IL PRESEPE DI GRECCIO

Affresco di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi

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Il «Presepe di Greccio», è una scena contenuta negli affreschi a opera di Giotto rappresentanti le Storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi, dipinta tra il 1295 e il 1299.

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San Francesco d’Assisi, ragazzo che decide di lasciarsi alle spalle una vita facile e colma di ricchezze per dedicarsi a Dio, è all’origine della tradizione dell’allestimento del presepe.

Un’antica sua biografia così presenta l’evento: «Il beato Francesco, in memoria del Natale di Cristo, ordinò che si apprestasse il presepe, che si portasse il fieno, che si conducessero il bue e l’asino; e predicò sulla natività del Re povero; e, mentre il santo uomo, vestito da diacono, teneva la sua orazione, un cavaliere scorse il Gesù Bambino in luogo di quello che il santo aveva portato.

cms_24226/2v.jpgOgni volta che Francesco pronunciava il nome di Gesù sembrava leccarsi le labbra, quasi a gustarne la dolcezza».

Ad alcuni questa cosa farà ridere, ma io credo che sia invece un segno d’amore: Francesco, da innamorato, si leccava le labbra pronunciando il nome di Gesù per fare in modo che la dolcezza di questo nome non andasse perduta.

Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio, il poverello di Assisi rievocò la nascita di Gesù attraverso una rappresentazione vivente di quell’evento.

L’affresco, uno dei più famosi dell’intero ciclo assisiate, è uno straordinario documento dell’epoca e delle capacità di Giotto, soprattutto per lo straordinario realismo. Nonostante le fonti, Giotto decide di ambientare la scena nel presbiterio di una chiesa che ricorda la Basilica inferiore di Assisi: l’osservatore si trova nella parte riservata ai soli religiosi, la zona absidale.

cms_24226/3v.jpgSono rappresentate con vivacità descrittiva alcune caratteristiche dell’ambiente: il tramezzo che separa il presbiterio dalla navata, il ciborio che ricorda quelli di Arnolfo di Cambio, i frati che cantano guardando un codice posto in alto che riporta parole e musica, il pulpito visto dal lato dell’ingresso dell’oratore, una croce sagomata appesa vista da dietro con tutti i suoi rinforzi e sapientemente raffigurata obliqua verso la navata.

Una folla di persone assiste alla scena; alle donne non era possibile entrare nello spazio sacro dei religiosi e dunque qui osservano con trasporto l’evento dalla porta; tra le colonne del ciborio il sacerdote vestito di rosso partecipa attento. In primo piano accanto alla mangiatoia affiancata dal bue e dall’asino, compare Francesco, riconoscibile per l’aureola, con il Bambino tra le mani.

Molto reale è la collocazione dei personaggi nello spazio: appaiono su piani diversi senza librarsi nell’aria o schiacciarsi l’uno sull’altro, a differenza di ciò che accadeva nelle tavole di alcuni pittori che hanno preceduto Giotto.

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Solo i frati sporgono in alto perché sono in piedi sugli stalli del coro che si intravede da un piccolo dettaglio accanto alla porta: hanno le bocche aperte e per la prima volta nella pittura occidentale si vedono i denti.

L’affresco di Giotto invita a scoprire il segreto che spingeva Francesco a fare scelte così radicali che ancora oggi affascinano tante persone: è un segreto che è giusto portare nel cuore, per cui lottare affinché possa emergere per quanto oppresso sotto un cumulo di macerie, delusioni, sconfitte e fallimenti.

Scava con fiducia e ti accorgerai di un tesoro, anche là dove sembra non esserci nulla.

Francesco ha compreso nella sua esperienza di giovane assisiate che Gesù gli serviva, in una duplice accezione: era ai suoi piedi come servo e al tempo stesso era utile per la salvezza.

Alessio Fucile

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