BRACCIO DI FERRO TRA SUPERPOTENZE NELLA “GUERRA DEL PETROLIO”

Prossimo confronto Opec+ il 6 aprile, sintonia Trump-Putin. Ma l’accordo sembra ancora lontano

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Quelle appena trascorse sono state giornate “effervescenti” per l’Opec+ (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio). Tutto è cominciato da un tweet del presidente Trump: “Ho appena parlato con il mio amico Mbs (il Principe ereditario Mohammed bin Salman, ndr) dell’Arabia Saudita, che ha sentito il presidente Putin. Mi aspetto e spero che ridurranno la produzione di circa 10 milioni di barili”. Affermazioni che hanno subito fatto decollare le quotazioni del greggio, anche dopo l’iniziale smentita giunta dal Cremlino, il quale ha specificato che non fosse intercorsa alcuna telefonata tra Putin e Mbs. Nessun passo indietro, tuttavia, è stato fatto circa le possibili trattative in atto tra Russia e Arabia Saudita, eventualità confermata dal Wall Street Journal. Quanto basta per far salire il Wti a 24,4 e il Brent a 29,6 dollari al barile: due tra i rialzi più ingenti di sempre, rispettivamente al +20% e +33%.

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La “guerra dei prezzi del petrolio” è un effetto collaterale dell’ormai dilagante epidemia di coronavirus, che sta costringendo tra le mura di casa oltre la metà della popolazione mondiale. Era inevitabile che tali quotazioni ne risentissero pesantemente, cogliendo del tutto impreparato - e disgregato - l’Opec+. Le tensioni si sono aperte lo scorso 6 marzo, quando la Russia si è opposta ai tagli di produzione suggeriti dagli altri membri dell’organizzazione, complici gli ottimi risultati conseguiti dal Brent (che il 2 marzo era stimato quasi 52 dollari al barile). In particolare, nell’incontro tenutosi il 4 marzo a Vienna, Riad aveva proposto una riduzione pari a 1,7 milioni di barili. Il rifiuto di Mosca aveva condotto i sauditi ad un “vendicativo” aumento della produzione, per un ammontare di 9,7-12 milioni di barili al giorno.

Di lì a poco, tuttavia, le quotazioni sarebbero calate per tutti, toccando i valori più bassi degli ultimi 18 anni ed inasprendo ulteriormente le controversie tra le potenze in campo. Come si suol dire, “tra i due litiganti, il terzo gode”: la Cina ha approfittato dei prezzi straordinariamente modici per ampliare le proprie riserve di greggio, abbandonandosi a cospicui investimenti.

Intanto, la situazione si è fatta insostenibile persino per gli Stati Uniti, dove la Whiting Petroleum Corp, azienda specializzata nella distribuzione di shale oil, ha da poco dichiarato fallimento. "Non vogliamo perdere le nostre grandi compagnie petrolifere", questo il commento a caldo del presidente americano, che ha subito invocato a gran voce un accordo tra le altre due nazioni leader del commercio di greggio, Russia e Arabia Saudita. Peccato che le trattative si siano rivelate tutt’altro che facili anche all’interno dell’America stessa: le lobby petrolifere si dividono tuttora tra chi medita la collaborazione con altri paesi e chi richiede l’imposizione di dazi o sanzioni per annientare i competitor.

In ogni caso, il taglio della produzione sembra essere l’unica opzione percorribile al fine di garantire la sopravvivenza di un settore che mai si era trovato in simili ristrettezze. Se, come accennato precedentemente, l’Arabia Saudita immette sul mercato fino a 12 milioni di barili al giorno, dal canto loro gli Usa e la Russia ne “sfornano” rispettivamente 13,1 e 11,3 milioni. Di contro, l’hedge fund petrolifero Andurand Capital Management LLP ha stimato un calo dei consumi mondiali pari al 10%; ciò vuol dire che, se prima erano venduti 100 milioni di pezzi ogni 24 ore, adesso ne vengono impiegati soltanto 90 milioni. Considerato che il lockdown potrebbe prolungarsi per ancora parecchio tempo, bloccando considerevolmente le compravendite, non resta che correre ai ripari, sperando in una soluzione che possa perlomeno “salvare il salvabile”.

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A tal fine, è stata ufficialmente convocata per il prossimo 6 aprile una riunione d’emergenza dell’Opec+, che si auspica essere risolutiva sotto il pressing di un Trump determinato a ristabilire equilibri vitali (in primis per il suo paese). Anche le altre “primedonne” del petrolio, d’altra parte, sembrano aver smussato le proprie originarie asperità; in particolare, Putin si è detto "pronto a lavorare con gli Stati Uniti" a seguito di un colloquio telefonico con il presidente d’Oltreoceano, durante il quale entrambi avrebbero manifestato apprensione per le condizioni in cui versano i mercati. Che si tratti solo di una fugace tregua prima della tempesta oppure di un definitivo sotterramento dell’ascia di guerra tra le superpotenze, solo il tempo potrà dirlo. L’unico punto fermo attorno a cui ruotano le mosse dell’Opec+ è, di fatto, la posizione dell’Arabia Saudita, la quale ha ribadito con chiarezza che assumerà i provvedimenti prescritti solo se attivamente condivisi da tutti i maggiori produttori di greggio, compresi Canada, Messico ed altri paesi del G-20. D’altronde, come sostiene un vecchio detto popolare, “mal comune, mezzo gaudio”… e ciò sembra valere anche in uno dei settori più redditizi dell’intera economia mondiale.

Federica Marocchino

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