BRAND CHE GATTONANO

(dover) essere microcelebri sui social

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cms_26041/1.jpgCommercializzare il corpo, trasformarlo in un marchio da vendere, accumulando follower e un seguito enorme sulle piattaforme social. Il fenomeno è noto, almeno in Asia orientale, come micro celebrities, ovvero neonati e bambini di tenerissima età che accumulano successo e acquisiscono, grazie a un’esposizione social, lo status appunto di microcelebrità. Tutto nasce dall’impegno profuso sulle tastiere di pc e smartphone da parte delle madri influencer attraverso tecniche di auto branding, cioè rappresentazioni della vita dei loro bambini. Da lì in poi i piccoli diventano veri e propri prodotti e servizi per essere commercializzati a lettori e follower come esemplificazioni viventi di marchi pubblicitari. Si comincia sin sotto i 4 anni di età con una forte presenza sui social media e le annesse strategie di branding e di coinvolgimento con i follower. Creare microcelebrità, termine coniato da Theresa Senft nel suo libro Camgirls, è diventata anche in Europa (Italia compresa con il caso Leone della coppia Fedez/Ferragni), una redditizia tendenza online con cui le persone cercano di guadagnare in popolarità grazie all’utilizzo dei media digitali (video, blog e social media). L’autrice descrive le microcelebrità non come degli attori ma come veri e propri interpreti delle loro vite e le cui storie si dipanano senza manipolazioni e dunque appaiono più vere a confronto delle artefatte personalità televisive. Il passo da microcelebrità a influencer è breve: l’utente, proprio perché di tenera età, accumula un ampio seguito sui blog e sui social media attraverso la narrazione testuale e visiva del suo stile e modo di vivere architettato da genitori del jet set. Si crea poi un’immediata e simpatetica interazione con un seguito di follower all’interno di spazi digitali e anche di spazi fisici, luoghi che poi serviranno per essere monetizzati a suon di messaggi pubblicitari attraverso blog o con calibrati post sui maggiori social media, senza dimenticare la partecipazione a eventi ad hoc. L’attività di promozione di un influencer diventa così altamente personalizzata per il semplice e geniale motivo che i prodotti e i servizi sono sperimentati in prima persona dall’influencer stesso, marchio di fiducia e certezza per i consumatori.

cms_26041/2_1652576566.jpgPer far ciò si ricorre spesso a familiarizzare la propria riconoscibilità attraverso capacità persuasive che spingono i follower a identificarsi con loro, rendendo visibili aspetti che normalmente si tenderebbe a celare, come gli aspetti personali e privati della vita quotidiana e mondana, evidenziando al contrario il carattere autentico a favore dei propri fan. Non è un caso che le influencer siano prevalentemente donne giovani, abili a commercializzare prodotti e servizi dei settori più disparati come moda, bellezza, cibo e viaggi. Con la crescita di un’industria, appunto quella degli influencer, sviluppatasi rapidamente, le stesse influencer hanno creato un modello di pubblicità che meglio si adatta anche alla loro inevitabile crescita fisica, ovvero hanno monetizzato altri aspetti delle loro vite personali come appunto la “microcelebrità” dei loro piccoli. Con una visibilità e una fama di riflesso data dalle loro celebri madri, le microcelebrità sono diventate ancor più prolifiche dal punto di vista commerciale, rispetto alle loro già note e famose mamme, una condivisione di immagini prossimale che le microcelebrità hanno ereditato attraverso l’esposizione preventiva e continua messa in atto dai loro genitori influencer. Si inizia già durante le fasi della gravidanza pre-parto con foto e selfie del pancione e si continua con le prime ecografie, una strategia di prima ed emotivamente forte (auto) presentazione che crea subito un grande impatto tra i follower. Le madri influencer in questa prima fase, curano le identità delle loro microcelebrità in potenza ma ancora immature; in seguito molti aspetti legati alla loro “carriera” di piccole celebrities del web, saranno fagocitati, mercificati e commercializzati attraverso avidi inserzionisti che chiederanno sempre di più di poter disporre di immagini e video con cui far passare ogni tipo di prodotto (dai pannolini, alla crema per le irritazioni). Le piccole e ancora incoscienti microcelebrità rappresentano dunque con la loro inconsapevole presenza nel digitale, solo l’egoistico fine da parte delle loro madri-influencer, di massimizzare il loro potenziale pubblicitario e di commercializzare non solo prodotti per bambini, ma anche altri beni e servizi che nulla hanno a che fare con il mondo dell’infanzia.

cms_26041/3.jpgSembra che a causa di un commercio del corpo selvaggio e spregiudicato di genitori accecati dal successo, i bambini diventino del tutto periferici rispetto alle mamme blogger, le cui narrazioni assumono la priorità. Inoltre non si può non sottolineare come gli stessi bambini erediteranno profili digitali da genitori che hanno sminuito se non minimizzato la privacy dei minori e gli effetti a lungo termine che può avere una continua esposizione delle informazioni dei propri figli a un pubblico sterminato come quello del web (si pensi alle policy traballanti dei vari social media o alla ripubblicazione e circolazione delle informazioni stesse nelle reti dei fan). Si crea così un’impronta digitale che determina, come ben sottolineato da Danah Boyd, persistenza, replicabilità, ricercabilità e longevità delle informazioni. Le vite digitali delle microcelebrità, al di là di problemi etici, pongono inoltre anche un problema di eccessiva esposizione degli aspetti privati di soggetti ancora minorenni, una speculazione da parte di genitori-celebrities troppo presi dalla loro carriera, spesso effimera, che fa sì che non si preoccupino della vita privata dei loro piccoli. Modelli e attori del tutto ignari, lavoratori dello spettacolo sfruttati per forme di intrattenimento a mero scopo di profitto in un mondo digitale che li fa crescere con il marchio addosso già dalla tenera età, sfruttati da madri influencer che si distinguono per il loro approccio apertamente commerciale verso un’autodocumentazione e una presentazione di sé che mira al coinvolgimento e alla ricerca di reazioni, i bambini intraprendono un cammino che li porta a mostrare al mondo un’infanzia brandizzata.

Andrea Alessandrino

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