4 OTTOBRE: FRANCESCO D’ASSISI

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cms_27742/1.jpgHo sempre affermato che è’ difficile definire la personalità di Francesco d’Assisi perché a fronte delle tante fonti afferenti le vicende della vita sono scarsi i documenti (eccezion fatta per il Cantico dei cantici) a lui attribuiti. La recente scoperta di un testo riconosciuto come dettato dal santo non modifica il mio pensiero ma mi obbliga ad evocarlo oggi per l’indubbio valore storico oltre che religioso.

Si tratta di una orazione rinvenuta nell’Archivo Histórico Nacional di Madrid da padre Aleksander Horowski, presidente dell’Istituto storico dei Cappuccini e redattore di "Bibliographia Franciscana",
all’interno di un codice contenente una trascrizione del testamento di Santa Chiara.

Nei fogli 286rb-287ra il codice riporta la seguente preghiera, che l’amanuense che ne riproduce il testo – fa precedere dalle parole: "Oratio composita a beato Francisco" (in epoca medievale santo e beato erano fungibili).

"Voi, o figli degli uomini,

lodate bene il Signore della gloria

sopra tutte le cose,

magnificatelo e molto esaltate!

E glorificatelo nei secoli dei secoli,

affinché sia ogni onore e gloria nelle altezze a Dio,

creatore onnipotente,

e sulla terra sia pace agli uomini di buona volontà!

Assai magnifico è questo Re pacifico,

al di sopra di tutti i re dell’universo intero,

Signore Dio, nostro Creatore, Redentore e Salvatore,

Consigliere e nostro ammirabile Legislatore!"

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Nelle parole di Francesco la lode al Creatore trova il proprio fondamento nelle opere di pace e di bene. Parla di pace, Francesco.

Un matto? Un eretico? Un ragazzo viziato? Un rivoluzionario? Un santo?

L’uomo che è capace di amare e di fare dell’amore uno strumento per il cambiamento è rivoluzionario sognatore, poeta, per qualcuno eretico, per molti sicuramente un uomo con un grande senso della libertà. Ma la libertà è pace o conflitto, può essere legittimo chiedersi. E la domanda non trova equanimi consensi. La libertà è tensione oppositiva che consente l’affermazione del proprio modo di pensare: è, per questo libero soltanto chi crede in qualcosa e, con coraggio e con umiltà, con sommesso buon senso o con la forza della ragione, difende sempre ciò in cui crede.

Oggi Francesco verrebbe definito come un uomo di successo, uno di quelli che segnano il cammino della Storia. Sicuramente per la forza del carattere e le doti carismatiche. Quanto sia stata determinante la classe sociale di appartenenza è un interrogativo che attrarrebbe un acceso dibattito. Mi limito a considerare che l’essere stato figlio della più ricca famiglia di Assisi ha avuto un ruolo non marginale nella formazione culturale e nella considerazione sociale del suo tempo, un’epoca in cui la cultura era prerogativa dei notabili, laici o religiosi, per sangue o per censo. L’essere figlio d’arte, è noto, costituisce una dote importante.

Più semplice è delinearne la figura dell’uomo asceso agli altari sovvertendo il dogma dominante degli ordini religiosi del tempo. Francesco stravolge il volto della Chiesa predicando una Regola radicale fondata su umiltà e povertà ad impronta laicale (sebbene per poco) che si impone in modo così immediato forse proprio perché non era un ragazzo qualunque. Sebbene avesse avviato la sua opera con il rifiuto pubblico dei beni del padre Bernardone restava comunque il figlio di questi e non uno dei tanti servi ignoranti che popolavano il volgo della comunità assisiana, afflitta da fame, carestie, malattie, abbandono, emarginazione.

Il successo dell’uomo santo fu immediato e clamoroso. Già nella seconda metà del XIII secolo i francescani realizzano 1331 insediamenti, di cui 507 in Italia, 175 custodie e 34 province, con un totale di circa 30.000 frati (10.000 solo in Italia). Gli ordini tradizionalmente monastici chiusi nelle rigide regole del chiostro vengono surclassati da Francesco con il suo ordine mendicante (che vuole chiamarsi dei frati minori) che porta i religiosi nelle strade, tra la gente che soffre ogni genere di male e che muore per assenza di aiuto, ricordando agli uomini di potere (Papa compreso) che la Chiesa nasce dal sacrificio di Cristo e da ciò che Lui ha predicato: dall’amore per il prossimo, dall’umiltà e dal rifiuto della ricchezza.

Francesco non viene considerato un eretico perché il suo comportamento e le sue parole restano, per quanto, incisive, comunque nell’alveo del “politicamente corretto”. Non so se, in altro contesto, di lì a qualche decennio oltre ovvero se si fosse trattato di una donna, si sarebbe verificata la stessa cosa. I propugnatori della cultura della povertà, dell’umiltà, dell’uguaglianza, dell’inclusione sono condannati al silenzio, passando attraverso i vari strumenti messi a disposizione dalla genialità umana, dalla croce al rogo, dal veleno di stato alla polvere da sparo, passando per la creatività investita nella messa a punto delle varie tecniche di tortura.

cms_27742/3.jpgSta di fatto che un manipolo di mendicanti, costituito in ordine, capitanato da Francesco non solo sovverte la concezione della monarchia religiosa ma giunge ad influenzare anche l’arte e l’architettura.

Nacque al mondo un Sole scriverà Dante nel canto undicesimo del Paradiso. Nella Commedia dantesca Francesco è, infatti, uno dei dodici spiriti luminosissimi che, nel cielo del Sole, accolgono con canti e danze l’arrivo del Sommo poeta e Beatrice. Nei versi in gloria dell’assisano è marcato il ruolo provvidenziale in un momento in cui la Chiesa aveva smarrito la sua retta via.

L’arte figurativa viene rinnovata o, per meglio dire, vivificata dallo spirito di semplicità, riscoprendo le scene bibliche dell’amore di Dio per i poveri e, segnatamente, la natività come evento che ha cambiato la storia umana.

Basti pensare ai capolavori di ispirazione francescana di Cimabue, Lorenzetti, Simone Martini e, in particolare, al ciclo dei 28 affreschi presenti lungo le due pareti della Basilica Superiore di Assisi.

L’architettura si apre anch’essa a spazi più ampi per consentire maggiori accessi alla gente.

Ma fino a quando il carisma di Francesco avrebbe potuto durare nell’autenticità del suo disegno senza creare problemi di “recepimento” da parte dei poteri forti? Per i successori non valeva il crisma della derivazione sociale “togata” e nel frattempo l’effetto “sorpresa” prodotto dalla forte personalità di Francesco sarebbe scemato rapidamente dopo la sua morte. Il pauperismo francescano avrebbe continuato a vivere nelle coscienze dei seguaci (i francescani spirituali) e, ridimensionato nella forma di modello di santità, consegnato alla storia. L’istituzione ecclesiastica era tenuta ad intervenire per arginare le derive pauperistiche che davano rilievo negativo alla ricchezza degli ecclesiastici, creando disordini: vivere del solo obolo si sarebbe tradotto nello svilimento del lavoro, caposaldo dell’ homo faber cristiano e della nuova struttura sociale.

cms_27742/4.jpgE il mondo della cultura? La cultura, nei contesti epocali/territoriali in cui è depositaria di privilegi e ricchezze è un centro di potere per la cui sopravvivenza non rende alcun servizio la povertà bensì sono necessari lasciti, elargizioni ed eredità. Per la cultura dell’epoca la figura di Francesco era di immediata definizione: un santo da delocalizzare nel mondo dei santi.

Un giudizio sommario per Francesco, Uomo libero e Umano. Sì, umano come non tutti gli uomini possono definirsi. Che cosa occorre per “essere umani”? Il poverello d’Assisi ne ha dato una risposta difficile da mettere in pratica.

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Per essere umani bisognerebbe rifiutare l’aridità di desiderare una felicità solo per se stessi e trovare negli occhi dell’ altro da sé l’unica mappa attendibile. Per essere umani bisognerebbe imparare a camminare a piedi assaporando le pietre acuminate della terra (come quelle “assaporate”daFrancesco nel 1219, nel corso della V crociata per incontrare, imitatio Christi, Malik al-Kāmil per parlare d’amore (rifiutando ogni dono), trovare le scale rinunciando a salirle facendo cadere altri, non smettere mai di spendere bene la propria vita imparando dal disgraziato che non ha nulla, rifiutare le battaglie che servono solo a uccidere, usare le braccia per abbracciare, lasciare che le armi siano solo i reperti nelle teche dei musei, fare della pace l’unica guerra possibile. Essere umani significherebbe così dimostrare di essere forti nell’ avere il coraggio di amare e intelletto nell’aver capito finalmente che ciò che separa un uomo da un altro uomo è – e faccio mie una splendida definizione che adoro – “lo spazio che c’è tra una lacrima e l’altra”.

Antonella Giordano

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