IL PORTATRICOLORE D’ITALIA PER LA PACE E LA SOLIDARIETA’

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Quanti sanno dell’esistenza del Portatricolore? Di un uomo che, ispirato da una vocazione identitaria, in una non verde stagione della sua vita (ma comunque florida di passione ed entusiasmo) ha percorso chilometri per affermare gli alti valori della pace, dell’amore e della solidarietà? Questo uomo, dalla tempra brillante, che incuriosisce e travolge per la sua determinazione, si chiama Michele Maddalena. Della sua notorietà ho appreso oltre i confini e ho voluto incontrarlo per i lettori de La Pagina della Cultura dell’InternationalWebPost.

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“Meglio l’Appia, che l’oppio” è il motto con cui mi accoglie. Capisco che mi investirà un fiume in piena e la mia intuizione trova immediatamente conferma. Formiano d’origine, classe 1940 il prof. Michele Maddalena si racconta senza esitazioni. E’ impossibile avviare un’interlocuzione dinnanzi alla foga che imprime nelle parole.

La vita dell’essere umano è un continuo guardarsi allo specchio. Solo guardarsi, mai osservarsi. Quasi improvvisamente arriva il momento che, dopo la rituale guardata, ci si fermi ad osservare con attenzione. E il pensiero corre a quanti anni sono trascorsi dalla prima volta. Perché quello specchio muto, per la prima volta, parla! E dice, senza perifrasi: «Sei diventato vecchio!».

Ho camminato fra le macerie della guerra; ho pianto per il dolore delle ferite, per la perdita dell’infanzia.Dopo gli studi, il lavoro, la famiglia, i figli, la prima nipote. Oggi sono già due volte bisnonno. Sono vecchio? Così è scritto sui documenti.

È quello che mi accadde la mattina dell’8 luglio 2000 (cinque mesi prima del compimento del 60° compleanno). Come festeggiarlo? Lo festeggiai in un modo insolito: camminando! Essendo nato sull’Appia Antica, volli percorrerla interamente a piedi, partendo da Brindisi (colonne terminali, 29 marzo 2001, anniversario battaglia di Capo Matapan) giunsi a Roma (Campidoglio, 21 aprile 2001, 2754° anniversario della fondazione dell’Urbe) dove guadagnai il mio primo titolo: Ultimo Legionario Romano. Da allora non mi sono più fermato.

Rientrai a casa e mi occupai subito di Daniela, una ragazza di 16 anni che… voleva un cane! Non un cane qualsiasi: un cane guida! Povera figlia, era cieca dalla nascita.

Coinvolsi tutti i Club Lions del Lazio meridionale per un impegno di solidarietà da consegnare all’abate di Montecassino!

Quella marcia terminò la mattina dell’8 dicembre 2001, nella celebre Abbazia. Durante l’omelia, l’abate annunziò che era giunta la cifra di 30 milioni di lire.

Daniela avrebbe avuto il cane e, con la cifra raggiunta, anche una macchina da scrivere braille!

Dopo cominciai la mia ventennale collaborazione con Telethon. Ogni anno giravo per le scuole sensibilizzavo gli alunni alla solidarietà e ai danni prodotti dal fumo e dalle droghe.

Continuo a consumare scarpe non ho ancora smesso di sognare., ma… sono vecchio?

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Michele Maddalena lei è conosciuto in Italia e in buona parte del mondo come Portatricolore nazionale? Cosa significa essere un “Portatricolore”?

cms_21390/000.jpgSostanzialmente è l’identica cosa, ma con una notevole differenza: alfiere presume una investitura, Portatricolore… può essere chiunque. Premetto che il vero tricolore è quello che si porta nel cuore. Non bisogna mai dimenticare che, quel tricolore, rappresenta l’Unità della nostra Nazione. E, per tale ragione, diventa un oggetto sacro da custodire con amore e dignità. Non mi permetto di criticare gli sventolii da stadio, quanto diventa un’espressione di gioia. Mi dà fastidio l’uso sconsiderato e, spesso, inappropriato che gli viene tributato.

Nell’anno 2004 Trieste festeggiava il 50° anniversario della sua italianità e pensai di “andarci a piedi”. Dovevo percorrere soltanto 5700 chilometri!

Partii da Santa Maria di Leuca il 16 marzo 2004 e giunsi a Trieste il 26 ottobre 2004, 50° anniversario, con un intervallo estivo dal 17 luglio al 10 settembre 2004. Ad ogni sindaco incontrato chiesi di spedire un tricolore a Trieste. Tanti hanno risposto. Tantissimi, compreso il “mio” sindaco, si sono voltati dall’altra parte. Il Presidente della Repubblica, Azeglio Ciampi, mi inviò per posta il tricolore. Il 25 ottobre 2004, con il tricolore del Presidente gelosamente custodito nello zaino, percorrendo la statale 14, giunsi al chilometro 131. Era il vecchio confine del Territorio Libero di Trieste, dove trovai una marea di gente che mi aspettava. Tra essi il gen. Sergio Stocca, presidente dell’UNUCI triestino.

Il gen. Stocca si sentiva orgoglioso per il successo della marcia e, in particolare, perché il suo ideatore e realizzatore era un ufficiale in pensione, quindi un iscritto all’UNUCI. Feci appena in tempo a dirgli che non ero un ufficiale… «Lo so, Maddalena. Per noi tu sei un ufficiale. L’impresa è troppo bella per lasciarsela scappare. Per cui, acqua in bocca e… ci penso io!». Obiettare? Col mio cognome? Impossibile! Quelli dell’Aeronautica mi bombardarono di domande… tirai un sospiro di sollievo solo l’indomani mattina, 26 ottobre 2004. Entrai in piazza dell’Unità, gremita di folla e di reparti militari schierati, scortato dal generale in uniforme e dal presidente UNUCI del Sud Pontino. Ovviamente, portavo il tricolore di Ciampi.

Quando ha cominciato a intraprendere le sue “campagne” attraverso tante città in Italia e all’estero?

Quella di Trieste fu la prima vera marcia con una importante motivazione. Qualcuno, osservando lo stato pietoso delle mie scarpe, volle regalarmene un paio nuovo. Ringraziai, ma non le calzai. Però gli promisi che sarebbe tornate utili per la prossima marcia che, con l’aiuto di Dio, stavo già programmando col pensiero: la traversata degli Stati Uniti nel 2005.

Anche questa marcia aveva una motivazione. In quell’anno ricorreva il 60° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. L’Italia ne uscì prostrata nel morale e materialmente. La mia Città aveva subito tanti di quei bombardamenti da dover ricostruire oltre l’85% del suo tessuto urbano. Per non parlare delle oltre 1500 vittime civili. Grazie all’esercito americano (Fifth Army), fummo rifocillati e anche curati. Mi sembrò doveroso, anche se dopo 60 anni, andare a ringraziare quel popolo, per l’aiuto datoci.

Partii da San Francisco (California), attraverso i seguenti Stati Nevada, Utah Wyoming, Nebraska, Iowa, Illinois, Ohio, New York, avrei concluso la mia marcia a New York, dopo 4700 chilometri. Era tutto pronto per partire agli inizi di maggio 2005. Dopo varie peripezie dovute a imprevisti burocratici raggiunsi New York, accolto dalla Federazione Italo-Americana di Brooklyn e Queens che, avendo letto di me sui giornali, hanno organizzato una straordinaria manifestazione di benvenuto.

Fu durante questa manifestazione che il senatore federale Serphin Maltese mi chiese di arrivare a Washington. La risposta fu immediata. Percorsi i circa quattrocento chilometri in otto giorni. Fui ricevuto nella sede del Congresso e, dopo i vari convenevoli, fui accompagnato ad Arlington, nel cimitero nazionale dove è sepolto anche Kennedy. Fu una toccante cerimonia quella che mi vide protagonista: deporre una corona davanti al sacello dell’Unknown Soldier.

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Al termine della cerimonia fui accompagnato all’aeroporto “Ronald Reagan”. Il Governo degli Stati Uniti mi offriva il viaggio di ritorno a New York in aereo. Colgo l’occasione per ringraziare l’hon. Antony Weiner, membro del Congresso USA, per la sua squisita accoglienza a Washington.

Nel 2006 ricorreva il 50° anniversario della tragedia di Marcinelle

Potrà sembrare incredibile, ma il progetto di andare a piedi a Marcinelle nacque nel lontano 1956. Studiavo a Napoli e avevo costruito un ricevitore a cristalli. La sera stessa in cui la notizia della sciagura mi arrivò via radio decisi che ci sarei andato e mantenni la promessa dopo 50 anni.

Furono 2700 chilometri di solitudine e di preghiera. Partii da Gagliano del Capo (LE) e, passando da Manoppello (ebbe 22 morti in quella disgrazia), percorsi quasi tutta la dorsale orienta della Penisola. A seguire, la Svizzera, parte della Francia e il Belgio. A Udine, l’amico Mario Caporale mi fece trovare una targa che la Regione mandava alla figlia di una di quelle 136 vittime italiane.

Arrivai nel piazzale della miniera alle ore 08.10 in punto, mentre la campana suonava i 262 rintocchi. Non sono più tornato a Marcinelle, ma ogni anno ne ricordo l’avvenimento in Friuli, ospite dell’amico Mario Caporale che, puntualmente, organizza la cerimonia in ricordo sempre in un paese diverso.

So che ha ottenuto tanti riconoscimenti …quali? Quando?

cms_21390/0000.jpgHo ricevuto molti riconoscimenti. Tra le massime istituzioni dello Stato italiano ho ricevuto un riconoscimento solo dal presidente Ciampi. Nel 2015, portai, a Redipuglia, una teca contenente terra raccolta nei Borghi dell’agro pontino, che portano nomi delle battaglie della prima guerra mondiale. Quella teca è ancora conservata nell’Ufficio Comando del Sacrario. Ci fu una cerimonia il 24 maggio 2015 (1° centenario dell’ ingresso italiano nella prima guerra mondiale). La presidente della Regione Friuli V.G. volle congratularsi per la bella iniziativa.

Quali delle sue marce ricorda con maggiore commozione? …Qualche aneddoto?

Ricordo la Marcia per l’Unità d’Italia organizzata con l’ausilio del Nastro Azzurro, ente che raccoglie tutti i decorati al Valor Militare. Partenza da Trieste, 3 novembre 2010 – arrivo a Torino, 17 marzo 2011). Di quella marcia ricordo in quel di Atripalda (AV) di aver subito un furto. Fu un gesto senza conseguenza, visto che il ladro fu arrestato in pochi secondi.

cms_21390/00000.jpgDa non credersi, la notizia rimbalzò in tutto il mondo. Ricevei telefonate da mio fratello (USA), l’amico Mario (Friuli V.G.), dalla Sicilia e dalla Sardegna e, incredibile, ma vero, dall’Australia.

Con la rielezione di Obama a presidente degli Stati Uniti, questi dichiarò il 2013 anno della Cultura Italiana. Senza perdere tempo, organizzai una Marcia ringraziamento per il gesto di Obama. Scrissi il testo (in latino) su una pergamena, sulla quale misi anche gli stemmi dei Comuni della Provincia di Latina. La Marcia iniziò da Boston, autentica porta dell’emigrazione europea. Ripercorrendo la route 1, tornai a New York e Washington. Conservo ancora la lettera speditami dal nostro Ambasciatore, mentre la lettera di risposta di Obama è incorniciata nella sede provinciale del Nastro Azzurro.

Nel 2014 in occasione del Bicentenario dell’Arma dei Carabinieri attraversai tutta la Sardegna, visitando tutte quelle cittadine che avevano dato i natali a carabinieri decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare. Giunsi in Francia (Savoia), dove l’Arma ebbe la prima M.O.V.M. e poi ripresi il giro d’Italia per rendere omaggio a quelle Comunità che avevano dato i natali a MOVM. Fu un autentico giro nella gloria e nel dolore. Ricordai Salvo D’Acquisto, il giovane vicebrigadiere napoletano (22 anni) che, per salvare 22 persone pronte per la fucilazione, si autoaccusò, innocente, di un reato non commesso. Fu per il valore del suo gesto che mi permisi di dire che una sola medaglia era quasi un’offesa.

Nel 2017 volevo indirizzare le mie marce alle morti sul lavoro avvenute in miniera (dimenticate: Monongah, (West Virginia, 6 dicembre 1907) e Arsia-Raša (Istria, 28 febbraio 1940). Un malaugurato incidente impose una fermata temporanea. Il 4 agosto 2017 andai, per la prima volta in Istria. Anche qui portai una teca con terra prelevata nei cimiteri italiani, di quei Comuni dai quali erano partite alcune vittime. Di ritorno dall’Istria, iniziai i preparativi per tornare negli Stati Uniti. La distanza tra New York e Monongah (900 chilometri) non era proibitiva, anche se in pieno novembre. Per cui fissai la partenza per il 10 novembre 2017. In quel periodo a Vanda, la donna a cui ero particolarmente legato venne diagnosticata una malattia terribile e volevo desistere ma lei insistette perché non rinunciassi.

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Così partii il 10 novembre 2017. Tornai dopo quattro giorni, più due di viaggio.

Alla cerimonia a Monongah, già organizzata con l’ausilio dell’Ambasciata, la commozione fu corale. I circa 5 kg. di terra, portati dall’Italia, furono sparsi fra le tombe di quei martiri del lavoro, e l’albero di ulivo fu “ricoverato” all’interno della casa comunale di Monongah.

Due mesi dopo Vanda morì. Seppur con l’animo straziato, un mese dopo tornai in Istria. Donai a Arsia-Raša in bell’albero di ulivo, segno di civiltà, pace e solidarietà. Da quel momento, ogni mia attenzione, ogni interesse è rivolto alla memoria di quei 185 minatori che, la mattina del 28 febbraio 1940, morirono per uno dei soliti scoppi di grisou. Anzi, ne morirono 184! Il 185°, Arrigo Grassi, meccanico di miniera, in attesa dell’arrivo dei soccorsi, scese in miniera ben dieci volte. Altrettante volte risalì con un ferito. Gli fu fatale l’undicesima volta. Morì asfissiato abbracciato all’undicesima vittima, che non era riuscito a salvare. È stato decorato di ben due Medaglie d’Oro al Valor Civile.

In occasione del 80° anniversario della disgrazia (1940-2020) pensai di fare la cosa più ovvia per ricordare quelle vittime che, dall’ormai lontano 1940, non hanno mai ricevuto alcun segno di vicinanza dalle autorità italiane: donare una campana, come è stato fatto per Marcinelle e San Giuliano di Puglia, anche se questo Comune non è stato vittima di una miniera, ma di un terremoto.

Il suo nome è al momento legato ad un progetto che trovo veramente molto bello: l’Alma mater dolorosa…

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La Campana, Alma Mater Dolorosa, già donata alla cittadina di Arsia-Raša all’atto della fusione, è tutt’ora ferma a Trieste, bloccata dal temibile Covid 19. Covid 19 permettendo andranno a prenderla per montarla nella piazza antistante la Casa Comunale.

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Quel giorno, almeno spero, sarà una commossa cerimonia e, se la signora Paliska, sindaco di Arsia-Raša, accetterà la mia proposta, tutte le vittime sul lavoro di quella miniera, diverranno Cittadini onorari di Arsia-Raša, alla memoria.

La chiusura della vicenda Arsia-Raša aprirà la programmazione di un’altra commemorazione: Cefalonia!

Antonella Giordano

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ANTONELLA GIORDANO

Alla presenza del sindaco di Arsia-Rasa, signora Glorjia Paliska una lapide è stata affissa il 4 novembre sulla parete esterna della Casa Comunale per commemorare ai posteri i 185 minatori morti nei pozzi di carbone della cittadina mineraria di Arsia il 28 febbraio 1940. Vi sono incisi i nomi degli uomini e donne che hanno lavorato perchè le vittime non finissero nell’oblio . Sono onorata che ci sia anche il mio nome....
Commento del 19:23 07/11/2023 | Leggi articolo...



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