17 ANNI SENZA LE TWIN TOWERS

L’orrore della follia jihadista, da Al Qaida allo Stato Islamico

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Nel bel mezzo della caotica Manhattan, a Ground Zero, sorgono due fontane dalla forma tanto insolita quanto emblematica. Sono la South e la North Pool, vasche in cui l’acqua scorre perpendicolarmente al suolo, per poi essere risucchiata nel vuoto di un baratro nero. Lo stesso baratro in cui persero la vita quasi 3mila persone 17 anni fa, segnando per sempre la storia degli Stati Uniti e del mondo intero.

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Prima di quell’11 settembre 2001 si erano già verificati episodi di terrorismo quasi in ogni parte del globo, oltre che genocidi e torture di ogni genere. L’uomo aveva già conosciuto l’orrore delle due guerre mondiali, aveva già fatto i conti con la crudeltà, la spietatezza, il fanatismo. Eppure l’immagine delle Twin Towers che collassano come castelli di carta, colpite da schegge impazzite nel cielo della Grande Mela, ha lasciato un segno indelebile nella coscienza collettiva, minando le solide certezze del mondo occidentale. Non solo perché la notizia della tragedia monopolizzò nel giro di qualche istante le reti nazionali, cogliendo impreparati gli ignari cittadini d’America e d’Europa in una normale mattina di fine estate; ma anche, e soprattutto, perché fu vissuta a tutti gli effetti come una “dichiarazione di guerra” da parte dell’estremismo islamico, scatenando una delle più grandi psicosi di massa che ancora oggi alberga nelle nostre menti. La South e la North Pool testimoniano forse più di qualunque altro monumento la scia emotiva che ha scavato i cuori di coloro che hanno potuto conoscere, anche solo tramite le fugaci immagini di un servizio tv, l’orrore che in pochi istanti ha insanguinato il cuore di New York. Il vuoto lasciato da quelle due torri non potrà mai essere colmato, così come il sangue versato dalle migliaia di vittime non sarà mai lavato via dall’acqua che scorre invano nelle sterili vasche.

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In quell’occasione, forse per la prima volta nella storia, la “sindrome del sopravvissuto” non interessò soltanto coloro che erano presenti sul luogo della strage e che, miracolosamente, riuscirono a salvarsi. L’intera popolazione occidentale sentì gravare su di sé un tacito e angosciante senso di colpa (scaturito dal pensiero che ciascuno di noi avrebbe potuto vestire i panni delle vittime), misto alla percezione di un incombente pericolo, pronto a spezzare drammaticamente la routine. E’ proprio questo macabro dettaglio ad accomunare quella prima sconvolgente esperienza ai più recenti episodi di terrorismo che hanno interessato l’Europa. La tragedia del Bataclan, seppur differente nelle dinamiche, ha riattivato quello stesso senso di impotenza collettiva e di paura generalizzata che il mondo aveva momentaneamente messo a tacere, volgendo altrove lo sguardo: affari internazionali, crisi economica, problemi sociali di vario genere… Ma la ferita era ancora lì, cristallizzata nell’inconscio collettivo, pronta a riaprirsi da un momento all’altro. Dopo Parigi sono cadute Berlino, Bruxelles, Londra, Barcellona, Nizza e tante altre: il cuore dell’Europa sventrato dalla follia dell’Isis, l’organizzazione fondamentalista che ancora oggi fa a gara con Al Qaida (il gruppo che rivendicò l’attentato alle Twin Towers, NdR) per affermare la propria temibilità. Una competizione volta ad accaparrarsi il predominio dell’universo jihadista, che sparge sangue non solo in terra d’Occidente: a farne le spese sono anche le regioni del Medio Oriente, martoriate dagli scontri tra opposte fazioni di natura fondamentalista.

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La cieca ondata di odio promossa dai “professionisti dell’orrore” ha dato vita a una nuova guerra, ben più subdola delle tradizionali, in cui non esistono fronti né soldati, e che non ha pietà degli innocenti. Siamo tutti potenziali bersagli in una sconfinata “terra di nessuno”, senza trincee né barricate, senza elmetti né carri armati. Le battaglie sono scontri impari, disseminati in ogni singola parte del mondo i cui ideali tengano fede al valore della libertà. Il nemico non ha volto, colpisce alle spalle per guadagnarsi il paradiso e difendere l’onore di una scellerata ideologia, sfruttando la religione come alibi per continuare a dar voce ai suoi istinti più infimi.

L’auspicio più grande è che questa giornata, seppur carica di dolorosi ricordi, possa condurci all’unisono verso una riflessione che sappia dare un senso a quanto è accaduto e accade tutt’oggi. Soccombere alla paura non è un’opzione percorribile: significherebbe arrendersi all’odio, assecondando le intenzioni di chi vuole soggiogarci in nome della “legge del più forte”. Sciogliere le catene del regime del terrore vuol dire, prima di tutto, pensare e agire da creature libere…

Francesco Mavelli

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