I RAGAZZI DI CORBINO. NOI SICILIANI SIAMO SIMPATICI (parte prima)

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Premessa

"Noi siciliani," diceva Lucio Piccolo quando si crucciava di qualche critico dell’Italia del Nord che non capiva la sua poesia o non la degnava di attenzione, "siamo antipatici". Non ne cercava le ragioni: e credo ritenesse non ce ne fossero se non a rovescio, contro ogni ragione. E del resto l’antipatia di ragioni non ne ha mai. Era, la sua, una constatazione ormai, per assuefazione, appena dolente: rassegnata, accettata. E in un certo senso goduta, poiché è degli uomini diciamo speculativi, la capacità di estrarre da una condizione infelice una certa felicità, una sottile allegria”. Così Leonardo Sciascia, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 2 settembre 1984. Francamente, non uno scrittore alieno dal calamitare sentimenti di avversione.

Grati a Leonardo Sciascia e Lucio Piccolo per la scaturigine, questo assunto ci ritorna in mente, a noi, che non siamo Battisti e Mogol, giacché siamo della Sicilia figli e perché – lo coglierebbe anche un figlio della Papuasia – c’è qualcosa, invero, che non quadra e che a soqquadro pone il pensiero: esiste forse un obnubilar Trinacria?

Se la Sicilia è impantanata nello stereotipo, mentre si dimentica la storia con la esse maiuscola, la cultura, le soggettività e la genialità, non si può che concludere per la sussistenza di patologiche dimenticanze o per, appunto, l’antipatia. Che, allora, ricada anche su di noi, antipaticamente siculi.

Andiamo al Nostro.

Fermi, Rasetti, Segrè, Pontecorvo, Amaldi, Trabacchi, D’Agostino e Majorana. Come vengono accomunati, questi scienziati, da chi mastica un minimo di conoscenza, cioè da chi, leggendone i nomi, non ipotizza di primo acchito una squadra di calcio? Semplicissimo: “I ragazzi di via Panisperna”.Eppure, per circa 30 anni, almeno fino al 1965, sono stati conosciuti come “I ragazzi di Corbino”. Erano, dunque, “i ragazzi” del siciliano Mario Orso Corbino; poi … puff! … la traccia di Sicilia scompare e “i ragazzi” si connettono a una strada romana che, sia detto per inciso, è suggestiva e ben posizionata nell’Urbe, non lontana dal Viminale. Piuttosto che essere i ragazzi che si raccolgono intorno a un umano riferimento, i giovani scienziati sono divenuti, nella idea collettiva, qualcosa di assimilabile a “I ragazzi della via Pàl”. Se “di Corbino”, i ragazzi li immagini in una stanza a discutere, a tracciare appunti, a ricevere un sorriso o un paternale incoraggiamento dal loro leader, dal loro maestro; se “di via Panisperna”, li pensi lungo la strada, intenti a entrare o uscire dal condominio, la spesa in mano, un cenno alla fidanzata … o, peggio ancora, elementi verticali su un piano viario, un po’ come i pini di Roma che, in verità, in via Panisperna non avrebbero spazio, i semafori, i cartelli stradali, lo stop. Ecco, ci siamo. Fermi, con quel cognome, ci invita a fermarci e a ragionare. Facciamolo.

Mauro De Mauro, in un articolo del 6-7 ottobre del 1965 pubblicato sul mitico giornale “L’Ora” di Palermo, fa cenno ai “ragazzi di Corbino”, non ancora asfaltati in una via. Il titolo del pezzo è emblematico: “La sconvolgente avventura di Ettore Majorana – I ragazzi di Corbino”. Possiamo ben dire che, fino a quella data, abbiamo un’autorevole prova della rilevanza attribuita a Corbino, prima che il suo nome scomparve. Scomparsa misteriosa, come quella – nel 1970 – dello stesso povero De Mauro, fin troppo arguto e voglioso di sapere per non destare la preoccupazione di mafia e apparati vari. I silenzi e le sparizioni – così come l’accomodamento storico – frustrano il sacro urlo di libertà e verità.

Possiamo dare torto preconcetto a Piccolo? Forse anche intorno a Salvatore Quasimodo, premio Nobel nel 1960, non degnamente festeggiato in Italia, si sono addensate nubi di antipatia. Il poeta modicano, diplomato ragioniere nello stesso istituto Jaci di Messina che diede solide basi a personaggi insigni, ha forse pagato le origini?

Lo studio degli effetti del bombardamento dei nuclei atomici con neutroni rallentati dall’idrogeno, utilizzando la paraffina, sostanza ricca di idrogeno, cioè neutroni lenti, ha dato il via alla realizzazione del primo reattore nucleare a fissione: è più importante rammentare dove si riunivano i migliori cervelli dell’epoca che a ciò si applicarono oppure ricordare il gruppo, il mentore e il maestro che lo guidava proteggendolo da invidie, gelosie e attacchi politici? È decisamente anomalo che si cancelli, nella memoria collettiva, il nome del mentore.

Deve far riflettere quel che scrive il professor Giovanni Vittorio Pallottino nel 2010 e nel 2013. Egli, fisico di chiara fame, così si esprime nel suo contributo “Scienza e Tecnologia tra ‘800 e 900”, pubblicato su Nuova secondaria – n. 2 del 2010: “… Tuttavia il ricordo dei meriti di Corbino non evitò, nei primi anni ’80, che la nostra proposta di intitolargli un liceo scientifico, l’attuale liceo Talete di Roma, venisse respinta dagli insegnanti. Sempre il Prof. Pallottino, nell’articolo “Aristocrazia del pensiero e forma istituzionale”, del 3 gennaio 2013, ritorna sull’argomento, ipotizzando che il rigetto della proposta fosse connessa all’influenza dello “spirito del Sessantotto”.

Meno male! Se così fosse, potremmo fugare il dubbio di una sorta di damnatio memoriae a cagione della sicilianità. Peccato che una ragione politica non sarebbe motivo per fare salti di gioia. Se “i ragazzi di Corbino” diventarono “i ragazzi di Via Panisperna” nell’onda dello spirito Sessantottino, c’è quanto basta per una profonda e obiettiva riflessione e domandarsi – ca va sans dire! – se lo scienziato sia da annoverare tra gli uomini del regime dittatoriale di Mussolini.

Gianni Amelio, il regista del film “I ragazzi di via Panisperna”, intervistato da Anna Maria Mori come da articolo “I padri dell’Atomica” apparso su “La Repubblica” del 1° dicembre 1987, ha asserito: “Orso Mario Corbino, che il fascismo farà ministro della Pubblica Istruzione…. Strano fascista, questo Corbino: privilegiò sempre i discorsi di grande innovazione. Mah! In realtà Corbino fu Ministro della Pubblica Istruzione del Governo Bonomi. E, come diremo in seguito, neanche il fascismo considerò Orso Mario Corbino come un fascista. Per non parlare del fratello Epicarmo osteggiato dal fascismo per un ventennio e difeso da Orso Mario contro la stampa fascista. E allora? Se si è fascisti pur non essendolo e se si è condannati alla invisibilità … Si, noi siciliani siamo antipatici.

Cera una volta….

Orso Mario Corbino nacque ad Augusta il 30 aprile 1876, da Vincenzo, proprietario di un piccolo pastificio, e da Rosaria Imprescia. Era il secondo di sette figli, tra i quali sarebbe emerso anche Epicarmo, il quarto, futuro ministro del Tesoro con De Gasperi. Una famiglia povera che riuscì a inculcare ai propri figli, umiltà, serietà, passione per il lavoro, amor di Patria e quanto era ritenuto d’uopo in quell’epoca. Vincenzo aveva destinato il piccolo Orso Mario alla carriera ecclesiastica ma Rosaria non era molto d’accordo. Si sa come vanno le cose in questi casi, alla fine vincono sempre le donne. Orso Mario restò al seminario solo due e anni e ne uscì a undici anni, per diventare… “Orso Mario Corbino il condottiero della grande fisica in Italia, come qualificato dal titolo della biografia scritta su “Orizzonte salute”, l’8 gennaio 2019, da Elio Adelfo Cardinale (sottosegretario di Stato alla Salute nel governo Monti, tra l’altro). Questo l’incipit della biografia: “Pietro Cignolini– genovese, scienziato di fama internazionale – professore a Messina e Palermo, maestro di tutti i radiologi della Sicilia, affermava che la “salinità mentale” dei siciliani non ha il pari in nessuna parte del mondo. Orso Mario Corbino è testimonianza paradigmatica di tale asserzione.”. Sale in zucca, dice il volgo. Nella specie, un antipatico salato.

Orso Mario ha avuto il grandissimo merito di avere sviluppato e coltivato con tenacia il suo talento e la sua intelligenza. Non a caso, ad Augusta, veniva additato ad intere generazioni di bambini, come esempio da seguire per la volontà e la tenacia dimostrate nell’applicarsi allo studio e veniva citato come il figlio del piccolo pastaio che per leggere e studiare utilizzava anche la luce a gas dei lampioni stradali. E i risultati sono arrivati. Sono rari gli uomini che, nel ventesimo secolo, hanno vissuto vicende tanto esaltanti come quelle di Corbino che, entrato giovanissimo nelle alte sfere della fisica pura, assaporava le soddisfazioni delle pratiche applicazioni della scienza, e, nella ininterrotta continuità dell’insegnamento universitario, esercitava il potere di governo nei settori della pubblica istruzione e dell’economia nazionale, dedicandosi, poi, alla costituzione della gloriosa scuola di fisica moderna di Roma, mentre, negli ultimi anni della sua vita, presiedeva alle direttive artistiche sulle radiodiffusioni e preparava le prime applicazioni sperimentali per le trasmissioni televisive. Caratteristica della sua meravigliosa vita, la coerenza esistenziale che, nel volubile mondo delle ideologie politiche, gli consentiva di non fare la comparsa, né il semplice spettatore, ma di svolgere, invece, sempre il ruolo di protagonista, perché nel suo mondo, che era il mondo della cultura e della scienza e delle sue applicazioni pratiche, la continuità della sua azione, al servizio del progresso della civiltà del sapere, era inarrestabile ed emergeva nitida la sua figura di uomo di scienza, al di sopra delle parti e delle fazioni, fiero e orgoglioso della propria indipendenza, convinto e consapevole di avere riportato ai più alti livelli la gloriosa tradizione scientifica italiana della fisica.

Il contesto storico, i rapporti col fascismo

Una testimonianza è fornita dal fratello Epicarmo: “A me poi capitò un infortunio stranissimo, che dimostra con quale spirito eravamo trattati noi firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti...Prendendo pretesto di una mia nota sulla disoccupazione, il giornale «Roma Fascista» del 23 settembre 1934 mi attaccò dicendo che quello che io avevo scritto era «roba da confino». Naturalmente questo attacco scatenò tutta la stampa provinciale contro di me, ed un giornale di La Spezia si spinse fino a dire che dopo 15 anni «ero uscito dalla tana». Riuscii a far pubblicare una rettifica su «Roma Fascista» per il tramite di Luigi Amoroso, mentre mio fratello scrisse a Mussolini una lettera nella quale denunziava i danni dell’eccesso di zelo della sua stampa. Fu questo uno degli episodi per i quali mio fratello rifiutò di accettare l’iscrizione al partito fascista, allora ed anche dopo ripetutamente offertagli”.

Fra gli incarichi di Corbino c’era quello di Presidente della Commissione per le direttive artistiche e la vigilanza delle radiodiffusioni. I nuovi compiti si estendevano al campo politico e Corbino ritenne di non potere continuare a presiedere la Commissione non essendo iscritto al Partito Fascista. Ma il ministro Ciano gli fece sapere che per decisione di Mussolini doveva restare alla presidenza della Commissione. Riferiva questi particolari, nella seduta del Senato del 20 maggio 1936, in un intervento relativo ai servizi sulle radiodiffusioni, come dimostrazione delle direttive del Governo Fascista, costantemente seguite, di ricorrere, anche per compiti di responsabilità politica, a cittadini non appartenenti al partito fascista. E ancora. Allorché al Senato venne portata, per la discussione e l’approvazione, la legge per la regolarizzazione delle attività delle Associazioni, Corbino si rese conto che, in effetti, la legge costituiva una violazione della libertà di associazione ed intervenne con un discorso di critica serena, ma ferma. Resta a suo onore il fatto che il suo discorso venne interrotto, ben dieci volte, con commenti animati, altissimi e proteste e rumori vivacissimi. Non si può non rilevare che Corbino apparteneva a quella particolare categoria di cittadini, di grande prestigio internazionale, che persino una dittatura ha difficoltà o danno a discriminare, tanto più quando, come nel caso specifico, c’è la certezza che nell’espletamento delle loro funzioni sono assistiti da profonda competenza e animati da patriottismo e dalla passione per lo sviluppo e il progresso del Paese.

Lo stesso Federzoni, Presidente del Senato, fu costretto ad ammettere la sua indipendenza di giudizio, in occasione della commemorazione fatta nella seduta del 16 marzo 1937, anche se, molto diplomaticamente, ne spiegava i motivi con la “tormentosa acutezza di quella sua tempra prevalentemente critica”. Il fascismo rispettò Corbino anche dopo la sua morte, basti dire che non si appropriò della sua figura e dei suoi meriti. Infatti, nel primo annuncio della sua morte, dato dal “Giornale Radio” trasmesso dalla Stazione di Roma la sera del 23 gennaio 1937 alle ore 20:10, chi era abituato alla retorica allora in auge, rimaneva sorpreso dal fatto che, per una personalità di tanto rilievo, non erano state usate le solite frasi celebrative: ... “gloria e vanto del regime” ... “entusiastico assertore del regime”..., e che il vocabolo “fascista” era usato solo per la definizione del governo del 1923, al quale Corbino aveva partecipato come indipendente, governo composto da una coalizione politica in cui, su dodici componenti, i fascisti erano presenti con due ministri oltre a Mussolini, che era il Presidente. Tutto ciò, in un contesto dove la gran parte della popolazione per convinzione, ma spesso solo per avere dei vantaggi materiali, si iscriveva al partito fascista, anche falsificando le carte per poter dimostrare che aveva partecipato alla marcia di Roma o che era iscritta da tanti anni al partito fascista.

(continua domani)

Andrea Vaccaro e Camillo Beccalli

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