23 ANNI AL KILLER DI JAN KUCIAK

Ma c’è un’emergenza libera stampa in Occidente

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Una sentenza esemplare in una triste pagina della storia europea.

È stato condannato a 23 anni di reclusione Miroslav Marcek, l’ex militare che lo scorso gennaio aveva confessato di essere il responsabile dell’assassinio del giornalista slovacco Jan Kuciak e della fidanzata di quest’ultimo.

Lo scorso dicembre era già stato condannato a 15 anni Zoltan Andrusko, accusato di aver trasmesso, in cambio di soldi, il mandato di uccidere Kuciak al killer che poi lo ha eseguito. Sono inoltre ancora da chiarire le posizioni di altri tre imputati: il presunto principale mandante dell’omicidio, Marian Kocner, che ha confessato il possesso illegale delle armi, ma non la premeditazione dell’omicidio; la sua complice, Zuzana Zsuzsova, che avrebbe avuto il ruolo di mediatrice, ed ha respinto l’accusa dichiarandosi innocente; l’ex poliziotto Tomas Szabo (il presunto autista di Marcek) il quale ha rifiutato di esprimersi.

Un’operazione in grande, quella che portò all’omicidio di Kuciak, “colpevole”, secondo i mandanti del crimine, di aver denunciato ripetutamente i rapporti Stato-mafia. Un evento drammatico, che ha colpito pesantemente l’opinione pubblica, causando una vittoria netta del partito anti-corruzione (prima all’opposizione) nelle successive elezioni politiche.

Tra le sue ultime investigazioni prima dell’omicidio, Kuciak stava lavorando su una probabile connessione tra il governo slovacco e la ’Ndrangheta. Precedentemente ha scritto su presunte frodi fiscali tra noti businessman ed il partito politico Direzione-Socialdemocrazia (Smer-SD) del Primo Ministro Robert Fico ed in particolare sul Ministro dell’Interno Robert Kaliňák e quello delle Finanze Ján Pociatek, tanto che i primi due furono costretti alle dimissioni in seguito alla morte di Kuciak. In aggiunta a queste indagini le sue attenzioni si erano concentrate sull’imprenditore Marian Kocner, oggi considerato tra i possibili mandanti.

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Secondo un rapporto dell’Unesco pubblicato in occasione della quinta edizione della “Giornata internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti”, le uccisioni contro i lavoratori della carta stampata sono aumentate del 18 per cento nel mondo nel quinquennio 2014-2018 rispetto ai cinque anni precedenti, e il 55% degli omicidi ha avuto luogo in Paesi "in pace". Quasi il 90% dei responsabili delle uccisioni dei 1.109 giornalisti assassinati tra il 2006 e il 2018 non è stato punito.

Numeri inquietanti, che, in un periodo in cui la politica autoritaria ed estremista sembra aver trovato nuova linfa vitale anche in Occidente, dove sembrava ormai essere solo un brutto ricordo, ci costringono ad una seria riflessione su che tipo di società vogliamo per il nostro futuro.

Vogliamo un Occidente baluardo della libera stampa, dove l’inchiesta e la critica siano due diritti indiscutibili, o vogliamo tornare indietro ai MinCulPop di nota provenienza?

Ultimamente, anche in Italia è avvenuto un episodio di estrema gravità, con il giornalista del quotidiano La Stampa Jacopo Iacoboni che è stato esplicitamente minacciato dal portavoce del Ministero della Difesa russo, con le seguenti, agghiaccianti, parole: “chi scava la fossa, ci cade dentro”. La “colpa” di Iacoboni sarebbe stata quella di criticare le azioni russe in Italia avvenute a seguito dell’esplosione dell’emergenza CoVid. Il fatto che non sia arrivata una ferma denuncia di queste minacce da parte di tutti gli organi politici e di stampa nazionali è forse ancora più grave della minaccia stessa.

Casi come quello di Kuciak sono solo la punta dell’iceberg di una situazione di estrema emergenza per la libertà di stampa in Occidente, ormai sotto attacco frontale. Bisogna agire con convinzione ed al più presto a difesa della libera informazione, che è il vero ago della bilancia tra gli Stati democratici e quelli dittatoriali.

Giulio Negri

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