INQUIETANTI CONNESSIONI TRA CORONAVIRUS E SMOG: PARLA LA SCIENZA
L’inquinamento da polveri sottili potrebbe spiegare l’alto tasso di mortalità del Nord Italia
La pandemia che si sta diffondendo finanche nei più remoti angoli della Terra e la nube di smog che spesso fa capolino nelle nostre città sono accomunate da un macabro particolare: quotidianamente, entrambe finiscono per essere causa di innumerevoli decessi. Mentre i numeri del coronavirus sono ormai noti ai più, ben pochi immaginano che, come stimato in un recente rapporto Greenpeace [1], la contaminazione atmosferica possa uccidere oltre 4,5 milioni di persone all’anno nel mondo, 56mila solo in Italia.
Ma non è tutto: ultimamente, un altro inquietante collegamento tra le due calamità ha cominciato a farsi strada, corroborando ipotesi già avanzate da diversi esperti. I ricercatori dell’Università di Harvard (Usa) hanno riscontrato una significativa correlazione tra il livello inquinamento atmosferico e la percentuale di letalità del virus, spiegata in questi termini: “Un piccolo aumento dell’esposizione a lungo termine al particolato Pm2.5 porta a un grande innalzamento del tasso di mortalità da Covid-19”. “Abbiamo osservato - dichiarano gli autori dello studio, disponibile in versione pre-print [2] - che l’aumento di un solo microgrammo/metro cubo nei livelli di Pm2.5 è associato a una crescita del 15% del tasso di mortalità da Covid-19, con un intervallo di confidenza del 95% (5-25%)”. La ricerca è stata condotta incrociando i tassi di concentrazione dei particolati fini negli ultimi 17 anni - stando a quanto registrato in 3mila contee degli Stati Uniti, che ospitano il 98% della popolazione americana - con gli attuali dati relativi a ricoveri e decessi da coronavirus. L’aumento di mortalità associato alla nuova pandemia risulta essere 20 volte superiore a quello di altre patologie, compresi i disturbi dell’apparato respiratorio. D’altronde, già nel 2003 il dott. Zuo-Feng Zhang, preside associato per la ricerca presso la University of California, aveva osservato che i decessi provocati dalla Sars (Sindrome respiratoria acuta grave, appartenente alla “famiglia” dei coronavirus) erano nettamente più frequenti nelle aree cinesi interessate da maggiore contaminazione ambientale [3].
Cosa si intende esattamente per Pm2.5, illustre sconosciuto finito sul banco degli imputati? Si tratta di una sostanza inquinante che si diffonde attraverso particelle talmente piccole (la cifra 2.5 fa riferimento proprio alle loro dimensioni medie, ndr) da penetrare negli alveoli polmonari e raggiungere il sangue. Alcune evidenze vedono coinvolto il particolato anche nell’insorgenza del cancro al seno, oltre che di gravi danni a carico delle vie respiratorie e del sistema cardio-circolatorio. Non è difficile immaginare come l’esposizione prolungata a tali molecole possa influenzare negativamente il decorso dell’infezione da Covid-19, impennando esponenzialmente la probabilità di incorrere in fatali complicazioni.
Analoghe a quelle descritte poc’anzi sono le evidenze emerse da uno studio tutto italiano, a cura di un team composto da Edoardo Conticini, Bruno Frediani e Dario Caro, del Dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze dell’Università di Siena [4]. Il fatto che Lombardia ed Emilia-Romagna, due delle aree maggiormente inquinate d’Europa, abbiano registrato il tasso di mortalità da coronavirus più alto a livello mondiale, sarebbe spiegato dall’aumentata vulnerabilità agli agenti patogeni da parte di cittadini quotidianamente esposti all’inalazione di polveri sottili (quali, appunto, i residenti delle regioni sopracitate). Tale contingenza condurrebbe persino ad una maggiore propensione verso gli stati infiammatori cronici, anche in soggetti giovani e sani.
Ulteriori conferme in tal senso sono giunte dall’Università di Catania, dove un gruppo interdisciplinare coordinato da Andrea Rapisarda, associato di Fisica teorica, ha rilevato una forte correlazione “tra l’impatto della pandemia da Covid-19 e diversi fattori che caratterizzano in maniera diversa le regioni italiane, quali inquinamento atmosferico da Pm10, temperatura invernale, mobilità, densità e anzianità della popolazione, densità di strutture ospedaliere e densità abitativa”. “Il nostro indice di rischio epidemico spiega perché regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto stiano soffrendo maggiormente rispetto al centro-sud. D’altra parte, queste sono le stesse aree che solitamente subiscono il maggiore impatto (in termini di casi gravi e decessi) anche per le influenze stagionali, come rivelano i dati dell’Iss” concludono i ricercatori.
Insomma, pur rifuggendo da facili dietrologie, è facile intuire come molte mosse sconsiderate - sempre improntate alla logica dell’interesse economico, a scapito della salvaguardia ambientale - possano costituire un punto a nostro sfavore nella lotta al coronavirus. Occorre tenerlo presente sia per fronteggiare al meglio l’emergenza in atto che per assicurare condizioni di vita più salubri a tutti gli abitanti della Penisola; a tal proposito, ricordiamo che l’81% degli italiani (tasso che sale al 100% in Pianura Padana) risiede in aree che superano di gran lunga i limiti di inquinamento stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tradotto in soldoni: se non ci sbarazziamo al più presto dei particolati nocivi emessi da mezzi di locomozione ed impianti industriali, saranno loro a sbarazzarsi di noi…
Fonti:
[2] https://projects.iq.harvard.edu/covid-pm
[3] https://link.springer.com/article/10.1186/1476-069X-2-15
[4] https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0269749120320601
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