IL TEATRO GRECO DI SIRACUSA, OMBELICO ORACOLARE DEL MONDO

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cms_26561/0.jpgL’ombelico è il centro da cui origina la vita nella sua autonomia al mondo. Riveste un ruolo importante tanto da indicare il nucleo, lo snodo, il punto di rilievo di altro oltre l’essere umano. Il termine è entrato, in senso associativo, al “cuore”, nel nostro immaginario linguistico, topografico, letterario, archeologico. Una premessa per cogliere la bellezza di una città, Siracusa, dai molti rivoli fluenti, rigogliosi, piacevoli ma in questo momento ombelico del mondo, per il suo teatro greco, uno dei più noti al mondo, del V secolo a.C. nel parco archeologico della Neapolis. Le pietre gradini, superando le intemperie e la oltraggiante mano dell’uomo, sono in modo imperituro la testimonianza dell’alito divino che splende nell’uomo, il segno tangibile dell’importanza della storia, delle radici, dell’appartenenza. Il teatro è un luogo sacro, ieratico, grazie alla sua ubicazione in un’area in cui si avverte la presenza dello spirito divino ellenico e romano e allo scopo per cui è nato, agorà in cui si acquisiscono e condividono, all’unisono, delle verità universali che si drammatizzano sulla scena, da parte di coloro che siedono nella cavea e degli attori, in un afflato magico, quello che l’umano fa vibrare. Toglie il respiro il pensiero che in origine vi si siano state rappresentate le tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide o le commedie di Aristofane, Menandro, Plauto, Terenzio, tradizione, pur interrotta per eventi sconvolgenti, viva ancor oggi. Sui gradini, dalle origini delle rappresentazioni classiche, siedono persone con mente, cuore, anima senza barriere, distinzione di ruoli, classi sociali, età, genere.

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Dalla roccia solida e forte, “scalpellinata” con fatica dalla mano dell’uomo, è esalata la democraticità ellenica ed è venuta alla luce la consapevolezza dell’importanza di nutrire la mente, valore indiscutibile. Sulle pietre millenarie nello scorrere dei secoli si è svolta la riflessione sulla vita e sui suoi assiomi eterni, universali, materializzando gli archetipi del mistero dell’esistere, dell’enigma uomo, della complessità delle relazioni, il magma delle pulsioni che scatenano l’indicibile, l’arcano del destino, dello scontro divino e umano. Il mito si sparge evanescente in questo imbuto che sprofonda sino alla turpitudine degli Inferi e si innalza a toccare la purezza della volta olimpica, celeste. Centina di migliaia di spettatori affollano la cavea godendo di splendidi spettacoli annuali, dell’abbraccio aureo che avvolge tale luogo, in cui, infuocandosi il cielo di rossastre sfumature al tramonto, l’animus di ognuno in silenzio assorbe verità indiscutibili, universali, provando sentimenti accomunanti di repulsione per la crudeltà, di ammirazione per gesta esemplari, di esecrazione del male, di commozione per le ingiustizie subite e di gioia per i sentimenti autentici… e così l’applauso che si scatena alla fine delle è la catarsi aristotelica, perché immedesimandosi nei personaggi si vivono come proprie tutte le varie sfumature passionali, liberandosene. In questo momento, con manifestazioni collaterali di pregio e la presenza di illustri personaggi, si rappresentano Agamennone di Eschilo, Edipo Re di Euripide, Ifigenia in Tauride di Euripide, miti noti e con variegate messe in scena.

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Ci soffermeremo in questo frangente sull’Edipo Re per scorgere e cogliere, con sguardo ravvicinato, la bellezza che veramente salva il mondo, citando Dostoevskij. Tutto fa capo all’INDA, di cui è Sovrintendente Antonio Calbi, e agli operatori di una macchina immensa. Edipo è la tragedia somma del mistero “Uomo”, del mistero “Vita”, prototipo psicanalitico freudiano. L’uomo ha in sé, oltre le pulsioni, qualcosa di grande che è il pensiero, l’intelligenza che lo fa elevare e nel contempo precipitare perché non si può comprendere l’incomprensibile. Edipo, pur con qualche tocco di arroganza, narcisismo, è una figura pura, ingenua, autentica; belle doti, le sue, ma nella vita non idonee a fronteggiare il male che si annida nelle viscere umane e nelle forze soprannaturali. Nutre benevolenza per il suo popolo sofferente, in preda a mali; confidando in sé, da grande risolutore di enigmi, vuol trovare una soluzione che comporti la ricerca della verità. Un percorso da seguire per lui indiscutibile, pur nel monito diffuso di non indagare. Che tipo di giudizio daremmo di chi per opportunismo smettesse di cercare la verità? Negativo!

Dunque, Edipo è un eroe moderno, umanistico, democratico; tuttavia ciò non basta a farne un uomo meritatamente felice, anzi subisce eventi non voluti che ne fanno un essere ignaro, infelice. Forze soprannaturali, il destino ineluttabile muovono le fila del vivere umano, spesso fatalmente, enigmaticamente. Inutili gli strumenti umani per vincerli, per cambiare il corso degli eventi. A nulla vale per Laio l’ordine dell’uccisione del proprio figlio, appena nato, per salvarsi; la crudeltà del suo operato è vinta dalla tenerezza provata per una vita umana che sarebbe stato ingiusto reprimere. Sentimenti opposti, che non sono in grado di evitare l’accadere dell’ineludibile. Laio è inconsapevolmente ucciso da Edipo come da oracolo, così come Edipo si addentra in una perversione esecrabile: sposare la madre e con lei generare figli, fratelli grazie al gioco sadico di chi o cosa si diverte con la vita dell’essere umano. Edipo arriva alla verità che ha voluto sapere a tutti i costi, sconvenientemente, ma chi non ricerca da sempre le proprie radici, d’altronde? Doveva accadere quel che era previsto; Gesù doveva sacrificarsi per salvare il mondo, ma in quanto crocefisso i colpevoli dovevano essere puniti. Edipo si acceca, ha assolto al compito della conoscenza di sé ma non vuole più vedere nulla di un mondo che genera male, dolore, sofferenza, che si è servito di lui come pedina per l’incomprensibile a noi mortali, si priva degli occhi che non gli hanno fatto vedere l’abisso in cui si trovava.

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La regia di Robert Carsen ha magistralmente reso il senso dell’impotenza dell’uomo, l’inutilità di orpelli, ruoli, pensieri, ricchezze, sentimenti. Con la nudità di Edipo sulla scena ormai cieco è il senso dell’uomo, di tutta l’umanità… egli si allontana con dignità a mendicare ormai spoglio di tutto, a “sentire” con sensi diversi il contatto con altri miseri che la vita accomuna. Una tragedia intensa, fondata sulla parola, senza musiche, canti, danze sull’essenzialità, perché l’essenziale è valore. Sulla scena, in cui l’orchestrazione degli splendidi attori fra di loro e nel relazionarsi col folto e meraviglioso coro suscita emozioni varie, si vive quel che si rappresenta, nulla è falso. Siamo tutti Edipo nudi e impotenti pur con la grande forza della innocenza; siamo Giocasta nell’essere una donna che subisce, pur saggia, materna, amorevole, innamorata; siamo Tiresia, dignitoso per la sua onestà vaticinante; siamo Creonte, leale, incurante del falso potere non infierente sul suo detrattore Edipo, ormai prostrato, siamo messaggeri che vorrebbero portare buone notizie; siamo pacati e attenti corifei che placano gli animi adirati; siamo tutti coristi, voce schietta del popolo della polis eterna che interagisce con la sua voce “osservatrice” di tutto.

Il teatro greco è qualcosa di unico. In tale luogo in modo naturale si realizza il senso del fare teatro per sé e per gli altri. Collaborazione, disponibilità, allegria, serietà, circolarità splendida di tutto. Piace concludere con uno stralcio del discorso di Glauco Mauri per il conferimento dell’Eschilo d’oro 2022, al teatro greco, per il quale spettacoli del passato con la loro poesia ci parlano anche del presente. Premio condiviso con i ragazzi che dedicano la loro vita al teatro, un’arte che contribuisce all’arte del vivere. I giovani devono avere fiducia, perché si sono assunti la responsabilità meravigliosa di raccontare agli uomini delle favole, delle storie, che sono le storie della vita, sperando che questo possa aiutare gli uomini a tentare di capire quella favola grande a volte affascinante ma a volte anche terribile che è la vita.

Cettina Bongiovanni

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