IL MUSEO VA IN PERIFERIA (parte I)

La musealizzazione del sito di Rebibbia- casal dè pazzi: tra orgoglio e pregiudizio

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In una piccola città solitamente un Museo è motivo di orgoglio, un luogo dove la storia cittadina si ricuce con il presente. In una grande città storica, che conserva imponenti resti del passato, ci sono alcuni luoghi simbolo, che assumono il valore di un “marchio”[1], qualcosa che crea l’immagine della città al di fuori di essa. Questi luoghi però non sempre sono sentiti come “propri” da chi la città la vive. In tali contesti urbani l’attenzione viene posta essenzialmente sui centri storici, e l’immenso patrimonio, che pure caratterizza le aree suburbane, i monumenti di cui sono ricche, sono spesso relegati a diventare spazi separati, solo conservati, ma quasi mai valorizzati[2].

Proprio in questi luoghi, in quartieri formalmente senza storia, in cui per i cittadini è difficile rintracciare una propria identità, il Museo può e deve avere una funzione non solo di conservazione, ma anche e soprattutto di strumento culturale attivo, finalizzato alla ricostituzione di un legame tra la comunità attuale e il passato. Un presidio culturale, collegato alle altre realtà qualificanti presenti sul territorio, che contribuisce al riconoscimento dell’identità di una collettività, che si può così riconosce nel suo spazio vitale.

Il caso del Museo di Casal de’ Pazzi, costruito intorno ad un sito pleistocenico, nel quartiere periferico di Rebibbia a Roma, costituisce un esempio, ancora in fieri, di tale percorso museologico.

Il sito

Il sito di Casal de ’Pazzi si trova nella periferia est di Roma, ed è oggi incluso in un’area urbana densamente popolata tra il fiume Aniene e Tevere.

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Localizzazione del sito di Casal de’ Pazzi e degli altri siti pleistocenici della bassa Valle dell’Aniene

Fu scoperto nel 1981, durante lavori di urbanizzazione[3]. Il ritrovamento di una zanna fossile di elefante diede avvio alla ricerca archeologica, poi conclusa nel 1986. Lo scavo, che interessò una superficie di oltre 1200 mq, portò alla scoperta di un vasto deposito pleistocenico, interpretato come una porzione del letto di un antico fiume, datato a circa 200.000 anni fa.

Il sito, collocato sulla riva destra dell’Aniene, ad una quota di 32 m s.l.m., era caratterizzato da strati di ghiaie e sabbie piroclastiche in cui furono rinvenuti, con distribuzione non uniforme, industria litica e ossa fossili. Una barriera naturale formata dal substrato geologico, che venne interpretato come ’tufo litoide’ (roccia prodotta dal Vulcano Albano e datata a 353 mila anni fa[4]), arrotondata dalle acque, aveva determinato un accumulo di resti faunistici di grandi dimensioni in un punto specifico del percorso fluviale, in particolare erano rimaste incastrate, tra le scogliere e i blocchi di tufo, zanne e ossa di Elephas[5].

La sequenza stratigrafica che costituiva il riempimento dell’alveo è visibile tuttora sia nel deposito, dove è stato conservato un grande testimone, sia in una grande vetrina della sala espositiva del Museo (fig. 6B). Quando questi materiali riempirono completamente l’alveo, il fiume cominciò a scorrere altrove[6].

Complessivamente furono rinvenuti circa 2.200 resti ossei e oltre 1.700 strumenti litici, che, a causa della natura fluviale del deposito, erano certamente in deposizione secondaria.

La specie più rappresentativa, diventata poi simbolo del sito, è l’Elephas (Palaeoloxodon) antiquus, sia per il numero di reperti rinvenuti che per la loro dimensione. Esso è rappresentato soprattutto dai resti di zanne (fig. 2 A)[7], ma anche da molari[8], da frammenti di bacino e cranio e da ossa lunghe. Nel corso degli scavi, sono stati scoperti anche i resti di molte altre specie di mammiferi[9], uccelli e rettili[10]. In uno strato di argilla furono rinvenute foglie fossili, molto ben conservate, di una specie di olmo (Zelkova crenata) (fig. 2 C), pianta attualmente esotica in Italia, ma particolarmente diffusa nel Pleistocene medio. Inoltre altri frammenti riferibili ad alloro (Laurus nobilis) ed albero di Giuda (Cercis siliquastrum).

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A: una zanna di Elephas (Palaeoloxodon) antiquus rinvenuta nel corso degli scavi degli anni ’80; B: due raschiatoi in selce; C: resti fossili di Zelkova crenata; D: posizionamento del frammento di parietale umano.

La presenza umana è attestata da un frammento di parietale umano (fig. 2 D)[11] rinvenuto quasi sul fondo del bacino fluviale, e dall’abbondante industria litica (fig. 2 B), quasi tutta ricavata da ciottoli di selce, sia provenienti dallo stesso deposito fluviale che da affioramenti lontani fino a 50 km dal sito[12]. Sono rappresentati molti strumenti diversi, tipici del Paleolitico medio, quali raschiatoi, denticolati, intaccature[13]. Un frammento di diafisi di elefante è stato ritoccato con distacchi che ne hanno modificato e assottigliato l’estremità. Altri distacchi sono visibili su un’epifisi metapodiale di Bos primigenius. Entrambi gli oggetti sono stati usati come strumenti. Secondo la cronologia correntemente accettata l’età del sito è proprio quella in cui l’uomo di Neanderthal popola l’Europa[14].

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A: il pannello introduttivo all’ingresso del Museo; B: “striscia del tempo”.

Nel giugno del 2013, durante la sistemazione a giardino nell’area esterna al museo, venne effettuata una seconda, breve campagna di scavo. Durante i lavori, in un’area già interessata da uno sbancamento effettuato negli anni ’80, uno scavo a ruspa intercettò una successione di strati di sabbie e ghiaie riferibili a parte deposito archeologico ancora in posto. Venne quindi eseguito lo scavo stratigrafico[15], che interessò un’area di sponda del corso fluviale principale. I dati provenienti da questa seconda campagna confermano le dinamiche di accumulo già osservate in passato, ma consentono anche nuove interpretazioni sull’entità del corso fluviale e sulle caratteristiche geologiche del sito, in ogni caso studi ed approfondimenti sono ancora in corso[16].

La tutela

Il sito di Casal de ’Pazzi è particolarmente importante per la conoscenza del popolamento umano del Pleistocene medio europeo. Eccezionalmente ben conservato, sebbene collocato nel pieno della città moderna, permette di comprendere l’antico paesaggio e le sue relazioni con i gruppi umani che vivevano allora nel territorio della futura Roma. Esso è inoltre l’unico sito pleistocenico, dei molti una volta esistenti nella bassa valle dell’Aniene[17] e già noti fin dal XVIII secolo, ad essere conservato e visibile (fig. 1). Tra questi il ​​più famoso è quello di Saccopastore, dove vennero rinvenuti, negli anni ’20 e ’30 dello scorso secolo, due crani neanderthaliani datati a circa 125 mila anni BP[18].

Molte azioni sono seguite allo scavo per realizzare innanzi tutto la salvaguardia del sito. Purtroppo, nel 1986, al termine dello scavo, riuscirono ad essere conservati, con una variante del Piano Regolatore Generale del Comune di Roma, solo 300 dei 1.200 mq scavati, che furono protetti da una copertura temporanea realizzata con argilla espansa, gesso e legno. Nel contempo venne progettata[19] una struttura permanente finalizzata a preservare il deposito dagli agenti naturali e da atti di vandalismo[20]. Alcuni interventi parziali furono eseguiti negli anni successivi, finanziati dalla Provincia di Roma, ma sostanzialmente fino al 1995, anche a causa della discontinuità dei lavori, il sito restò spesso in uno stato di abbandono.

Nel 1996 la valorizzazione del sito fu affidata al Comune di Roma e, negli anni successivi, il progetto iniziale venne modificato[21] con l’obiettivo di realizzare, per quanto possibile, un vero e proprio museo sul sito. Furono previsti anche i necessari adeguamenti alle leggi vigenti sulla rimozione delle barriere architettoniche. Ultimato il progetto, i lavori per il completamento dell’edificio di copertura furono eseguiti nel 2000 e, nel 2001, il deposito, ormai protetto, venne restaurato in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Restauro. Nel 2007 fu realizzata una recinzione monumentale e costruita una struttura in ferro e vetro, per proteggere parte del percorso di visita e per ricavare un ulteriore spazio espositivo[22]. Nello stesso anno vennero ricollocati nel deposito alcuni dei reperti che erano conservati nei depositi della Soprintendenza Archeologica di Roma. Il sito è stato inoltre dotato di un impianto di allarme collegato giorno e notte alla Centrale di Monitoraggio della Sovrintendenza Capitolina.


[1] F. Antinucci, Musei virtuali. Come non fare innovazione tecnologica, Bari 2007.

[2] M. G. Ercolino, Le rovine "dimenticate". Identità, conservazione e valorizzazione dei resti archeologici nella periferia romana, in “Il Capitale culturale”, X, 2014, pp. 439-469. [https://riviste.unimc.it/index.php/cap-cult]

[3] A.P. Anzidei, Risultati preliminari dello scavo di un deposito pleistocenico in località Rebibbia-Casal de’ Pazzi, in AA.VV. Beni Archeologici e valori ambientali in V Circoscrizione, Roma, 1983, pp. 7-17; A.P. Anzidei, Casal de’ Pazzi, Lazio, in AA.VV. I primi abitanti d’Europa: 1500000 – 100000 anni, Roma, 1984, pp. 202-207.

[4] D. B. Kerner, F. Marra, Correlation of fluviodeltaic aggradational sections with glacial climate history: a revision of the Pleistocene stratigraphy of Rom, in “GSA Bulletin”, 110 (6), 1998, pp.748-758; D.B. Kerner, P.R. Renne, 40Ar/39Ar geochronology of Roman volcanic province tephra in the Tiber River valley: age calibration of Midlle Pleistocene sea–level changes, in “Geological Society of American Bulletin”,110, 1998, pp. 740-747.

[5] A.P. Anzidei, M. Ruffo, The Pleistocene deposit of Rebibbia- Casal de’ Pazzi (Rome, Italy), in C. Malone, S. Stoddart (a cura di), Papers in Italian Archaeology. IV: part I. The human landscape, BAR i.s., 243, 1985, pp.69-85.

[6] A. G. Segre, Il giacimento preistorico di Rebibbia-Casal de’ Pazzi (Roma), in AA.VV. Beni Archeologici e valori ambientali in V Circoscrizione, Roma, 1983, pp. 3-5.

[7] 25 intere e una cinquantina frammentarie.

[8] 60 interi, 120 frammentari.

[9] Uro (Bos primigenius), Rinoceronte (Stephanorhinus sp.), Ippopotamo (Hippopotamus anphibius), Iena (Hyaena crocuta), Lupo (Canis lupus), Cervo elafo (Cervus elaphus), Cavallo (Equus sp.), Cinghiale (Sus scrofa), Daino (Dama dama).

[10] Fischione (Anas penelope), Oca lombardella (Anser albifrons), Canapiglia (Anas strepera), Alzavola (Anas Crecca), Tartaruga(Emis orbicolaris).

[11] G. Manzi, L. Salvadei, P. Passarello, The Casal de’ Pazzi archaic parietal: comparative analysis of new fossil evidence from the late Middle Pleistocene of Rome, in“Journal of Human Evolution”, 19, 1990, pp. 751-759.

[12] A.P. Anzidei, A. Arnoldus Huyzendveld, L. Caloi, M.R. Palombo, C. Lemorini, Two Middle Pleistocene sites near Rome (Italy): La Polledrara di Cecanibbio and Rebibbia-Casal De’Pazzi, in “Monographien des Römisch-Germanischen Zentralmuseum”, 42, 1999, pp. 173-195.

[13] A.P. Anzidei, P. Gioia, The lithic industry from Rebibbia-Casal de’ Pazzi, in “Paper of the Fourth Conference of Italian Archaeology, New Development in Italian Archaeology”, Part 1, 1992, pp.155 – 179.

[14] P. Mellars, Neanderthals and the modern human colonization of Europe, in “Nature”, 432, 2004, pp. 461-465.

[15] In accordo con la dott.ssa Anna De Santis, responsabile per la Preistoria della Soprintendenza Speciale ai Beni Archeologici di Roma.

[16] P. Gioia, I. Baroni, E. Brunelli, S. Milli, C. Rosa, G. Zanzi, Il fiume ritrovato: recenti scavi nel giardino del Museo di Casal de’ Pazzi (2013), in “BullCom”, cs.

[17] A. P. Anzidei, P. Gioia, M. Mussi, Uomini ed elefanti nel territorio romano: una lunga convivenza. La documentazione dai siti, in: P. Gioia (a cura di), Elefanti a Roma, Roma, 2004 pp. 49-57.

[18] AA.VV., L’uomo di Saccopastore e il suo ambiente: i neandertaliani nel Lazio: celebrazione per il centenario della morte di C. Darwin, Roma, 1983.

[19] Il progetto fu redatto dall’Arch. Giuseppe Morganti della Soprintendenza Archeologica di Roma.

[20] A.P. Anzidei, G. Morganti, Il deposito pleistocenico di Rebibbia - Casal de’ Pazzi e la sua musealizzazione, in B. Amendolea (a cura di) I siti archeologici, un problema di musealizzazione all’aperto, Roma, 1988, pp.15-19.

[21] Il progetto venne modificato dall’Arch. Giuseppe Barella e dall’Arch. Teresa Rinaldi.

[22] P. Gioia, Il Museo di Casal de’ Pazzi. In P. Gioia (a cura di), Elefanti a Roma, Roma, 2004, pp. 61-63; P. Gioia,Museos en los yacimientos pleistocenos italianos con elefantes: situación y perspectiva, in “Los Yacimientos Paleolíticos de Ambrona y Torralba (Soria), Un siglo de investigationes arqueológicas, Zona Arqueologica”, 5, 2005, pp. 418-444.

Patrizia Gioia

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