CATALOGNA: SI SCRIVE INDIPENDENZA, SI LEGGE LIBERTA’

Le possibili conseguenze del referendum su Spagna ed Europa

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Lingua, inno nazionale e bandiera diversi rispetto al resto della Spagna non bastano più. Da anni - ma oggi più che mai - la Catalogna chiede indipendenza a un Paese che sente lontano anni luce. La situazione è precipitata improvvisamente nella giornata di venerdì, con la dura reazione del popolo alla repressione messa in atto dal governo. E’ guerra tra Madrid e Barcellona, o meglio tra Rajoy e Puidgemont, capo del governo nazionalista catalano. Fin dallo scorso giugno, quest’ultimo aveva ventilato la possibilità di un referendum “vincolante e senza quorum” a favore della campagna indipendentista per il prossimo primo ottobre. Solo negli ultimi giorni, che hanno visto trasformarsi in realtà quest’ipotesi, il governo ha deciso di intervenire, in nome della “indivisibile Spagna”. Lo ha fatto con il pugno di ferro, senza alcun indugio: all’alba dello scorso mercoledì, la Guardia Civil ha arrestato 14 ministri catalani favorevoli al referendum. Si sono poi susseguiti ben 22 blitz presso la sede del governo catalano e un magazzino a Bigues i Riells, nei dintorni di Barcellona, dove sono state sequestrate 10 milioni di schede per il voto e altro materiale elettorale. Circondata da agenti in tenuta antisommossa anche la sede del partito indipendentista di sinistra Cup (Candidatura Unidad Popular), il quale ha però dichiarato su Twitter di aver “allontanato dalla sede centrale e distribuito in tutto il Paese” qualsiasi documento riconducibile alla campagna secessionista. “Stanno attaccando le istituzioni di questo Paese e quindi i cittadini. Non lo permetteremo” ha twittato uno degli arrestati, il segretario regionale dell’Economia Josep Maria Jové. “E’ uno scandalo democratico che funzionari pubblici vengano arrestati per motivi politici. Difendiamo le istituzioni catalane”, questo il commento di Ada Colau, sindaco di Barcellona. “Il governo ha superato la linea rossa, la libertà è ormai sospesa. Una situazione inaccettabile in democrazia. Il referendum resta convocato, in difesa della stessa democrazia e contro un regime repressivo e intimidatorio” ha ribadito fermamente, seppur con parole cariche di rammarico, il presidente Carles Puigdemont.

cms_7274/2.jpgAspra la replica del premier Rajoy che, bollando il referendum come “illegale” e “anti costituzionale”, ha dichiarato: “il Governo sta facendo il suo dovere, lo farà fino in fondo. E’ stata l’unica risposta possibile da parte dello Stato, che è chiamato a reagire. E’ il momento di evitare mali maggiori: questo clima di tensione e disobbedienza non giova a nessuno”. Più fermo che mai, il presidente non si è lasciato intimidire neanche dalle infamanti accuse del leader indipendentista Gabrile Rufian: “Lei e i suoi servi avete arrestato funzionari catalani solo per via delle loro idee. Lo chiedo e lo esigo: allontani le sue sporche mani dalle istituzioni catalane!”. Più morbida la posizione dei due principali partiti spagnoli, il Partito Popolare (PP) e il Partito Socialista (PSOE), che pur essendo contrari al voto di ottobre hanno proposto una finestra di dialogo con i secessionisti, purché questi ultimi rinuncino alla prospettiva del referendum.

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La reazione del popolo catalano non si è fatta attendere: mercoledì sera, oltre 40mila manifestanti si sono riversati nelle strade di Barcellona, radunandosi davanti alla sede del Ministero dell’Economia per chiedere a gran voce la scarcerazione dei 14 dirigenti, presto definiti “detenuti politici”. Le proteste si sono protratte fino a ieri, quando la procura ha revocato tutti gli arresti e, contestualmente, ha denunciato i 40mila catalani scesi in piazza per il reato di sedizione, ossia per aver contrastato -illegalmente e con l’uso della forza – lo “svolgimento delle funzioni pubbliche e l’applicazione delle decisioni amministrative giudiziarie”. Una violazione che, a seconda del ruolo svolto nel corso delle proteste, può essere punita persino con 18 mesi di detenzione.

Quale epilogo aspettarci da questo intrigo in salsa spagnola? Difficile stabilire quale dei due fronti possa piegarsi per primo: entrambi hanno forte interesse nel portare avanti le proprie aspirazioni. I catalani bramano da anni una libertà ora generosamente concessa, ora negata con forza dallo Stato centrale: nel 2006, l’allora premier Zapatero consentì l’approvazione di un nuovo Statuto di autonomia, ma negli anni la Corte costituzionale ne ha progressivamente limitato l’influenza, fino ad annullarlo quasi del tutto. Dal canto suo, il Governo teme profondamente un’eventuale secessione catalana: la regione costituisce per la Spagna una vera e propria miniera d’oro, capace di trainare la debole economia del Paese. La perdita della Catalogna sancirebbe per la Nazione l’inizio di un’oscura crisi economica, aggravando una situazione già poco rosea.

cms_7274/4.jpgE per l’Europa? Se le spinte indipendentiste dovessero avere la meglio, l’Unione Europea sarebbe pronta a rinunciare a quel pezzo di Spagna affacciato sul Mediterraneo, da sempre simbolo di solarità, calore e frizzante ospitalità; dal 2004, infatti, vale il principio per cui secessione è sinonimo di allontanamento dall’Europa (grazie a quella che fu definita “dottrina Prodi”). Una situazione che porterebbe svantaggio non solo all’Ue, ma anche e soprattutto alla Catalogna stessa, la quale perderebbe una serie di privilegi e sussidi economici, lanciandosi “senza rete” nel panorama politico e finanziario mondiale. Il governo di Barcellona potrebbe considerare l’ipotesi di un ingresso in Europa come Stato autonomo; c’è da considerare, però, che l’Ue risulta attualmente schierata a favore del Governo spagnolo, come testimoniato dalle parole del portavoce di Bruxelles, Margaritis Schinas: “Rispettiamo l’ordine costituzionale della Spagna come avviene con ogni Costituzione degli Stati membri. Questi affari vanno trattati nel contesto dell’ordine costituzionale di ogni Stato membro”. “In un momento in cui lo spirito di unità e solidarietà devono più che mai guidarci nel rilancio del progetto europeo, le autorità francesi ricordano il loro legame a una Spagna forte e unita” ha fatto sapere il portavoce del ministro degli Esteri francese, schierandosi contro il referendum. Solo il tempo sarà capace di decretare il vincitore di questo “braccio di ferro” politico…nell’attesa, possiamo solo augurarci di non dover assistere all’ennesimo liberticidio, confidando nei valori che da sempre muovono l’Europa: democrazia e rispetto per l’individualità dei popoli.

Federica Marocchino

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