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Il sogno del pavone

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cms_20857/1v.jpgAvendo introdotto Siena col Canto XI del Purgatorio e il gesto di umiltà del superbo Provenzano Salvani, introduco in questa lunga serie di articoli danteschi, in onore del Poeta nell’anniversario dei 700 anni della sua morte (1321/2021) “il sogno del pavone”.

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Forse penserete che ci azzeccano Siena, Provenzano, il pavone con Dante, cercherò di esporlo. Il pavone è sinonimo di vanità e di superbia, in ogni caso occorre tenere a mente che il simbolo per sua caratteristica è sempre ambivalente e che il pavone in certi periodi storici è stato visto anche come raffigurazione di Cristo e di resurrezione perché simboleggia con la sua ruota il sole, con la coda il cielo stellato, inoltre si riteneva che la sua carne fosse immarcescibile, ciò non toglie che il nome del volatile abbia dato il nome all’aggettivo pavoneggiarsi. A tal proposito Esopo racconta una simpatica storiella. Un pavone vedendo un soldato con l’elmo ornato di piume di struzzo, pensò: “Adesso gli faccio vedere io, chi ha le penne veramente belle” e fece la ruota. Il soldato scese da cavallo, spennò il pavone e mise le penne sull’elmo al posto delle piume di struzzo e se ne andò felice trotterellando sul suo cavallo, mentre il pavone piagnucolava: “Ben mi sta, ho mostrato le mie preziose penne e ho invitato il soldato a rubarmele”.

cms_20857/3v.jpgL’Archivio di Stato di Siena, custodisce oltre alle meravigliose tavolette di Biccherna, circa 60 000 pergamene, tra queste il testamento di Giovanni Boccaccio che fu il primo biografo di Dante, ed è Boccaccio che parla del sogno del pavone riguardo alla nascita di Dante.

Boccaccio carissimo amico di Dante e di Petrarca. Tre grandi che successivamente assieme ad altri artisti hanno reso Firenze la corte rinascimentale per eccellenza, Firenze come una nuova Atene. Ognuno dei tre con una musa: Beatrice per Dante, Laura per Petrarca e Fiammetta per Boccaccio; anche se quest’ultimo nell’Elegia di Madonna Fiammetta sia molto più carnale descrivendo una Fiammetta assai meno angelicata. Nel racconto Fiammetta, bella nobildonna napoletana già sposata, incontra un giovane mercante, Panfilo, i due si innamorano e subitamente iniziano una tresca d’amore, sino a quando Panfilo viene richiamato dal padre a Firenze e nonostante la promessa di tornare presto, per una causa o un’altra non tornerà mai, lasciando Fiammetta infelice e gelosa, ma in fondo speranzosa. Il finale rimase aperto, ma se Boccaccio, come sembra, racconta la sua storia d’amore, con la figlia naturale del re di Napoli Roberto d’Angiò, troncata per tanti problemi: il padre, che lo voleva mercante senza grilli per la testa, il disastro finanziario con la rovina dei Bardi, la crisi di Firenze, la peste, ma soprattutto essendo un amore impossibile per censo e Fiammetta oltretutto già maritata, il finale anche se non scritto si può immaginare: Boccaccio prese gli ordini minori e Fiammetta chetò la sua gelosia tra le braccia del marito e gli agi della corte di Napoli, il suicidio spesso ventilato, non lo mise in atto (per fortuna). Boccaccio offre uno spaccato della psicologia femminile veritiera, quasi anticipando il romanticismo.

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Dante Gabriel Rossetti-Una visione di Fiammetta- Collezione di Andrew Lloyd Webber

Boccaccio soggiorna a Ravenna fra il 1345 e il 1347 alla corte dei da Polenta, per approfondire le ricerche biografiche e letterarie su Dante, che gli servirono per il “Trattatello in laude di Dante”. Dante fu suo maestro ideale di vita e poesia. Boccaccio amava intensamente la poesia ma anche qui non ebbe fortuna perché è considerato dai posteri “solo” il fondatore della prosa italiana.

Questo è l’epitaffio che volle per la sua tomba: “Sotto questa lastra giacciono le ceneri e le ossa di Giovanni: La mente si pone davanti a Dio, ornata dai meriti delle fatiche della vita mortale. Boccaccio gli fu genitore, Certaldo la patria, amore l’alma poesia”.

A Ravenna, nella pineta di Classe che Dante tanto amò è ambientata l’ottava novella della quinta giornata del Decamerone.

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Sandro Botticelli- Nastagio degli Onesti, primo episodio- Museo del Prado, Madrid

Nastagio è un giovane di Ravenna innamorato di Bianca, ma la ragazza non ne vuole sapere di lui. Il giovane soffre molto, per distrarsi fa lunghe passeggiate nella pineta di Classe, dove incontra una donna nuda e bella rincorsa da due mastini e da un cavaliere che tentano di ucciderla. Nastagio cerca di difendere la donna, ma scopre che a che fare con anime dannate. Il cavaliere in vita amava follemente la donna che ora insegue, lei non lo ricambiava, così il cavaliere si uccise con la stessa spada con cui ora cerca di strapparle il cuore, quel cuore che non ebbe pietà di lui. Nastagio, invita Bianca ad un banchetto in pineta, durante il quale si ripete la caccia selvaggia e Bianca, per paura di dover scontare la stessa pena, comunica a Nastagio che il suo odio si è trasformato in amore. Nel 1483 Botticelli eseguì ben 4 pannelli con questa storia, un dono di nozze per ricordare la disponibilità che la donna deve avere verso chi la desidera? O un ammonimento a non illudere nelle cose d’amore? O forse solo un rimando a Fiammetta che sposata stava al centro della vita mondana della corte di Napoli, giurando eterno amore, civettando e illudendo il Boccaccio facendo la gelosa? ( I latini e i greci confondevano la gelosia con l’invidia, forse esageravano ciò non toglie che la gelosia eccessiva possa esprimere il timore di perdere un “bene” che vogliamo solo per noi senza pensare al “bene” della persona in questione)

Direi che mi sono dilungata troppo, ma prima di scrivere del “sogno del pavone”, scrivo qualche frase estrapolata dal “Trattarello in laude di Dante” che evidenzia l’amore sincero e scevro da invidia del Boccaccio e il suo “divin prosare” : “Morto è il tuo Dante Alighieri in quello esilio che tu ingiustamente, del suo valore invidiosa, gli desti (… ) Raddomandalo (… ) Cerca tu adunque di volere essere del tuo Dante guardiana; raddomandalo; mostra questa umanità, presupposto che tu non abbi voglia di riaverlo; togli a te medesima con questa fizione parte del biasimo per addietro acquistato: raddomandalo. Io son certo ch’egli non ti fia renduto; e ad una ora ti sarai mostrata pietosa, e goderai, non riavendolo, della tua innata crudeltà (…) Egli giace con compagnia troppo più laudevole che quella che tu gli potessi dare. Egli giace in Ravenna, molto più per età veneranda di te;”

cms_20857/6v.jpgIn quanto all’aspetto fisico così lo descrive: “Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito in quell’abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso”. Boccaccio racconta poi che a Verona due donne vedendolo gli domandarono se egli aveva la barba riccia ed era così scuro per il fumo dell’inferno dove lui era solito andare e venire. Ed è per questa descrizione che Dante è sempre raffigurato cupo e arrabbiato e col naso aquilino molto accentuato, nonostante ciò, Mario Tobino in una biografia romanzata sul Poeta, dal titolo “Biondo era e bello”, edito da Mondadori nel 1974, sostiene che Dante rivede sé stesso giovane quando nel III Canto del Purgatorio in riferimento a Manfredi, ultimo sovrano svevo del regno di Sicilia, lo descrive in poche ma efficaci parole rendendolo un re da favola “biondo era e bello e di gentile aspetto”, ricordo che Mario Tobino era oltre che scrittore anche psichiatra e di alter ego se ne intendeva. Un particolare curioso, è che Manfredi secondo un’antica miniatura, non pare poi tanto bello e biondo. Secondo i canoni dell’amor cortese sia le dame che i cavalieri, erano raffigurati biondi ed eterei come angeli, al dorato si attribuiva la santità, la bellezza e soprattutto la luce paradisiaca. Attribuzione che perdurò a lungo (300 anni dopo il fascino, la malia di Lucrezia Borgia erano soprattutto i suoi lunghi capelli biondi, ma questo topos dura tutt’ora). Dante sarà pure stato scuro, ma era biondo e bello e di gentile aspetto certamente dentro di lui, il ritratto di Giotto che ho più volte proposto lo ritrae anche con un aspetto aggraziato e nel disegno, attuato ai giorni nostri, di Milo Manara, risulta assai affascinante.

cms_20857/7v.jpg Boccaccio procede con la biografia dantesca, ricordando che Dante era un ottimo cantatore e sonatore e che fu assai assiduo con gli studi, “Niuno altro fu più vigilante di lui e negli studii e in qualunque altra sollecitudine il pugnesse”, raccontando che a Parigi stupì gli studiosi per una prodigiosa memoria e che a Siena, in una bottega di speziale, visto un libro che bramava e non potendolo avere se non in lettura, si pose sulla panca fuori dalla bottega e lì rimase a leggere per ore senza mai alzare la testa nonostante fosse in corso una festa con balli, suoni e canti. Poi Boccaccio spiega che la poesia è il punto più alto dell’arte che… la teologia e la poesia quasi una cosa si possono dire, dove uno medesimo sia il suggetto; anzi dico più: che la teologia niun’altra cosa è che una poesia di Dio, e che solo il poeta è coronato d’alloroquindi… Per che non senza cagione il nostro Dante era ardentissimo disideratore di tale onore ovvero di cotale testimonia di tanta vertù, quale questa è a coloro li quali degni si fanno di doversene ornare le tempie. Boccaccio continua dicendosi vergognoso giunto a questo punto di dover maculare la grande e fama chiara di Dante, ma per dimostrare che ciò che aveva scritto era il vero non avrebbe taciuto… Tra cotanta virtù, tra cotanta scienzia, quanta dimostrato è di sopra essere stata in questo mirifico poeta, trovò ampissimo luogo la lussuria, e non solamente ne’ giovani anni, ma ancora ne’ maturi.

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Giorgio Vasari -Sei poeti toscani-Minneapolis Institute of Arts- USA

Penultimo evento interessante che Boccaccio descrive è il ritrovamento degli ultimi tredici canti della Commedia. Il Poeta era solito scrivere sei o sette canti, inviandoli poi a Cangrande della Scala, ma gli ultimi non erano stati inviati al principe di Verona e non si trovavano da nessuna parte, per mesi cercarono, fino a quando al figlio Iacopo, apparve in sogno il padre dicendogli dove trovarli. Secondo ciò che racconta Boccaccio, Iacopo, sognò suo padre, vestito di bianco e splendente di luce (Dante avrebbe quindi avuto accesso direttamente in Paradiso); Iacopo gli chiese se avesse terminato la Commedia. “Sì, io la compie’” fu la risposta e gli indicò il luogo dove aveva nascosto i fogli. Iacopo si svegliò, anche se era ancora notte e si alzò per verificare; andò al luogo indicato nel sogno, qui trovò una stuoia, l’alzò, c’era una piccola finestra e dentro trovò i tredici canti, sebbene tutti ammuffiti e la Commedia fu finita e i fogli furono inviati a Cangrande. A tal proposito Boccaccio scrive che alcuni credono che la Commedia sia intitolata tutta a messer Cane della Scala, altri che fosse dedicata a tre illustri uomini: l’Inferno a Uguccione della Faggiola, il Purgatoro al marchese Moroello Malaspina; il Paradiso, a Federico III re di Sicilia.

“Similemente questo egregio autore nella venuta d’Arrigo VII imperadore fece un libro in latina prosa, il cui titolo è Monarchia, il quale, secondo tre quistioni le quali in esso ditermina, in tre libri divise. Nel primo loicalmente disputando, pruova che a ben essere del mondo sia di necessità essere imperio: la quale è la prima quistione. Nel secondo, per argomenti istoriografi procedendo, mostra Roma di ragione ottenere il titolo dello imperio: ch’è la seconda quistione. Nel terzo, per argomenti teologi pruova l’autorità dello ’mperio immediatamente procedere da Dio, e non mediante alcuno suo vicario, come li chierici pare che vogliano; ch’è la terza quistione”. Questo spezzone di Boccaccio non lo commento, dice e vive così com’è, intoccabile per maestria, in due righe descrive egregiamente il pensiero politico di Dante.

Il De Monarchia anni dopo la morte di Dante fu “dannato” dal cardinale Bertrando del Poggetto. Il Cardinale era legato del papa Giovanni XXII, che era arrabbiatissimo in quanto l’imperatore Ludovico di Baviera aveva eletto per conto suo un altro papa: un frate minore chiamato Pietro della Corvara (antipapa Niccolò V) L’impossibilità di colpire i responsabili della politica antipapale, spinse il Cardinale in odio contro Dante che era stato un grande sostenitore dell’istituzione imperiale e aveva contestato la Chiesa (in realtà Dante era solo contro i prelati maneggioni) diede l’ordine di bruciare in Bologna il libro della Monarchia e altrettanto avrebbe voluto fare delle ossa del suo autore se Pino della Tosa e Ostasio da Polenta, che si trovavano a Bologna, non si fossero opposti.

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Gabriel Dante Rossetti- Il saluto di Beatrice- 1863

E ora l’ultimo argomento di Boccaccio che tratta del sogno del pavone. La madre di Dante poco prima di partorire fece un sogno in cui vide il figlio che doveva nascere: stava giocando con un alloro a bordo di una limpida fontana bevendo a quelle acque e mangiando le bacche dell’albero di Apollo, poi si trasformò in un pastore che cadendo si tramutò in un bellissimo pavone.

Interessante è come Boccaccio interpreta il sogno. Le bacche di alloro, pianta di Apollo con cui i poeti sono coronati, sono metafora di libri poetici, dottrine, nutrimento del fanciullo. L’acqua chiara e limpida che beve è la dottrina morale e naturale senza le quali il cibo non può ben disporsi. Il divenire un pastore è così interpretato: “datore di pastura agli altri ingegni di ciò bisognosi”. Spiegando che ci sono due maniere di pastori: l’una sono i pastori corporali, l’altra gli spirituali che si suddividono ulteriormente. I corporali in pastori di greggi e di armenti e similmente in padri di famiglia con la loro prole. I pastori spirituali in prelati, in predicatori, in sacerdoti, preposti alla custodia delle anime e “l’altra è quella di coloro li quali, d’ottima dottrina, o leggendo quello che gli passati hanno scritto, o scrivendo di nuovo ciò che loro pare o non tanto chiaro mostrato o omesso, informano e l’anime e gl’intelletti degli ascoltanti o de’ leggenti, li quali generalmente dottori, in qual che facultà si sia, sono appellati”.

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Gabriel Dante Rossetti- Il saluto di Beatrice- 1863- particolare

E perché si trasformò in pavone? Che in fin dei conti è un po’ ambivalente.

Boccaccio ritiene che il pavone, coi suoi quattro peculi: penna angelica su cui ha cento occhi, sozzi piedi e un’andatura stentata, voce orribile a sentirsi e carne odorosa e incorruttibile, rappresenti la Divina Commedia, in quanto simile alla carne del pavone per moralità e teologia e semplice e immutabile verità; la penna del Poeta è similmente angelica e con molti occhi di sapienza e la Commedia ha la bellezza della ruota del pavone ed è divisa in cento canti così come gli occhi della coda; i piedi sozzi e l’andatura lenta è “il parlare volgare, nel quale e sopra il quale ogni giuntura della Comedia si sostiene, a rispetto dell’alto e maestrevole stilo letterale che usa ciascun altro poeta, è sozzo, come che egli sia più che gli altri belli agli odierni ingegni conforme. L’andar queto significa l’umiltà dello stilo, il quale nelle commedie di necessità si richiede”.

E l’orribile voce del pavone, che è veramente sgraziata e inquietante dove la ritroviamo nel Poema?

“Chi più orribilmente grida di lui, quando con invenzione acerbissima morde le colpe di molti viventi, e quelle de’ preteriti gastiga?”

Paola Tassinari

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