A Montecchio emerge una nuova necropoli

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Fino a non molto tempo fa, Montecchio veniva percepita dalla gente comune come una delle tante ridenti cittadine dell’Umbria. Un borgo medievale al cui interno non dimoravano che poco più di 1500 anime; in altre parole, un piccolo paesino come tanti. Le cose hanno preso una piega diversa negli anni ‘70, quando gli archeologi hanno iniziato a rendersi conto di una verità destinata a cambiare per sempre il destino della zona: nell’antichità, dove oggi sorge Montecchio, sorgevano delle gigantesche necropoli.

A quanto pare, nella cittadina umbra le novità sembrano non aver mai fine. È di questi giorni infatti la notizia del ritrovamento di una nuova necropoli sommersa per secoli nelle profondità, ed emersa nella zona di Fosso San Lorenzo grazie al lavoro congiunto del comune di Montecchio e del dipartimento di Lettere della vicina Università di Perugia.

“Risultati straordinari e inattesi” ha commentato il sindaco Federico Gori in una conferenza stampa indetta immediatamente dopo le incredibili scoperte. “I materiali archeologici recuperati andranno ad ampliare e a rendere maggiormente appetibile dal punto di vista turistico la nostra raccolta museale” ha aggiunto con soddisfazione.

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L’abitato più significativo è stato rinvenuto presso l’altura sovrastante Copio, dove una camera tombale era stata scavata in un banco naturale oggi sedimentato. La camera era stata anticamente suddivisa in due vasti ambienti quadrangolari: sul primo sono stati rinvenuti una serie di scheletri con i rispettivi oggetti a loro appartenuti mentre erano in vita, mentre il secondo presentava due lettini laterali, e doveva servire da deposito per gli oggetti del corredo.

Il prestigio e la ricercatezza delle decorazioni lascia supporre che la zona dovesse un tempo essere molto ricca, e che le persone sepolte nella necropoli godessero di una situazione economica e sociale decisamente privilegiata. Inoltre, gli archeologi hanno notato una somiglianza tra il sepolcreto di Copio e quello di San Lorenzo, lasciando intendere che le due antiche zone dovessero essere in rapporti di frequente interazione culturale.

L’unica via di accesso alla necropoli è rappresentata da un piccolo dromos (un sentiero ricavato dalla roccia) realizzato sui fianchi del vallone. Le camere invece, in alcuni casi singole in altri doppie coassiali, sono munite di banchine sia ai lati che nella parte finale della stanza, e presentano tetti displuviati o, nel caso delle aree più piccole, a ogiva e ad arco.

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Di particolare interesse è stato inoltre il rinvenimento di alcune fosse destinate esclusivamente ai bambini, anche se l’uso delle stesse è stato ben presto abbandonato, limitandone il periodo di utilizzo a un arco cronologico assai circoscritto.

Più in generale, la collocazione storica delle tombe dovrebbe essere individuata all’incirca tra il VII e il III secolo a.C., ovverosia durante gli anni più recenti della dominazione etrusca in Umbria.

Le ragioni di tale concentrazione sono facilmente spiegabili col fatto che ai tempi in cui l’Appennino umbro era dominato dalle popolazioni etrusche esse dovevano prediligere particolarmente l’attuale territorio di Montecchio come sede dei propri insediamenti; in parte per la sua vicinanza con l’importante centro di Orvieto, in parte per la presenza del fiume Tevere. Non passò dunque molto tempo prima che nella città umbra venisse a costituirsi la famosa necropoli. E anche se, a detta degli storici, è molto probabile che intorno al IV secolo a.C. le popolazioni etrusche avessero abbandonato la regione, la loro testimonianza è sopravvissuta nei secoli, sia pur non senza qualche alterazione.

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Già, perché fin dalle prime scoperte avvenute a metà anni ‘70 gli archeologi si resero subito conto che numerose tombe erano state defraudate, principalmente per rivenderne i preziosi e antichi oggetti al mercato nero. Una pagina sicuramente molto triste, ma che non ha comunque fermato la meraviglia degli storici e la loro ammirazione per il lavoro dei nostri antenati.

In questo modo, gli scavi sono andati avanti più o meno ininterrottamente per circa un trentennio. Ben presto, le tombe Ipogee sono divenute il cardine di un autentico percorso museale all’aperto, capace di estendersi per all’incirca 2 chilometri lungo un’area di inestimabile valore ambientale. I preziosi reperti sono stati invece trasportati ed esposti nei pressi dell’Antiquarium comunale di Tenaglie, dove si trovano tutt’ora.

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Reperti assai rari, se consideriamo che tra essi possono essere annoverati oggetti dalla più svariata natura. Simboli di potere appartenenti solo ai maschi più forti e rispettati, come spade e anelli in oro. Oggetti di uso domestico, quali fermatrecce in argento e spille (utilizzate probabilmente per fermare le vesti sulle spalle). Fino ad arrivare a quelli che sono probabilmente gli oggetti più interessanti e più caratteristici, i vasi in bucchero, un tipo di ceramica nera e lucente pressoché abbandonata dagli artigiani dopo la scomparsa delle popolazioni etrusche. Tali vasi, prodotti quasi certamente negli stessi luoghi dove sono stati ritrovati, presentano una serie di figure nere attiche, in grado di richiamare, sia pur alla lontana, lo stile utilizzato per la realizzazione dei vasi nell’Antica Grecia, probabilmente grazie soprattutto alle interazioni avute con le colonie magnogreche dell’Italia meridionale. Tra le varie tipologie di vasi in bucchero, troviamo kyathos, contraddistinti da una cavità rotonda e affusolata; kylikes, utilizzati nell’antichità a mo’ di coppe di vino; kantharos dalla forma assai elegante, utilizzati un tempo come lampade pensili; e infine oinochoai alti mediamente tra i venti e i quaranta centimetri.

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Queste e molte altre scoperte avevano dunque avuto il merito di portare finalmente le luci della ribalta sulla bellissima città del ternano. All’inizio del nuovo secolo, tuttavia, la fase dei ritrovamenti sembrava essersi esaurita, alcuni credevano che non vi fossero più nuovi scheletri o tombe comuni da rinvenire nella zona; alcuni, ma non gli storici nostrani, i quali non hanno mai smesso di considerare Montecchio come una terra ricca di incredibili potenziali ritrovamenti. Bene, finalmente quanto successo negli ultimi giorni sembra aver dato loro ragione: Montecchio aveva ancora molto da offrire all’archeologia italiana. Non si può che essere felici e orgogliosi per i risultati ottenuti, i quali confermano una volta di più che, in un Paese pieno di storia come il nostro, le novità sembrano non avere mai fine.

Gianmatteo Ercolino

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