ETICA DELLA LIBERAZIONE

La prospettiva fiduciosa della ragione utopica

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“L’unica forma di etica che abbia qualche forza, oggi, dev’essere un’etica interculturale.L’imperativo è pragmatico, perché non è fondato su un "a priori", ma semplicemente sul fatto che se non ci fosse un’etica alternativa per il mondo attuale, si andrebbe alla mutua distruzione dell’umanità, allo sterminio tra gli uomini e ai disastri ecologici”.

Raimundo Panikkar

(teologo e filosofo ispano-indiano, da anni impegnato nel confronto interreligioso e interculturale)

“La liberazione della periferia è un movimento etico che coinvolge i ‘dannati della terra’”.

Franz Fanon

L’Etica della Liberazione ha la particolarità di assumere le grandi questioni affrontate dalle etiche filosofiche dal punto di vista delle “vittime della storia”, partendo dal processo di globalizzazione a partire dalla seconda metà del XX secolo. Nata negli anni ’60 in America Latina, con filosofi e pensatori come Enrique Dussel e R. Fornet Betancourt, la filosofia della liberazione tenta di esaminare i vari processi di dominazione, collocandoli in una prospettiva mondiale.

Qual è il problema principale, centrale ed essenziale dell’etica filosofica della liberazione? La sua auto-fondazione come etica o la definizione della sua validità etica ha origine o nella prassi vigente - che non può essere se non di coloro i quali la esercitano egemonicamente – o nella fondazione della validità etica della pratica di liberazione dei dominati ed esclusi. Poiché il primo momento della fondazione della razionalità etica si esplica nell’atto pratico, considerando che la prassi di dominazione ha validità effettiva, quella della prassi di liberazione si applica agli oppressi ed agli esclusi, che rappresentano la grande maggioranza dell’umanità.

Nell’etica della liberazione, che parte da un mondo, da un sistema, da una Totalità, si scoprono eticamente e si analizzano criticamente -come nella critica dell’economia politica di Marx o della “pedagogia degli oppressi” di P. Freire- i criteri, le categorie e i principi dell’etica, quali si determinano nell’Alterità, ovvero a partire dal riconoscimento della dignità dell’Altro, rendendo possibile una fondazione etica della validità della “pratica di liberazione”.

Sul fronte produttivo, il neoliberismo, nella sua fase di globalizzazione transnazionale, impone condizioni di sfruttamento ai più deboli, a causa del sistema economico-sociale che privilegia il capitale e la speculazione finanziaria rispetto ai popoli. Sul fronte ecologico, la vita sulla terra è a rischio di estinzione irreversibile. L’umanità sta raggiungendo un consenso sul fatto che la situazione deve essere risolta, ma è nella fattibilità che le pratiche più efficaci sono difficili da adottare.

Poiché l’attuale sistema capitalista, che tende a massimizzare il profitto, non implementa, pur adottandole, le misure necessarie per invertire lo squilibrio ecologico, si impone il raggiungimento di una “coscienza critica radicale”, che parta dalle vittime, considerando tutta l’umanità, soprattutto i più poveri ed il sud del mondo, includendo le generazioni future che riceveranno una terra in pericolo di estinzione.

È necessario adottare misure che abbiano validità collettiva, creando una “coscienza etica di massa”, affinché sia possibile trasformare radicalmente il nostro modo di pensare, di produrre e consumare. I movimenti ecologisti devono organizzare e adottare una “prassi di liberazione ecologica, individuale, generazionale e politica”, che si confronti efficacemente con i poteri stabiliti - economici, politici, culturali, religiosi - per denunciare e decostruire ciò che dà origine a questa situazione e creare nuove condizioni sul fronte del sistema-mondo, del capitalismo centrale e periferico, combattendo l’impoverimento della maggioranza dell’umanità, che causa le migrazioni epocali cui assistiamo.

Per legittimarsi, un’“etica di liberazione” deve: 1) costruire le basi filosofiche dell’etica; 2) definire chiaramente la sua specificità critica; 3) argomentare efficacemente in riferimento ai suoi avversari strutturali.

In questo articolo esaminerò alcuni aspetti di questi tre punti.

COSTRUZIONE DEI FONDAMENTI DELL’ETICA DELLA LIBERAZIONE

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P. Freire, il pedagogo degli oppressi

L’Etica della Liberazione ha bisogno di un’etica “materiale”, perché, poiché il suo riferimento critico parte dalle vittime, che soffrono il dolore e l’oppressione, oltre che nello spirito, anche nella loro corporalità, essa deve partire necessariamente dal contenuto “materiale” dell’etica. Per questo propone un principio materiale “universale”: l’obbligo etico di riprodurre e sviluppare la vita del soggetto umano, all’interno di una certa comunità di vita, con l’ambizione di abbracciare tutta l’umanità.

Il suo “criterio di verità” è la vita e la morte. Questo principio misura l’eticità di ogni possibile norma, azione, istituzione o sistema ed è un principio universale, che può giudicare la stessa cultura e consentire il dialogo interculturale all’interno di ciascuna cultura.

Coloro che sostengono il momento formale della morale, cioè una morale procedurale, come I. Kant, che partono dal liberalismo di J. Rawls, dal pragmatismo di Peirce, dall’etica del discorso di K.O. Apel, da J. Habermas e molti altri, scettici nei confronti dell’etica materiale, sostengono l’universalità di una “ragione discorsiva” che impone l’obbligo morale di argomentare fino a raggiungere la validità intersoggettiva attraverso l’accordo di tutti i partecipanti interessati su ciò che dovrebbe essere fatto, cioè la norma dell’azione.

Mentre il “criterio di validità” della ragione discorsiva è l’”intersoggettività simmetrica”, questo non è il caso del principio dell’”etica di liberazione”, che denuncia l’asimmetria nelle relazioni sociali. L’Etica della Liberazione assume il principio formale generale di consensualità, ma lo adotta come procedura morale per applicarla ai contenuti già indicati dall’etica materiale, in modo che la sua validità intersoggettiva derivi dalla partecipazione simmetrica di tutti i soggetti interessati.

Ma in che consiste e come si esplica l’“Etica della Liberazione”? L’Etica della Liberazione è un’etica critica che parte dalle “vittime della storia”, il cui scopo è liberare l’altro negato nella su dignità, sia esso il povero, la donna, la classe operaia, la nazione periferica, la cultura popolare oppressa, la razza ed il genere discriminati, le generazioni future. Il procedimento discorsivo che riguarda la validità intersoggettiva del "factum", riguardo, ad esempio, la miseria degli sfruttati e degli esclusi, per superare la comunicazione egemonica e dominante imperante ed avere validità propriamente etica, deve partire dagli stessi dominati ed esclusi.

H. Marcuse

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Per questo, deve dotarsi di una sua specificità prima di altre etiche critiche. Ci sono varie etiche critiche: a livello di etica critico-materiale, pensiamo al pensiero economico di Marx ne “Il Capitale”, quella della “Teoria critica” che ha origine dalla “materialità negativa” della prima Scuola di Francoforte, che comprende Horkheimer, Adorno, Marcuse e Benjamin, l’Etica del Discorso secondo K.O. Apel, la critica contro l’ordine repressivo e la critica etica della Totalità di E. Levinas.

L’Etica della Liberazione assume aspetti di queste diverse etiche, ma le colloca all’interno di una diversa architettura, nel tentativo di effettuare le necessarie mediazioni etico-morali. Il suo esercizio critico inizia dalle vittime, dal dolore della loro corporeità e dalla negazione della loro dignità, cioè dal loro non riconoscimento formale di cittadini-persone uguali, potenziali partecipanti alla comunità dell’argomentazione consensuale, e denuncia la negatività dell’impossibilità di vivere, di soddisfare i propri bisogni e i corrispondenti istinti di vita, cioè le pulsioni, e di partecipare alla comunità perché asimmetricamente esclusi.

Si tratta del “momento critico”, dove, partendo dalle negatività indicate e dalla soggettività dell’Altro, diverse dal sistema dominante, le norme, atti, istituzioni o sistema responsabili di tale vittimizzazione vengono criticati negativamente. La “verità pratica” delle norme, delle azioni, delle istituzioni o del sistema viene messa in discussione. Lo stesso accade con la legittimità del sistema, la cui “validità” viene messa in discussione a livello critico-formale della moralità.

Quando la vittima acquisisce una coscienza etica critico-negativa, interpella la comunità alla solidarietà corresponsabile. Nasce così una comunità critica formata dalle stesse vittime, come ha descritto P. Freire nella “Pedagogia degli oppressi” e rappresentata dagli "intellettuali organici" come indicato da Gramsci. La comunità critica parte così dalle vittime asimmetricamente escluse.

Sviluppando nuovi paradigmi di accesso alla realtà si sviluppa quella “verità critica”, che, raggiungendo una validità anti-egemonica, permette la consapevolezza di nuovi, effettivi diritti umani e sociali. Le azioni di resistenza anti-egemonica sono esercitate dai movimenti sociali, cioè da quei soggetti sociali che sorgono e scompaiono secondo le circostanze storiche.

Dal punto di vista critico-negativo, applicando l’intersoggettività critica, si fa una critica del passato, della norma, dell’azione, dell’istituzione e dei sistemi attuali e si denuncia l’origine della sofferenza delle vittime. La prassi di liberazione deve decostruire le logiche che sono all’origine della sofferenza degli “ultimi”, “i vinti” della storia ed agire in conseguenza. Questi atti producono resistenza contro la coercizione finalmente riconosciuta come illegittima, e non possono essere definiti violenti, ma l’esercizio della coercizione legittima in nome di nuovi diritti, di fronte alla repressione o coercizione illegittima del vecchio Stato di diritto.

Dal punto di vista critico-positivo, come espresso nel “Principio speranza” di Bloch, lo sviluppo di criteri etico-morali materiali, formali e concreti che prevedono effettive alternative, consente finalmente alle vittime non solo di essere riconosciute, ma di acquisire dignità e viverla. La prassi della liberazione come costruzione della norma, dell’atto o dell’istituzione, consente alle vittime di sviluppare le loro vite come partecipanti pienamente simmetrici nella presa di decisioni in forma consensuale.

La pratica di liberazione “come pratica della libertà” (P. Freire) affronta molti oppositori, tra cui il sistema riformista-conservatore-capitalista che non ha interesse a adottare le trasformazioni che la prassi della liberazione propone, partendo dal diritto alla vita ed alla dignità delle vittime.

FONDAZIONE RAZIONALE DELL’ETICA DELLA LIBERAZIONE

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F. Fanon, il filosofo delle barricate

Adottando i motivi e le ragioni dell’Etica della Liberazione – la fine dello sfruttamento e delle ingiustizie verso le persone ed i popoli - si sostengono razionalmente i suoi principi. Nel processo astratto della prassi secondo l’Etica della Liberazione si distinguono sei momenti e molti altri possono essere inclusi. Ogni principio è fondato e argomentato contro vari oppositori, ad esempio, contro scetticismo e cinismo, che si fonda sul potere di dominio del sistema e dirige l’esercizio della ragione strategica in suo favore, mentre l’etica della liberazione parte dal riconoscimento della dignità dell’Altro, negata e oltraggiata.

Esaminiamo brevemente i sei principi, con i loro diversi tipi di razionalità.

1.A livello di etica materiale si esercita una ragione etico-materiale, che Hinkelammert chiama “ragione riproduttiva” e Levinas denomina “ragione etica preoriginale”. Questa ragione etico-materiale esprime affermazioni normative: "L’essere umano, poiché vive, deve mangiare". Non è solo un fatto, è un dovere etico. Le affermazioni normative sono legate alle esigenze della riproduzione e dello sviluppo di base della vita del soggetto umano e hanno una pretesa di verità universale, sono valide per tutte le culture con pretesa di validità e rettitudine, nonché ordine di valori, in relazione alle pulsioni di vita ed al loro compimento.

2.Sul piano della morale formale, si esercita una “ragione morale discorsiva”, che si oppone al paradigma della coscienza e della ragione strumentale. Chi vi si oppone è lo scettico, che cade in una contraddizione performativa nel rivendicare validità universale alle sue argomentazioni.

3.Sul piano della fattibilità si esercita una “ragione strumentale strategica”, che si dichiara unica e fondamentale e rientra nella critica mossa contro di essa da Horkheimer e Adorno, ma che, se aderisce a principi etici e morali, è perfettamente espressa in un atto razionale complesso. Chi si oppone al principio di fattibilità etica è l’anarchico, che nega lo stesso principio di fattibilità etica, perché nega la possibilità etica delle istituzioni.

4. A livello della critico-etica, si esercita una “ragione etico-critica”, il cui principio - l’obbligo di criticare l’ordine che produce vittime e come le produce - è negato da un nuovo oppositore: il conservatore, che crede che il sistema attuale sia il migliore possibile. Ogni sistema storico e finito produce necessariamente vittime, altrimenti sarebbe un sistema perfetto, il quale supporrebbe, per usare l’argomentazione di Popper, un’intelligenza infinita, una struttura istintivo-pulsionale altrettanto perfetta, che desidererebbe solo ciò che è più perfetto. Il conservatore alla P. Berger si contraddice quando cerca di argomentare contro ogni possibile critica etica del sistema vigente.

5. Sul piano della morale critica si esercita una “ragione critico-morale”, che la obbliga, proprio in base ai suoi principi, a collaborare in forma razionale e argomentativa con le vittime contro la validità egemonica, dominante o repressiva. L’avversario è il dogmatismo, che si contrappone alla “ragione critico-morale”, perché nessuna verità o validità può essere assoluta, perfetta, non falsificabile per definizione. Sarebbe necessaria un’intelligenza perfetta per raggiungere l’identità tra la Realtà e il Pensiero, come in Hegel, ma questo è impossibile per l’umanità.

6. Infine, sul piano della fattibilità critica, si esercita una “ragione liberatrice”, l’ultimo momento della razionalità, che riassume ed ingloba tutti i precedenti momenti teorici e pratici della ragione, e che si occupa della costruzione effettiva e reale della “nuova eticità creativa”, che prefigura e prepara un mondo vivibile per le antiche vittime.

Questa “lotta per il riconoscimento”, il “siate umani” di Rousseau, che si esprime nella “lotta di liberazione”, non implica una giustizia data, ma una giustizia che non solo ambisce, ma pretende di essere operativa, applicabile alle vittime del presente. L’ “utopia realizzabile” delle vittime non vuole essere una perfetta anticipazione, ma una “proiezione di emancipazione futura”, e l’argomento anti-utopico di Popper è del tutto insufficiente a dimostrare l’impossibilità di un’alternativa. È la critica e, allo stesso tempo, la prospettiva fiduciosa della ragione utopica e della lotta emancipatrice: si tratta dell’esercizio corresponsabile e solidale di una “ragione liberatrice” della stragrande maggioranza dell’umanità all’inizio del secolo XXI.

Gabriella Bianco

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