INCUBO INFINITO PER PATRICK ZAKY: RINVIATA L’UDIENZA

L’ennesima negazione dei diritti fondamentali in terra egiziana, dopo il caso Regeni

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Quando Patrick George Zaky, il 7 febbraio 2020, atterra all’aeroporto egiziano per andare a far visita ai suoi parenti, rimane incastrato in una dura realtà: nel 2019 è stato emesso un mandato di arresto (senza alcuna notifica) che lo accusa di incitamento alla violenza sui social media e di sovversione del regime egiziano.

Eppure Patrick è un brillante giovane di nazionalità egiziana che, dopo aver concluso il corso di laurea in Farmacia al Cairo, decide di frequentare un master in Studi di Genere all’Università di Bologna. D’animo combattivo, intollerante verso le ingiustizie e da sempre attivo contro le ineguaglianze, già tempo prima era entrato a far parte di una organizzazione pacifica per i diritti umani, l’Egyptian initiative for personal right. Si tratta di un organismo che lavora per ottenere in terra egiziana alcuni dei diritti considerati fondamentali anche dall’ONU, come la libertà di religione e di opinione e la dignità personale contro atti di violenza.

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Nonostante le rassicurazioni delle autorità - dovute probabilmente al timore di un calo del turismo e alla possibile rottura di importanti rapporti commerciali - la situazione politica e civile in Egitto non infonde fiducia. Infatti, nel 2019 si susseguono tre attentati (ultimi di una lunga serie), tanto che le linee guida dei dipartimenti degli affari esteri di altri stati intimano prudenza a tutti i visitatori. La dicitura è chiara: occorre prestare estrema attenzione soprattutto nei luoghi pubblici, evitare gli scontri che avvengono abitualmente in alcune città a causa dell’alta frequenza di atti terroristici e sequestri. Ciò è da ricondurre anche alle modalità attuative di Abdel Fattah al-Sisi, uomo di formazione militare particolarmente rigida, salito al governo dopo un discutibile colpo di stato nel 2013, seguito da una cruenta repressione nei confronti degli oppositori al punto che l’Egitto detiene il primato per il numero di giornalisti imprigionati. Una cornice che si aggiunge al quadro instabile del Medio Oriente, in lotta da sempre contro tutti e, in primis, contro se stesso; difatti l’Egitto, oltre a combattere contro i Fratelli Musulmani presenti nello stato, è in prima linea nella battaglia contro gli Ebrei di Israele. Ma attenzione: l’intolleranza religiosa è solo il “coperchio” di un pentolone traboccante di interessi.

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In questo scenario si svolge la vicenda del giovane Patrick, precedentemente sottoposto a tortura (ricordiamo l’articolo 5 dell’ONU: “Nessuno sarà sottoposto a tortura né a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”) e attualmente prigioniero alla Procura di Mansoura. Il rinvio dell’udienza per via dell’epidemia di Covid-19 implica uno slittamento e, dunque, l’allontanamento di una soluzione finale con il rischio elevato che le problematiche attuali e la necessaria attenzione mediatica abbandonino Zaky a se stesso. Dal canto suo, l’Italia rilascia delle dichiarazioni chiare, seppur prive di efficacia pratica: da un lato deve preservare i necessari legami d’affari con il paese nordafricano, dall’altro non può permettersi un altro caso Regeni. Quest’ultimo, tra l’altro, smuove ancora gli animi di molti: è impossibile e ingiusto dimenticare un ragazzo giustiziato barbaramente, in maniera antidemocratica e omertosa, con la sola colpa di “sapere troppo”.

Alessia Gerletti

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