IL PUZZLE DI DIO

Laura Costantini e Loredana Falcone

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L’ho letto e dico la verità, ero partito con qualche pregiudizio. Perché non è facile scrivere un thriller di questo tipo, quando invece è facilissimo invece cadere in certi stereotipi tipici del genere. Oggi tutti scrivono thriller e polizieschi, pur non sapendoli scrivere. E quindi diciamo che questa lettura è stata per me come la prova del nove.

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Laura e Loredana promosse a pieni voti? Non sono nessuno per dare giudizi di una certa rilevanza, la mia è solo un’umilissima opinione. Partiamo dall’inizio. Cos’è che mi è piaciuto di più? L’intreccio? Anche, ma non solo. I personaggi? Può essere, ma c’è dell’altro. Mi sono piaciuti i luoghi descritti nel romanzo, mi sono piaciute le ambientazioni, le atmosfere, gli scorci lasciati spesso solo intravedere. Il Nepal, Il Marocco innanzitutto. I chiaroscuri dei paesaggi. La città e la campagna descritti in maniera quasi sublime. E poi le montagne, il deserto che appare all’improvviso e non ti lascia nemmeno il tempo di respirare. L’acqua e la privazione, l’abbondanza e il grande nulla che ci si para davanti. È un romanzo degli opposti questo, di grandi contraddizioni che riescono quasi a coincidere, a trovare pace finalmente. Come nel favoloso puzzle di cui si parla e che apre e chiude il libro. Un’intuizione, quella del puzzle, che mi è piaciuta sin dall’inizio, è stata come un’illuminazione.

cms_1433/il_puzzle_di_dio_al_chiostro_di_san_pietro_in_vinc.jpgE che mi ha fatto pensare a certi romanzi che lessi da giovane, quando rimanevo con la luce accesa sino a notte fonda a leggere James Michener o Norman Mailer. Un romanzo che sa di viaggio e che è un viaggio, perché non c’è sosta, perché il disegno che sta dietro al libro è troppo vasto per concedere una qualche forma di tregua. E questo senso di esotico che si coniuga con un mistero antico quanto il mondo riesce ad affascinare, facendoci quasi perdere in mezzo a pagine che parlano di uomini spietati e di sognatori che non sanno accontentarsi mai. Poi ci sono le donne, che non lasciano di certo indifferenti. Due profetesse, due donne quasi oscure ma che poi si aprono come fiori al sole, imparando che c’è sempre qualcosa di più, se ci si lascia andare, se ci si abbandona ai sentimenti. Una storia d’amore forse; interrotta, perché il lieto fine quasi mai esiste fuori dai fogli di carta. E nel sottofondo quel senso d’impotenza, di catastrofe quasi inevitabile, di morte apparente. E poi c’è il Puzzle. Che è qualcosa che ci sovrasta, una grande ammonizione, come un’immensa ombra a gravare sulle nostre convinzioni. Un coro senza voce che destabilizza.

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È un bel romanzo, non so se sono riuscito a farvelo capire. Se non mi credete, fate qualcosa di più intelligente. Fatevi furbi: leggetelo.

(Recensione di Salvatore Ferranti - lettore e poeta )

Redazione

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