CULTURA NELL’ERA DEI NUOVI MEDIA: A TU PER TU CON VALENTINA PELLICCIA

Una poliedrica professionista si racconta e ci spiega la sua “rivoluzione culturale” del mondo social

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Inutile negarlo: il mondo dei social è parte integrante della nostra vita come mai prima d’ora.

Si è silenziosamente introdotto nella nostra quotidianità, esordendo come una moda passeggera e poi risucchiandoci in un universo dove immaginazione e realtà si intrecciano, fino a fondersi totalmente. Ha rivoluzionato il modo di sentire, percepire, pensare, tra grandi conquiste e rovinose derive. Ma tanto ancora c’è da fare e da scoprire… ne abbiamo parlato con la Dottoressa Valentina Pelliccia, giovane e affermata professionista con un punto di vista innovativo sulla questione.

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cms_22903/Foto_2.jpegGiurista, scrittrice, giornalista ma anche esperta di Comunicazione: così potremmo riassumere, in breve, il tuo quadro formativo e professionale. Come nascono queste passioni? Come si conciliano in una professionalità tanto completa come quella che ti caratterizza?

Dopo la mia laurea in ambito giuridico, ho lavorato come Consulente Legale presso la Direzione Generale di una banca. Attualmente, da poco tempo, mi occupo di Comunicazione, Centro Studi e Marketing Strategico all’interno della Direzione Generale dello stesso Istituto di Credito. Ho conseguito Master in Comunicazione e Media Relations e titoli presso università prestigiose come la SDA Bocconi, sempre nell’ambito del diritto e della Comunicazione. Ho frequentato le lezioni di "Giornalismo costruttivo" (Constructive Journalism) o "Giornalismo delle soluzioni" (Solutions Journalism) del professor Dario Biocca, docente di Storia del Giornalismo presso l’Università di Perugia. Sono iscritta all’Ordine Nazionale dei giornalisti e scrivo da più di quattro anni per il quotidiano Il Tempo e altri giornali importanti, come Harvard Business Review Italia.

In realtà il mio quadro formativo e professionale non si esaurisce qui: sono anche Vice Presidente di un’associazione in ambito universitario e scrittrice di romanzi e poesie. Tutte queste attività si conciliano perfettamente proprio perché si tratta di passioni, predisposizioni; riesco a gestirle e portarle avanti da sempre. Se si hanno qualità, vanno coltivate: ognuno ha dei talenti, basta saperli riconoscere e focalizzarsi solo su di essi. Inevitabilmente occorre rinunciare a gran parte della vita sociale per dare il massimo! La mia priorità è il mio lavoro di tutti i giorni. Poi viene tutto il resto, a cui posso dedicarmi nei week-end e dopo l’orario lavorativo.

La tua attività di giornalista ti porta ad essere molto attiva e seguita sui social, da te concepiti come strumenti di diffusione della cultura. Purtroppo, ad oggi il web è spesso veicolo di contenuti scarsamente pregnanti, talvolta persino diseducativi, brutali, violenti. A tuo parere, qual è la “rivoluzione” da innescare affinché la rete possa finalmente assumere un ruolo di positiva influenza sulla società?

La rivoluzione è provare a far approdare sana informazione, cultura, confronto, valori e soprattutto autenticità su social come Instagram e Facebook. Quello che sto provando a fare io. Di recente ho anche creato una piccola Community con il nome "Hashtag Cultura", proprio per unire un termine attuale alla sostanza, ossia la cultura.

A tal proposito, quale funzione credi debba assumere la figura dell’influencer?

Gli influencer hanno un grande potere in mano: la possibilità di essere seguiti da milioni di persone. Se riuscissero ad usare bene questo potente mezzo (Internet) per finalità non solo autoreferenziali, bensì come risorsa per divulgare contenuti più di spessore, sarebbe già una grande rivoluzione. Consideriamo anche l’aspetto della sana informazione a 360°: personalmente preferirei assistere a dibattiti e contenuti più rilevanti rispetto a quelli che normalmente vengono diffusi, ad esempio, su Instagram.

Parlando di social, è impossibile non rivolgere il nostro pensiero al mondo degli adolescenti e dei giovani, spesso al centro di drammatiche vicende che trovano origine proprio nella rete: pensiamo, ad esempio, ai fenomeni del cyberbullismo e del revenge porn. Come epurare i social da simili derive? Come educare i più piccoli ad un corretto uso della rete?

Anzitutto, i più piccoli, a mio avviso, non dovrebbero proprio frequentare i social.

Quanto all’eliminazione di simili derive, possono essere contrastate sicuramente divulgando contenuti diversi e sani. Ma, alla base, deve esserci una corretta informazione sull’utilizzo e soprattutto sui pericoli della rete, per evitare che i giovani possano ritrovarsi in situazioni spiacevoli o tragiche.

In merito a cyberbullismo e revenge porn, la famiglia e la Scuola dovrebbero, a mio avviso, essere più presenti. Ad esempio, provando ad introdurre come materie curricolari, oltre alle classiche, quelle che hanno a che fare con l’intelligenza/educazione emotiva e con il corretto uso dei social e relativi rischi.

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Nel tuo romanzo, Zucchero filato (Schena Editore, 2004), introduci la dolorosa tematica della violenza carnale, che irrompe nella vita della 14enne Colette. Cosa ti ha spinta a trattare il tema dello stupro?

Volevo semplicemente mandare un messaggio di speranza e ho affrontato questa tematica per evidenziare il percorso di salvezza e rinascita della protagonista. Non è un romanzo autobiografico.

Tornando ai tuoi articoli giornalistici, nel suo numero di giugno l’Harvard Business Review ha pubblicato una tua interessante riflessione sul valore del fallimento nella vita di ognuno di noi e in quella delle imprese. Come nasce l’interesse per questo particolare argomento?

Il fallimento riguarda, più o meno, tutti noi, perché siamo esseri umani, incredibilmente (e fortunatamente, aggiungo!) imperfetti. Anche questo articolo è stato da me scritto per fornire un messaggio di speranza alle persone, soprattutto in un periodo come quello attuale, segnato dalla pandemia.

Lo scrittore Massimo Recalcati, nel suo Elogio del fallimento, ha evidenziato proprio l’importanza dell’incontro con il limite. Solamente il vuoto rende possibile il gesto creativo, lo slancio vitale. «Ci vuole tempo per darsi una forma, ci vuole il tempo del fallimento, del disorientamento, del perdersi per ritrovarsi. Il fallimento è la vita che si smarrisce in una nuova possibilità».

Se il fallimento fosse concepito, non solo nella mentalità nordamericana ma anche in Italia, come risorsa e consapevolezza di poter tentare di nuovo facendo tesoro degli errori passati e agendo in modo più intelligente, sicuramente questo costituirebbe già un passo avanti.

Che ruolo hanno avuto le difficoltà incontrate sul tuo cammino? Ti è mai capitato di pensare “stavolta non ce la faccio” e poi rialzarti più forte di prima?

Mi capita ogni giorno. Sto male, come tutti. Mi dispero ma poi, dopo aver concesso a me stessa il tempo di elaborare le difficoltà e il dolore, passa tutto. Nel momento in cui vieni messo al mondo hai una grande responsabilità: la vita stessa. Ne abbiamo una sola, pertanto occorre starci dentro e andare avanti nel migliore dei modi. Perché, purtroppo, non tutti hanno più questo lusso, c’è chi la vita l’ha persa. Dobbiamo ritenerci dei privilegiati.

Ovviamente, riconosco in me tanta forza di volontà e fiducia nell’intelletto, in grado di gestire e controllare (quasi) ogni stato di emotività. Tutto, però, deve avere il suo tempo: si soffre ed è giusto soffrire purché, poi, si riesca a trasformare questo dolore in impulso per andare avanti. In caso contrario, le esperienze negative vissute risulteranno vane poiché non ne avremo tratto alcun insegnamento.

Per concludere, quale messaggio lanceresti ai nostri lettori e, soprattutto, a tutti quei giovani che in questo scenario post-pandemico si sentono un po’ persi?

Consiglio loro di non perdere mai la speranza, il coraggio, l’entusiasmo.

Consiglio di scegliere una strada e seguirla, con enorme forza di volontà e soprattutto passione, amore, studio, dedizione, impegno, sacrificando anche il tempo libero se si hanno obiettivi e ambizioni.

Consiglio di non perdere mai la fiducia, anche se talvolta il nostro "cielo interno" è molto buio ed è difficile guardare le stelle. Per citare una frase riportata in un’antologia di poesie che ho pubblicato nel 2019, "il giorno dopo sorge comunque il sole: non è, dunque, già questo un segno di speranza?".

La luce c’è. Bisogna solo mettere da parte il buio che ci attanaglia.

Federica Marocchino

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