IL CAFFE’ PEDAGOGICO

La funzione pedagogica dello sport. Il rugby: fair play integrazione e terzo tempo

La_funzione_pedagogica_dello_sport.jpg

Frequentemente, in ambito accademico e scolastico così come in altri contesti, mediatici e non, si discute del valore educativo dello sport, della sua capacità di integrare e della sua importanza in ambito pedagogico, in quanto educa al rispetto delle regole, alla condivisione e tanto altro ancora.

Come purtroppo spesso accade, tuttavia, tra teoria e pratica si verifica uno scollamento che sfocia in episodi di cronaca, anche gravi, di razzismo e violenza nei vari contesti sportivi, dove lo sport è inteso in senso lato. Le competizioni più interessate da questo genere di accadimenti sono, in particolar modo, quelle calcistiche.

cms_7594/2.jpgRiservandomi di approfondire in futuro queste ultime, ho pensato di individuare, seppur per sommi capi, la funzione pedagogica di uno sport nobile quanto bistrattato, il rugby.Le parole-chiave che analizzeremo sono: fair play, integrazione e terzo tempo.

Il rugby, secondo la leggenda, nacque nell’omonima città britannica nel 1823, ad opera di William Webb Ellis, il quale durante una partita di football giocata con regole non ancora standardizzate, improvvisamente afferrò la palla con le mani e iniziò a correre verso la linea di fondo avversaria, per poi schiacciarla oltre la linea di fondo campo. Questo gesto non passò inosservato, cosicché alcune persone presenti iniziarono a praticare questo novello “sport”. Presto, tuttavia, nacquero delle difficoltà derivanti dall’assenza di regole precise e, dopo alcune scissioni da parte di coloro i quali diedero vita a sport simili ma con piccole variazioni, nel 1871 fu fondata la Rugby Football Union.

cms_7594/3.jpgCento anni dopo il gesto innovativo di William Webb Ellis, negli anni ’20 del ‘900, lo sport del rugby fu importato dalla Francia nel nostro Paese.Nato come elitario, il rugby in Italia è uno sport al quale solo di recente si è attribuita una certa importanza mediatica, almeno per quel che concerne le competizioni a carattere internazionale. Nelle piccole realtà provinciali c’è tuttavia ancora molta strada da percorrere, affinché le associazioni amatoriali di rugby acquisiscano la centralità che meritano di avere.

Per quel che concerne il fair play - la prima, in ordine alfabetico, delle parole chiave - nel rugby il rispetto delle regole e la correttezza nell’applicarle è di fondamentale importanza, in quanto così come il fair play va ben oltre il comportamento, e concerne l’essere, allo stesso modo chi intraprende questo sport si prepara a crescere come persona, modificando il proprio comportamento anche nella quotidianità.

Fair play è:

- dedizione personale;

- rispetto e attenzione nei confronti degli arbitri e dei loro collaboratori, accettandone le decisioni senza lasciarsi condizionare da provvedimenti considerati ingiusti;

- rispetto e attenzione per le convenzioni sociali implicite nello sport, come il saper perdere;

- rispetto e attenzione per l’avversario, senza approfittare di suoi eventuali infortuni e applaudendo al termine dell’incontro quale che sia il risultato;

- evitare approcci negativi alla partecipazione sportiva, come voler vincere a tutti i costi, perdere la calma dopo un errore, giocare per se stessi e non per la squadra.

La seconda, non meno importante, delle parole chiave è l’integrazione; a questo proposito, sarebbe impossibile prescindere dalla geniale intuizione di Nelson Mandela, il quale pensò di ricostruire il suo Paese dilaniato dalle guerre e dal razzismo proprio grazie ai valori dello sport.

Premio Nobel per la pace, eletto Presidente del Sud Africa dopo 28 anni di prigionia, Mandela capì che grazie ai valori trasmessi dal rugby - il rispetto della dignità, l’umiltà e il senso di appartenenza - avrebbe potuto compiersi il miracolo di unione della popolazione nel Paese che governava.

Pur essendo questo sport praticato esclusivamente dai bianchi (i neri preferivano il calcio), egli dichiarò che il perdono lo si doveva ricostruire nei fatti e non con le parole, al punto da «sorprendere» il mondo attraverso una vera conversione del cuore: «Sorprenderli con la generosità e la comprensione. Io so cosa i bianchi ci hanno tolto, ma questo è il momento di costruire una nazione».

Così, il presidente Mandela rifiutò la vendetta, perdonò i suoi persecutori e ricostruì le basi dell’unità nazionale a partire da un campo di rugby.

Da Presidente inesperto in fatto di sport, imparò il linguaggio del rugby che aveva conosciuto durante i suoi anni di prigionia osservando i comportamenti delle guardie carcerarie e volle che tutti i sudafricani apprendessero il linguaggio e i valori del rugby.

Nonostante i fraintendimenti della sua gente e gli ostacoli che dovette superare, egli andò contro tutti e tutto, difese la squadra dei bianchi e chiese agli esponenti del partito di saper perdonare con fatti concreti, evitando di ricadere nella logica del “male per male”.

Decise così di incontrare il capitano della nazionale di rugby, François Pienaar, al quale affidò il difficile compito di ricostruire una squadra forte tanto da vincere i Mondiali di rugby.

E così la vittoria finale contro i rugbisti degli All Blacks, provenienti dalla Nuova Zelanda, oltre a essere stata una grande vittoria sportiva, rappresentò uno dei risultati politici più importanti del Novecento. Un popolo sull’orlo della guerra civile aveva potuto superare molte delle tensioni civili e politiche riconoscendosi unito in una squadra.

cms_7594/5.jpgPer quel che concerne infine l’ultima delle parole chiave, il terzo tempo, in qualsiasi parte del mondo - dalla Russia al Canada, dal Sud Africa alla Nuova Zelanda - terminata la partita sul campo, i componenti delle due squadre (arbitro compreso), che fino poco prima si sono affrontati senza esclusione di colpi, si ritrovano intorno a un tavolo a bere, mangiare e cantare in compagnia. Questa abitudine è conosciuta appunto con il nome di “terzo tempo”, una vecchia consuetudine nata assieme al rugby, che dimostra come ci si possa incontrare in modo fraterno e conviviale, pur essendo stati rivali nel gioco.Oscar Wilde sosteneva che «il rugby è una buona occasione per tenere lontani trenta energumeni dal centro della città». Alla luce di quanto è emerso circa il valore educativo del rugby, direi che al di là dell’aspetto fisico dei giocatori, questo sport meriterebbe un maggiore rilievo, passando dalle periferie in cui spesso è relegato al centro di ogni città.

Lucia D’Amore

Tags:

Lascia un commento



Autorizzo il trattamento dei miei dati come indicato nell'informativa privacy.
NB: I commenti vengono approvati dalla redazione e in seguito pubblicati sul giornale, la tua email non verrà pubblicata.

International Web Post

Direttore responsabile: Attilio miani
Condirettore: Antonina Giordano
Editore: Azzurro Image & Communication Srls - P.iva: 07470520722

Testata registrata presso il Tribunale di Bari al Nrº 17 del Registro della Stampa in data 30 Settembre 2013

info@internationalwebpost.org
Privacy Policy

Collabora con noi

Scrivi alla redazione per unirti ad un team internazionale di persone dinamiche ed appassionate!

Le collaborazioni con l’International Web Post sono a titolo gratuito, salvo articoli, contributi e studi commissionati dal Direttore responsabile sulla base di apposito incarico scritto secondo modalità e termini stabiliti dallo stesso.


Seguici sui social

Newsletter

Lascia la tua email per essere sempre aggiornato sui nostri contenuti!

Iscriviti al canale Telegram