IL CASO DELLA PICCOLA ANGELICA, “RAPITA DALLA GIUSTIZIA”

Intervista alla zia, Barbara Scrof: “Mia nipote sottratta con l’inganno”

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Il 7 dicembre del 2015, in una fredda giornata di nebbia, la quotidianità di una famiglia bresciana è spezzata da un tragico incidente stradale. Samantha Scrof, 39enne di Desenzano del Garda (Brescia), viene investita a pochi passi dalla sua abitazione e trascinata sull’asfalto da due auto per circa 30 metri. Da lì a poco, la figlioletta di Samantha verrà adottata da una coppia mantovana in circostanze che, a detta della famiglia Scrof, sembrerebbero paradossali e alquanto sospette. Per approfondire la vicenda, abbiamo posto alcune domande alla sorella di Samantha, Barbara.

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Salve Barbara, grazie per averci concesso questa intervista. Quali presupposti hanno condotto al tragico incidente in cui sua sorella ha perso la vita?

Tutto è cominciato quando mia sorella ha manifestato problemi di tossicodipendenza, a seguito dei quali è stata affidata ad una comunità di recupero insieme a sua figlia, Angelica, avuta da padre sconosciuto. La riabilitazione è stata poi interrotta - proprio nel momento in cui Samantha stava facendo passi avanti - per mancanza di fondi da parte del Comune. A quel punto, mia sorella e la sua bambina sono state rispedite a casa di mia madre, la quale ha dovuto ricoprire per entrambe il ruolo di educatrice, sobbarcandosi di grosse responsabilità. Samantha era nel pieno del percorso di disintossicazione, assumeva dosi controllate di metadone ed andava vigilata affinché non ricadesse nella spirale della droga.

cms_12310/2.jpgLa permanenza a casa è durata circa un anno. In seguito sia mia sorella che la bambina sono state trasferite in una seconda comunità, a Vigevano. Sebbene si stessero verificando miglioramenti eccezionali, in quel periodo vennero stilate relazioni non veritiere. Samantha aveva una gran voglia di farcela e di assicurare un futuro alla sua piccola, voleva rendersi indipendente, trovare un lavoro, acquistare una casa e un’auto. Ma gli assistenti sociali riportavano tutt’altro, ogni suo gesto era da loro interpretato come negativo. Se rimproverava la bambina, come tutte le madri fanno per educare i propri figli, ingigantivano la questione parlando addirittura di maltrattamenti.

Intanto, io ero incinta della mia secondogenita. Alla gravidanza già problematica si aggiunsero dei problemi al cuore, per cui dovetti subire un’operazione di 6 ore e una lunga degenza, per fortuna conclusasi positivamente.

Per tali motivi, revocai momentaneamente la richiesta di affido, specificando all’assistente sociale che sarei tornata disponibile non appena guarita: nonostante tutto, desideravo ancora prendermi cura di mia nipote, tanto che avevo già arredato una camera a lei destinata nella mia abitazione. L’operatrice mi disse che non le sembrava opportuno mettere nero su bianco i motivi della mia revoca, e solo adesso, col senno di poi, comprendo che si è trattato di un tranello per allontanare da noi Angelica. Mia sorella se n’era già resa conto, spesso ci metteva in guardia sostenendo che avrebbero fatto di tutto per portarci via la bambina.

Nonostante gli evidenti progressi di Samantha, il giudice decise di rispedirla a casa e di affidare la bambina a un istituto. Fu una doccia fredda per mia sorella, che ripiombò nella disperazione più totale. Non riprese a far uso di stupefacenti, ma minacciava di togliersi la vita se l’avessero tenuta lontano da sua figlia. A un mese dalla tragica separazione - durante il quale le era stato concesso di incontrare la piccola solo una volta - Samantha fu travolta da due auto a poca distanza dalle nostre abitazioni.

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Crede si sia trattato di un suicidio?

Non posso affermarlo con certezza, ma penso che mia sorella abbia creato i presupposti affinché quell’incidente avvenisse. Sebbene avessimo deciso di ricorrere alla Corte d’Appello per richiedere l’affidamento di Angelica, lei non aveva più la forza di lottare, era estremamente fragile. Qualche giorno prima dell’incidente, in lacrime, mi aveva abbracciata dicendomi che senza sua figlia la sua esistenza non avrebbe avuto alcun senso.

Cosa ne è stato di Angelica a quel punto?

Allora la bambina si trovava ancora in istituto. La notizia della morte di sua madre le fu data a ben 11 mesi dall’incidente, facendole credere per tutto quel tempo che sua madre non volesse vederla. Io, mia madre e i miei fratelli cercammo di rimediare degli incontri con la bambina, ma nessun tentativo andò in porto. Presentai istanza al Tribunale dei Minori, ma fu rigettata perché, secondo i giudici, avere contatti con la famiglia d’origine avrebbe condotto la bambina in uno stato di confusione. Impugnammo poi la sentenza - arrivata dopo la tumulazione di mia sorella - in Corte d’appello, dove io, mia madre e mio fratello chiedemmo l’affido esclusivo della bambina. Per respingere la nostra richiesta si dichiarò che avevamo fatto vivere alla bambina uno stato di abbandono, cosa mai accaduta perché ci siamo sempre battuti per averla con noi e non siamo mai mancati agli incontri predisposti dall’istituto che la ospitava (che, tra l’altro, si erano fatti progressivamente più sporadici).

Nonostante la Ctu (Consulenza tecnica d’ufficio, ndr) effettuata in primo grado avesse ritenuto idonei me e mio marito all’affido di Angelica, a circa trenta giorni dalla morte di mia sorella la bambina fu presentata a una coppia di potenziali genitori adottivi. Un mese dopo era già a casa loro e, tra marzo e aprile del 2016, è scattata l’adozione, sebbene noi, in quanto famiglia d’origine, non avessimo mai firmato alcun documento per rinunciare a lei. L’unica risposta fornita dalle autorità competenti è stata che la coppia adottiva sarebbe risultata “più idonea” di noi a crescere la bambina.

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Che rapporti intrattengono con voi i genitori adottivi?

Nella Ctu si leggeva che la bambina non avrebbe dovuto tranciare i rapporti con la famiglia d’origine. Inizialmente il padre adottivo sembrava essere disposto a farci incontrare mia nipote, ma poi, vedendo che continuavo a battermi per ottenere l’affido, ha chiuso i contatti. Facemmo appello al Tribunale dei Minori, ma la giudice reputò la mia figura “disturbante ed interferente” per la bambina, che intanto continuava a reclamare la presenza degli zii e della nonna. La coppia adottiva, secondo quanto accertato da un’ulteriore perizia, avrebbe nascosto ad Angelica la sua “valigia dei ricordi”, favorendo il distacco totale dalla sua vera famiglia. Pare che la piccola disponga di una sola fotografia legata al suo passato, quella in cui abbraccia la mamma ormai defunta. Non le è dunque possibile accedere a foto ed altri oggetti che possano ricordarle il nostro affetto. I genitori affidatari hanno persino rifiutato il risarcimento di 200mila euro per la morte di mia sorella, che spettava alla bambina, sostenendo che si sarebbero occupati personalmente di tutte le necessità economiche della piccola. In ultimo, ma non per importanza, hanno spogliato Angelica della sua identità d’origine, attribuendole il loro cognome e cancellando il nostro.

Ad oggi, quindi, non ho notizie di mia nipote. Non è stato possibile vederla neanche in occasione del suo compleanno, da poco trascorso. Non ci consentono neppure di parlare con lei al telefono.

Come procederà la vostra battaglia?

Ci siamo affidati all’avvocato Claudio Salvagni affinché ci venga data voce. L’obiettivo principale è quello di far riaprire il caso e di revocare l’adozione. E’ inoltre necessario individuare coloro che hanno avuto responsabilità nell’allontanare Angelica dalla sua famiglia. Io stessa passo ore ed ore a inviare mail e raccomandate, sperando che qualcuno possa aiutarci. Sono molto preoccupata per il futuro di mia nipote, perché ha sempre manifestato il desiderio di tornare da noi e ora questa eventualità sembra allontanarsi sempre più…

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Quali ricordi della piccola Angelica porta ancora nel cuore?

Angelica è sempre nei miei pensieri, tanto che spesso a tavola apparecchio anche per lei. Era per me come una figlia e per il mio primogenito come una sorella. Già durante tutta la gravidanza avevo supportato mia sorella soddisfando ogni sua necessità ed accompagnandola dal mio ginecologo di fiducia per le visite. Quando la bimba è nata, sebbene avessi da poco aperto la mia attività, mi sono precipitata da Samantha per prestare il mio aiuto in quel delicato momento. Ero felice di badare alla mia nipotina, la viziavo e la coccolavo quotidianamente. Anche quando, a soli 4 mesi, Angelica è stata trasferita nella prima comunità, ho mantenuto vivo il nostro rapporto facendole visita quanto più possibile e, nel contempo, ho cercato di incoraggiare in mia sorella l’acquisizione del ruolo genitoriale: sapevo che solo sua figlia avrebbe potuto farla uscire dal tunnel in cui era piombata.

Mio figlio è talmente legato alla cuginetta che, sebbene il ricordo gli provochi sofferenza, non vuole che metta via le foto che lo ritraggono in compagnia di Angelica. Anche lui spera che possa presto tornare da noi…

Noi glielo auguriamo di cuore, con l’auspicio che, a prescindere da qualunque vicissitudine legale, venga sempre e comunque preservato il benessere psico-fisico della piccola.

Federica Marocchino

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