 2.700 abitanti a nord di Bellinzona, sotto i primi contrafforti delle Alpi. Per ben intenderci e per meglio inquadrare il posto è meglio dire che il confine italiano non è vicinissimo, una sessantina di chilometri circa, ma l’onda lunga del fenomeno che da un decennio sta trasformando il mercato del lavoro in Canton Ticino arriva fin qui. Anche lo scorso anno il numero dei pendolari italiani che varcano ogni giorno la frontiera per lavorare accettando paghe più basse rispetto agli elvetici è cresciuto arrivando a sfondare il tetto delle 60 mila unità (nel 2001 erano all’incirca la metà).

cms_1809/claro3.jpgE benché il tasso di disoccupazione ufficiale sia poco più del 4%, benché le imprese locali ripetano a ogni occasione che i lavoratori provenienti da oltreconfine sono indispensabili, la valanga degli «italiani che rubano il lavoro» monta sempre più. In questa cittadina il Comune ha lanciato circa due settimane addietro una campagna in cui non solo invita le aziende di ogni settore a privilegiare residenti svizzeri nelle assunzioni ma anche a rivendicare la scelta esponendo un logo con la scritta «noi impieghiamo personale residente». Sul logo compare anche una sorta di pagella in cui l’imprenditore indica qual è la percentuale (da 20 a 100) di elvetici al lavoro nella sua azienda; sconti fiscali o altri premi non sono ammessi dalla legge, il titolo è puramente onorifico.

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Una sorta di «white list» commerciale, la definiscono in municipio, in contrapposizione alla «black list» dei Paesi considerati complici degli evasori fiscali in cui il governo italiano continua a includere la Svizzera. «Il problema lavoro per noi era gravissimo ed è peggiorato dopo che franco svizzero ed euro hanno raggiunto la parità - racconta il sindaco Keller - ma si sa che di fronte a vantaggi di costo le imprese scelgono sempre di risparmiare. Però molte persone da tempo mi ripetono: sarei disposto a pagare merci o servizi qualche franco in più se almeno sapessi che vanno ad arricchire l’economia ticinese e non quella italiana (che forte puzza di razzismo). La cittadina denominata Claro è un comune piccolo, non sposteremo certo gli equilibri ma lanciamo un segnale: l’invito è destinato anche alle aziende dei centri più vicini al confine perché facciano altrettanto».

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Un segnale del genere presta il fianco all’accusa di xenofobia... «Obiezione respinta - ribatte il Sindaco Keller - perché l’appello è ad assumere residenti, che non significa necessariamente svizzeri ma anche stranieri che vivono stabilmente in Ticino. È una questione innanzitutto di equilibrio: da quando il numero dei frontalieri è esploso sono nate storture nel mercato del lavoro. Ma anche di trasparenza: il negozio o l’azienda espone il logo e si assume il rischio, il cliente può fare la sua scelta. Non sta avvenendo la stessa cosa in Italia con i prodotti doc o la concorrenza sleale dei cinesi?». I cinesi stavolta siamo noi, sono i lavoratori italiani che accettano impieghi in Svizzera per un salario più basso del 15-20% rispetto agli elvetici e che ormai sono arrivati a occupare un quarto dei posti di lavoro disponibili in Ticino. Il problema insomma tiene banco ben al di fuori dei piccoli confini di Claro: dopo la tempesta valutaria di due settimane fa i sindacati hanno cominciato a denunciare casi in cui gli imprenditori hanno decurtato la busta paga degli italiani; in più ieri si sono incontrati per la prima volta la Presidente della Confederazione elvetica Simonetta Sommaruga e il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Oggetto del vertice: la decisione svizzera di porre un tetto all’arrivo di immigrati e lavoratori stranieri così come stabilito dal referendum del 9 febbraio 2014. La volontà popolare fa però a pugni con i trattati internazionali sottoscritti da Berna con Bruxelles e la soluzione è in alto mare. E allora non resta che affidarsi alle soluzioni «fai da te», come la soluzione adottata dal piccolo comune di Claro.

Francesco Mavelli

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