AFRICA
La culla del primo social della storia
I social sono sempre esistiti, in modi e forme differenti, ma con finalità vicine a quelle delle odierne piattaforme. La spiegazione più elementare e semplice sembra essere legata alla necessità dell’uomo di comunicare, abbattendo spazio e tempo, ovvero categorie che oggi non hanno più molta importanza. È ciò che ha scoperto un team di ricercatori del Max Planck Institute for the Science of Human History in Germania con una ricerca di oltre dieci anni su circa1500 perle antiche in gusci di uova di struzzo ritrovate in 30 città africane e che hanno portato alla luce quello che secondo loro è il più antico social network del mondo, diffuso per migliaia di chilometri tra Africa meridionale e orientale e che ha preso spunto per l’appunto dal commercio di perline fatte di gusci d’uovo di struzzo. Secondo quanto riportato dagli studiosi, sembra che migliaia di anni fa le persone in Africa siano non solo riuscite a stabilire “connessioni sociali” senza ricorrere a nessuna delle odierne piattaforme di comunicazione, ma hanno anche scoperto che chi ha realizzato le perline 50.000 anni fa non si è limitato alla semplice produzione, ma ha scambiato la preziosa merce realizzata con persone poste a grandi distanze, stimolando così le persone a condividere messaggi simbolici e rafforzando le alleanze tra diverse tribù.
La ricerca ha del sorprendente se si pensa a come individui vissuti tra 40.000 a 50.000 anni fa, abbiano creato spontaneamente una sorta di rete sociale diffusa lunga, ipoteticamente, più di 3.000 chilometri e che collegava persone in due diverse regioni del continente africano. Da culla dell’umanità a primo crogiolo di forme archetipe di social network, l’Africa sarebbe dunque stata il primo continente a sviluppare non tanto una tecnologia, ma più che altro la base epistemica di quello che poi sarebbe stata una delle più importanti rivoluzioni nel mondo della comunicazione globale. Il traffico e lo scambio di oggetti materiali come le perle, non aveva uno scopo prettamente commerciale, piuttosto aveva un fine ben più nobile: consolidare alleanze e lanciare messaggi fra tribù lontane tra loro migliaia di chilometri. Solidarizzare, creare amicizie, erigere ponti tra diverse tribù, ciò che oggi sembra essersi del tutto appannato quando si parla di social network. Eppure alle origini (e lo era anche nelle parole del padre del web, Tim Berners-Lee) il web sarebbe dovuto essere uno spazio di usi e non di abusi della libertà individuale finalizzato a entrare in contatto, scambiarsi informazioni, far circolare la cultura tra utenti.
Lo spirito pionieristico delle tribù africane e le idee dello stesso di Berners-Lee, sono a decine di migliaia di anni di distanza accumunati da una naturale propensione allo scambio simbiotico per arricchire le idee e creare un genuino sentimento di amicizia. Peccato che nel tempo forme monopolistiche dell’informazione abbiano tirato su, nella stanza dei bottoni, un web plutocratico che ha spacciato come fossero droghe, formule magiche per attirare nella propria rete (fatta di controlli e identità trafugate), miliardi di utenti (in)consapevoli. Ecco allora il web 2.0, la disintermediazione, la morte dei gatekeeper, la forza degli ugc (user generated content), tutti espedienti ben calibrati psicologicamente per attirarci nelle braccia di un’intelligenza collettiva di nome ma non di fatto.
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