Hong Kong: post lockdown all’insegna delle proteste
Discussione a Beijing del nuovo sistema di sicurezza nazionale, legge anti- manifestazioni
A prescindere dalle imposizioni sul distanziamento sociale e dal divieto di assembramenti, la causa democratica portata avanti dalle manifestazioni di Hong Kong sembra non arrestarsi. Al contrario, a conclusione del lockdown, la notizia della discussione in seno al Congresso del Popolo di Pechino, circa l’introduzione della nuova legge sulla sicurezza nazionale, avrebbe destato critiche e proteste da parte dell’ex colonia britannica, che teme come effetto di tali normative, l’implicazione di un forte restringimento della propria autonomia. L’obiettivo sarebbe quello di istituire: “un quadro giuridico e un meccanismo di applicazione migliorati per la protezione della sicurezza nazionale di Hong Kong”, come riportato dal portavoce del Congresso del Popolo, Zhang Yesui. È a fronte di queste future misure ingerenti nel quadro autonomistico hongkonghese, storicamente contraddistinto da un sistema di amministrazione straordinaria che gli attribuisce un certo grado di indipendenza, maggiore rispetto alle provincie cinesi limitrofe, che migliaia di manifestanti nel corso della giornata di ieri si sarebbero riversati in alcuni punti nevralgici della città per lanciare un messaggio chiaro al governo, mettendo in piedi una marcia non autorizzata.
Come già da precedente, le autorità avrebbero reagito nel peggiore dei modi, ovvero caricando la folla con l’uso anche di fumogeni per disperdere i manifestanti; d’altronde, lungi dal giustificare la strategia di contenimento sistematicamente violenta messa in atto dalle forze dell’ordine di Hong Kong, l’attuale divieto di manifestazione è da riportare alle necessità sopraggiunte con l’emergenza Covid-19, che ovunque ha comportato una ponderazione tra certi diritti universali quali la libertà di circolazione, e fini di interesse sociale di rango costituzionale. Al contempo è più che certo che il diritto di libera espressione della volontà popolare costituisce uno dei pilastri fondamentali per il corretto funzionamento di un sistema democratico, perciò la sola eventualità della discussione di una legge restrittiva di tale diritto, imposta da Beijing, svuoterebbe il congresso di ogni legittimità.
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