“STORIA DI STORIE DIVERSE” - XLVIII

Insegnanti di sostegno allo specchio: la disabilità tra difficoltà e gratificazione

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cms_21842/Foto_1.jpg“Storia di storie diverse”, ovvero storie di alunni disabili, persone con caratteristiche speciali, con limitazioni visibili ed innegabili potenzialità.

Il loro percorso scolastico, le difficoltà incontrate e quanto sia ancora difficile oggi parlare di integrazione nella scuola italiana. Partendo da una discussione sulle questioni di più stretta attualità, negli articoli della rubrica si affronteranno anche le problematiche più generali del sistema scolastico, con una visuale privilegiata, quella di chi lavora al interno.

A scuola in luglio e agosto, niente lezioni ma laboratori: ecco il piano estate da 510 milioni di euro, un cronoprogramma di iniziative messe in atto per potenziare gli apprendimenti ma anche per recuperare la socialità e prepararsi al meglio alla ripartenza.

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Niente lezioni noiose di matematica o italiano ma teatro e attività ludico-ricreative su modello dei centri estivi, laboratori di coding, percorsi sulla legalità e sulla tutela ambientale, arte e musica, sport. Una vasta offerta formativa extracurriculare nei mesi di luglio e agosto, mentre giugno e settembre saranno dedicati al potenziamento degli apprendimenti.

Maestri e professori potranno scegliere se aderire o meno alla proposta. L’adesione è su base volontaria e serve per dare una mano ai ragazzi che devono rimediare alle lacune causate da quest’anno di lezioni a intermittenza. La prima fase sarà dedicata al consolidamento degli apprendimenti, non in forma tradizionale ma attraverso lo studio di gruppo, in una scuola all’aperto e tramite attività laboratoriali. Si parla anche di apertura al territorio e di collaborazioni esterne con il terzo settore.

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La prima cosa che ho pensato, come insegnante, è questa: la scuola non può essere così sempre? Fino a quando dovremo subire una scuola noiosa e pesante? La proposta del ministro dell’istruzione Stefano Bianchi, persona colta e degna, è interessante e in linea con un’idea moderna di scuola, ma la sua durata è breve. A luglio e agosto si svolgono lezioni più stimolanti ed interessanti, mentre negli altri mesi la scuola torna ad essere tradizionale e sonnolenta? Ciò vale per me che sono un’insegnante di sostegno e devo assistere a ore e ore di lezioni lagnose e soporifere.

Gli alunni desiderano svolgere le stesse lezioni anche nel corso dell’anno ed è giusto che lo studio vero e proprio venga intervallato da attività di tipo laboratoriale, come è corretto che la scuola debba essere aperta al territorio, che è fonte di ricchezza conoscitiva: esplorare il nostro territorio significa essere a diretto contatto con la nostra identità, con i luoghi a cui apparteniamo. Non c’è legame più interessante di quello che ci ricongiunge ai luoghi del nostro paese e alla loro storia.

Ho ammirato i miei colleghi, i più colti ed anziani, nel momento in cui svolgevano delle lezioni dedicate alla storia e alle tradizioni locali, riproponendone le usanze. Per esempio, a Molfetta l’ultimo giorno di Carnevale c’è una vecchia tradizione, “Il funerale di Toma”: una pubblica burlesca messinscena del funerale di un fantoccio impagliato e imbacuccato, prima dello scoccare della mezzanotte tra il martedì Grasso e il mercoledì delle Ceneri.

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Dopo la conclusione dell’ultima sfilata di maschere e carri allegorici, usciva un corteo funebre con uomini travestiti da prefiche, con veli neri sul capo. Ogni tanto queste donne dicevano: “È mourt Thome, cé peccate!”. Inutile dire che i volti di questi uomini, travestiti da donne che esercitavano un dolore recitato alla carlona, inducevano inevitabilmente alla risata. Era quello sgangherato corteo funebre, l’ultima mascherata del Carnevale molfettese che stava finendo.

Dietro il feretro non potevano mancare parenti, amici e conoscenti di Thome che invocavano il nome del defunto decantandone le virtù, tra strilli sguaiati e ostentati singhiozzi di dolore. Il ricordo di questa tradizione locale, che ormai si va perdendo, è vivo nella mia mente perché ho avuto la fortuna di conoscere e di lavorare con Ignazio de Marco, tra più grandi e colti maestri che gli alunni di Molfetta abbiano conosciuto.

È stata una delle più importanti figure di riferimento nel mio percorso professionale. Il maestro amava la scuola legata al territorio, amava far appassionare i piccoli alunni alla storia delle tradizioni locali, come oggi si propone di fare il ministro Bianchi aprendo la scuola a luoghi e persone circostanti e realizzando quella continuità orizzontale di cui si parla da decenni ma che non è mai stata attuata perché la scuola continua ad essere un monolite, un corpo isolato e chiuso nella sua struttura spesso collocata al centro della città.

cms_21842/5.jpgCon il maestro Ignazio e tutti gli alunni - per lui i bambini fragili erano come gli altri - costruivamo ogni anno il fantoccio di Thome: portavamo la paglia a scuola e i vestiti vecchi da far indossare, la testa era formata da una palla di carta di giornale accartocciato, nascosta da un cappello. Thome era delicatamente riposto su un carretto addobbato di fiori e tutti insieme si usciva dalla scuola per il suo funerale; gli alunni, travestiti da donne, urlavano e piangevano. Lo sgangherato corteo funebre concludeva il suo percorso da dove era partito. Spesso la gente, per le strade, si univa a noi e urlava ritmicamente “Thome è mòurte, è mòurte Thome”.

Ciò che mi ha spinto a far riferimento a questo vissuto è che in esso l’esperienza scolastica, assai divertente e creativa per gli alunni, si fondeva con la tradizione, i luoghi e le persone del nostro paese. Una scuola, come dice il ministro Bianchi, aperta, che si pone in continuità educativa con la realtà storica e umana di cui fa parte.

Vincenza Amato

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