Ebru insegna….
Di Raffaella Salerno
Scrivere della morte di Ebru Timtik è sbagliato.
Come lo è parlare della toga e dei garofani rossi poggiati sul suo feretro.
Perché è riduttivo associare la morte alla persona di Ebru.
Ed è riduttivo fare un simbolo della sua storia di donna, avvocatessa e militante appassionata.
I simboli sono lontani dalla vita quotidiana: quella che ci affatica e ci scoraggia, ci delude e spesso ci sconfigge.
I simboli sono disincarnati perché recano il retrogusto (a volte un po’ mieloso) della vittoria e della ingenua speranza che alla fine i cattivi perderanno.
Ebru vive.
A dispetto del suo fisico raggrinzito e piagato, delle gocce di acqua che la gola non riusciva più ad ingoiare, della voce stanca e delle parole rotte.
Il cuore di Ebru batte.
La consunzione maturata nei 238 giorni di digiuno non è stata l’ultima parola.
Né è stato tale il bollettino medico del Sadri Konuk Hospital (l’ospedale di Instanbul dove Ebru era stata trasferita a luglio dopo l’aggravarsi delle sue condizioni) in cui veniva asetticamente riportato quello che la gente comune - e cioè gli studenti e gli operai, i manifestanti di Gezi Park e le vittime di ogni genere di violenza - mai avrebbero voluto sentire.
E si perché questa avvocatessa turca, che né le cariche della polizia né il progressivo diradarsi di ogni forma di democrazia istituzionale sono mai riusciti ad intimidire, si è spesa proprio tanto e in ogni direzione.
Troppo semplice affibbiarle l’etichetta di avvocato “rosso”, di sinistra….Come se l’amore per la giustizia, la passione per i diritti civili potessero essere rappresentati da un colore o meno che mai collocati in uno spazio.
Ebru ha attraversato ogni genere di battaglia: per i minatori e i contadini; per gli abitanti ingiustamente espropriati per la speculazione urbanistica e per quanti avevano la pretesa di pensare con la propria testa ed agire secondo il proprio cuore; per i torturati nelle stazioni di polizia e nelle carceri.
Ebru ha guardato la morte in faccia ogni giorno di quei 238 giorni sapendo che ben di rado il lieto fine accompagna le scelte scomode e non accomodanti.
Eppure è riuscita, giorno dopo giorno, a elaborare una ragione in più per far sentire la propria voce, ribellandosi a quanti quella voce avevano cercato di seppellire dietro i muri di una delle più grandi carceri del paese.
Quella voce urla anche oggi parole che forse hanno perso peso e verità all’interno delle nostre sicure ed incolori democrazie occidentali.
Per quelle parole, evocative dei più elementari diritti, si continua ancora a morire…
Ebru ci invita a non distogliere lo sguardo e a non accontentarci della indignazione di un solo giorno..
Ebru ci chiede di continuare a far vivere la sua idea dentro di noi.
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