INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Come cambia il mercato del lavoro

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cms_22698/1.jpg“Il mondo del lavoro nel 2014 avrà pochi lavori di routine che possono essere svolti meglio da qualche macchina invece che da un essere umano. I pochi fortunati che potranno essere coinvolti in lavori creativi di qualsiasi tipo saranno la vera élite dell’umanità, poiché solo loro faranno di più che servire una macchina”.

Era solo il 1964 e il testo di questa frase visionaria appartiene al noto scienziato Isaac Asimov. Sono passati quasi 60 anni e oggi ci ritroviamo, dopo lo spettro del capitalismo, ad affrontare un altro spettro che si aggira pericolosamente nelle nostre vite: l’intelligenza artificiale. Sfatiamo subito un falso mito, o meglio, una previsione, questa volta ancor più pessimista, a firma di Jeremy Rifkin, il quale 30 anni fa circa preconizzava “la fine del lavoro (titolo poi di uno dei suoi libri di maggior successo internazionale). Riassumendo, secondo Rifkin, saremmo presto andati incontro a una disoccupazione gravissima causata dalla rivoluzione tecnologica in atto a partire dalla fine del secolo scorso e che nel 21° secolo si sarebbe poi istituzionalizzata a livello mondiale. Le cose come sappiamo non sono state così catastrofiche per l’economia, anche se in molti settori dove si utilizzano le nuove tecnologie (ICT), ci si chiede quale possa ora essere il ruolo del lavoratore. Con più di 45 milioni di persone disoccupate nei paesi dell’area OCSE, timori e tremori legati a inquietudine e preoccupazione, aumentano sia tra le stesse categorie dei lavoratori sia tra i politici e i sindacati.

cms_22698/2_1627774398.jpgSe però si vanno a guardare i dati che si riferiscono agli impatti concreti che le tecnologie IA hanno avuto negli ultimi anni, si nota come esse abbiano integrato l’attività umana invece che sostituirla del tutto, aumentando paradossalmente i posti di lavoro nelle aziende e nelle fabbriche. Nonostante i numeri e le rassicurazioni provenienti dagli studi di settore, ansie e paure fanno crescere le domande e i dubbi di economisti e studiosi sugli effetti dell’IA sia sull’occupazione sia sui salari dei dipendenti. Ci si chiede per esempio se l’utilizzo trasversale in ogni ambito lavorativo dell’IA e la capacità di eseguire anche compiti cognitivi possa portare a una perdita nel tempo di un numero elevato di posti di lavoro rispetto ai vecchi processi di automazione già presenti. L’impatto però più rilevante non sarà su questi punti, quanto sulla disparità di reddito tra lavoratori con elevate skills e lavoratori poco qualificati, in quanto nell’economia del futuro alle macchine bisognerà insegnare ad agire e dunque bisogna avere un atteggiamento complementare e non alternativo a esse. Oggi con la predominanza dell’IA sono sì a rischio tanti posti di lavoro, ma la semplificazione ideologica che c’è alla base di tale affermazione richiede come risposta paradossalmente proprio un aumento di investimenti nel settore della tecnologia che sappia assorbire nuove competenze utili per creare una migliore interazione con le macchine. Come ci ricorda in un suo libro Massimo Chiriatti «sarà il lavoro a trovarci. […] Nel luogo che vuole, con le capacità che richiede, alle condizioni economiche, politiche e sociali più convenienti. […]

cms_22698/3.jpgSe la tecnologia costa sempre meno, si cerca di sostituire il lavoro umano dovunque sia possibile. Non siamo noi che formiamo il lavoro, ma è il lavoro che ci plasma». Cambiano le prospettive della domanda e dell’offerta in un panorama dove si fa un uso altissimo, volenti o nolenti, di tecnologie e dove vi è una forte densità di comunicazione tra persone sempre in movimento. Si torna allora a parlare di algoritmo (vedi articolo pubblicato dal sottoscritto il 25/07/21), dominus in grado di gestire un lavoro sempre più digitalizzato e forte della sua potenza di calcolo nel raccogliere e processare grandi quantità di dati da utilizzare anche nella gestione del personale (monitoraggio, produttività, selezione, organizzazione, formazione). Sono allora i calcoli e le previsioni algoritmiche più delle altre a suonare come un campanello d’allarme per il loro utilizzo estensivo e la mancanza di trasparenza. Se dunque i lavori sostituiti effettivamente dalle macchine, come ormai sta accadendo da molti anni, saranno sempre più mansioni semplici e ripetitive, i lavoratori dovranno prepararsi a tale sfida attraverso una riqualificazione e ad essere impiegati in task affini e specializzate. C’è bisogno di un cambio di consapevolezza sugli effetti dell’IA che specifichi come essa vada a integrare e automatizzare alcuni compiti routinari e abbia la capacità di liberare l’uomo per altre specifiche competenze.

Andrea Alessandrino

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