IL MOVIMENTO LEALISTA E IL SOGNO DI UNA “BREXIT INTERNA”

Irlanda dominata da violenti scontri, coinvolti anche teenager e bambini

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Sebbene l’attenzione mediatica appaia focalizzata su tutt’altre questioni, oltremanica è in atto una vera e propria guerra, fatta di battaglie brevi ma intense. Da quasi una settimana le proteste, con tanto di aggressioni alle forze armate, sono all’ordine del giorno: interi veicoli vengono dati alle fiamme, mentre si levano mattoni e molotov contro gli agenti (tanto che alcuni di loro sono rimasti feriti). Le strade di Belfast e Londonderry sono in preda ai lealisti protestanti, per i quali, stavolta, la “goccia che ha fatto traboccare il vaso” risiede in un evento solo all’apparenza poco significativo. Ad accendere gli animi è stata l’indulgenza della polizia locale nei confronti di 24 membri dirigenti del Sinn Féin (nome del partito cattolico, traducibile dal gaelico con l’espressione “solo noi stessi”), rei di aver violato le misure anti-Covid partecipando alla cerimonia funebre di Bobby Storey, ex vertice dell’Irish Republican Army (organizzazione paramilitare a cui lo stesso gruppo politico è legato). Polemica legittima, considerando che a quel funerale erano presenti oltre duemila persone mentre le norme di prevenzione del contagio ne ammettevano al massimo trenta; ma, come si può facilmente immaginare, la questione ha alle spalle retroscena tutt’altro che trascurabili.

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Per poter comprendere le ragioni profonde alla base dei malcontenti, occorre fare un passo indietro soffermandosi sull’identità del movimento sopracitato. I lealisti costituiscono la frangia più radicale (e aggressiva) dei militanti di stampo unionista: ciò che li spinge a scendere in piazza è il desiderio di vedere “annessa” l’Irlanda del Nord al Regno Unito piuttosto che alla Repubblica d’Irlanda. La radice delle ultime rivendicazioni è da ricercare nell’accordo sulla Brexit, il quale prevede che, per evitare l’istituzione di un confine fisico con la porzione Sud (che continua a far parte dell’Unione Europea), l’Irlanda del Nord resti all’interno del mercato unico. Un atto da loro vissuto con estrema sofferenza, tanto da procurare a Johnson il poco lusinghiero appellativo di “disonesto”, come ha rivelato il ministro della Giustizia Naomi Long. Sul piano pratico, il protocollo firmato con Bruxelles ha dato avvio a severi controlli doganali per le merci in arrivo dalla Gran Bretagna, con evidenti ostacoli burocratici - oltre che minore disponibilità di prodotti presso gli esercizi commerciali, anche di alimentari - che suonano come un traumatico distacco dalla “madrepatria”, come la definiscono i lealisti. Per dirla con un’espressione che ben rappresenta il loro punto di vista: Dublino sembra sempre più vicina, Londra più lontana. E tanto è bastato per scatenare l’ira di un movimento già di per sé estremista, quasi ossessivamente legato alla propria identità britannica, per il quale una “Brexit interna” (una netta scissione dalla Repubblica d’Irlanda, of course) sarebbe l’unica opzione percorribile con pieno appagamento.

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I tafferugli cui si faceva riferimento in apertura appaiono ancora più preoccupanti se si considera che, come riportato dal Guardian, ad animare gli scontri sono stati numerosi teenager e addirittura bambini; non a caso, tra gli arrestati compaiono anche un tredicenne e un quattordicenne. Le forze dell’ordine imputano la nutrita partecipazione di giovani e giovanissimi al fenomeno del recreational rioting, basato sul forte potere disinibitorio del gruppo nel favorire episodi di violenza - quali l’accanimento sugli agenti di polizia con il lancio di sassi e bottiglie - percepiti come parte di goliardiche scorribande, complice la tenera età, che allontana il rischio di pesanti provvedimenti giudiziari.

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Tali aspetti non hanno lasciato indifferenti le istituzioni: il governo locale si è dissociato all’unanimità da quanto accaduto e il primo ministro Arlene Foster, senza usare mezzi termini, ha bollato gli eversivi definendoli “un imbarazzo per l’Irlanda del Nord”. Le ha fatto eco la vicepremier Michelle O’Neill, che si è detta in apprensione per l’evidente “manipolazione dei più giovani”. Preoccupazione condivisa da Boris Johnson, che ha prontamente twittato: “Le differenze si risolvono con il dialogo e non con la violenza o la criminalità”. Peccato che l’Isola di Smeraldo sia dominata da una non-comunicazione che esita in continui scontri interni: anche in un frangente come questo, in cui sarebbe stato opportuno fare squadra contro la violenza mettendo da parte le divergenze ideologiche, i principali partiti di governo dell’Irlanda del Nord hanno puerilmente puntato il dito l’uno contro l’altro. Ad accendere la miccia è stato proprio il Sinn Féin, che ha biasimato il Partito democratico unionista per la sua ardua battaglia contro le barriere commerciali imposte dalla Brexit. Insomma, la partita è tutto fuorché chiusa: quasi certamente, i riflettori si accenderanno ancora sul “palcoscenico” irlandese… almeno fin quando non si sarà trovato un punto di equilibrio nell’asse Belfast-Dublino-Londra.

Federica Marocchino

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