FUORI DAL GREGGE

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Nella società dei tempi folli, frenetici, massificanti l’unica possibilità che abbiamo, per recuperare la nostra vita e sottrarci alla quotidiana sopravvivenza, è diventare protagonisti di una sorta di “monachesimo metropolitano”.

Una disciplina personale che dovremmo iniziare subito, perché è sempre più urgente il nostro bisogno di una pausa, di una sosta, di una più autentica fedeltà alla vita.

Essere fedeli alla vita e alle sue parole, alle sue voci, non è uno sforzo, ma una sequela, un assecondare inviti, un raccogliere messaggi, un riconoscere segnali. Ancora, significa continuare ad alimentare la speranza, credere nella bellezza, sentire che la gioia è possibile in quanto è un dono. Tutto ciò, oltre a renderci più umani, ci rende capaci di fare cose incredibili; avvertiamo di essere sostenuti da una “Presenza” che è cura, attenzione, tenerezza: diversamente tutto perde di sapore, anche la vita stessa.

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Proprio come monaci, potremo iniziare a dedicare ogni giorno un po’ di tempo al corpo, camminando nella natura; un po’ di tempo alla mente scoprendo o riscoprendo letture nascoste, dizionari intimi dimenticati ma mai distrutti; un po’ di tempo all’anima, ascoltando il nostro essere più profondo.

Nell’abbandono dei ritmi frenetici, sarà così possibile lasciare affiorare alla mente parole come umiltà, silenzio, stupore, gioia; parole che per la società di oggi sembrano non avere più alcun significato.

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Addirittura, appaiono quasi una provocazione rispetto alle logiche dominanti, dove arroganza, superbia, confusione, indifferenza e disperazione fanno breccia nel cuore dell’uomo.

Potrebbe sembrare anacronistico parlare di umiltà in tema di uomo contemporaneo, e ancora di più sembra tale l’idea proveniente dall’etimologia della parola, chiaramente riferita alla terra, “humus”, appunto. Ma accanto al significato letterale, ce n’è uno traslato dei cui esempi è ricca la storia, soprattutto la storia delle grandi rivoluzioni morali. Pensiamo cosa sarebbe stato l’Occidente senza l’irruzione dell’umiltà di Francesco. Se solo consideriamo i grandi cambiamenti culturali intervenuti nel XIII secolo, a partire dall’organizzazione sociale nelle nascenti municipalità, non possiamo non constatare quanto questa virtù abbia contribuito all’affermazione di una consapevolezza nuova dell’uomo.

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E difatti è proprio a quel secolo che molti studiosi fanno risalire la vera radice dell’Umanesimo.

Attualizzando il dato dell’umiltà nella cultura contemporanea, facilmente la qualifichiamo in opposizione all’arroganza, quale nota distintiva di una democrazia rispettosa delle differenze, a confronto dei tanti autoritarismi che minano alla base l’armonia del consenso e della pace.

Ma, ancora più attuale è la dimensione del silenzio. Interiore soprattutto. Quella che insegna a guardare in sé stessi e a non lasciarsi distrarre dalle apparenze. Il silenzio è un dono che facciamo a noi stessi, ci aiuta innanzitutto a liberarci da questa smania di riempire tutto, ci permette di stabilire una pausa, ci aiuta a recuperare e sottolineare ciò che davvero conta. Il silenzio ci rende fecondi e accoglienti, ci pone in contatto con la nostra anima, mitiga la tristezza che si presenta come amplificatore delle nostre ombre. Le strade per apprezzare armonicamente la solitudine sono molteplici e uniche, si può vivere un momento di silenzio facendosi inondare dal sentire profondo, dalle immagini, dai ricordi, dalla lettura oppure quale occasione per fare spazio dentro di noi e accogliere nuove vibrazioni, espressioni, desideri.

Solitudine come spazio dove perdersi, confondersi amabilmente con la natura, respirando il benessere dei profumi, lasciandoci abbracciare dalla bellezza dei colori, accompagnati dal fluire del tempo e delle stagioni.

L’uomo contemporaneo è sottoposto ad un bombardamento continuo di stimoli, sollecitazioni, comandi, che di fatto finiscono per limitarne la propria libertà sostanziale. L’uomo capace di guardarsi dentro, di fare un po’ di silenzio interiore, di sostare in ricercata solitudine, si mette al riparo dalle derive mediatiche, dal bruciare la propria vita nell’indistinzione della corrente, nell’anonimato di massa.

In un processo di deresponsabilizzazione che di fatto gli impedisce di perseguire i propri legittimi interessi, favorendo al contrario l’adeguamento a ciò che entità remote vorrebbero che uno fosse. Insomma, il non abbandonarsi alle mode egemoni è fondamentalmente un efficace antidoto alla massificazione.

È poi più facile pensare all’attualità del valore dello stupore, non solo come meraviglia delle bellezze della natura, ma anche fiducia e interesse per ciò che accade nella storia, deponendo l’abito dell’indifferenza. Una condizione quest’ultima sulla quale si fonda gran parte del rifiuto sociale, e che frena la fiducia nel cambiamento e nel futuro.

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Da ultimo la gioia, non soltanto come stato d’animo derivante da particolari condizioni, ma piuttosto come energia, vigore morale per non lasciarsi abbattere dalla disperazione e dal dolore. Come base anche di quel pensare colorato che è presupposto del cambiamento e il contrario della rassegnazione di una società non libera e gregaria, sebbene non sia facile riconoscere il respiro profondo della speranza che trascende la provvisorietà o l’oscurità del quotidiano.

Spesso il futuro intimorisce o quantomeno preoccupa. Eppure, la vita si distende nella ferialità, nel succedersi instancabile di piccoli avvenimenti, di speranze nuove, una successiva all’altra.

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Il tutto inizierà con un po’ di timore, ma presto questa disciplina personale ci sorprenderà e ci aprirà un mondo… Sentiremo il silenzio parlarci; vedremo le cose con un’altra chiarezza; le stesse parole che avremo modo di ascoltare saranno più dense, più significanti: favoriranno l’esercizio di una coscienza in forme più libere, autonome, indipendenti.

Fausto Corsetti

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