TEMPO DI RENDICONTI PER TARANTO

MA, CHI LA SALVERA’ ???

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In tempo di rendiconti, è stato ufficializzato un dato positivo per Taranto che, si dice, otterrà 70 milioni di euro per il rinnovo e potenziamento delle strutture della Sanità, in specie apparecchiature e dispositivi di diagnostica e cura; quasi una forma di ristoro per la pluridecennale lamentata esposizione a pericolo della salute dei residenti, con alto tasso di mortalità neoplasica che ha mietuto tante vittime anche fra cittadini giovanissimi.
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Quindi, è stato sventato quel temuto: “Chi ha dato, ha dato!” che sembrava profilarsi, tanto più perchè si andava sostenendo che l’inquinamento nell’ambito tarantino non sarebbe superiore a quello di Roma capitale; il che aveva reso ancora più esasperante il balletto, fra il sì e il no, riguardo alla ventilata originaria “concessione” di 50 milioni rispetto alla quale l’ex premier Matteo Renzi aveva, addirittura, stroncato l’aspettativa considerandola pleonastica dato l’arrivo del decreto “salva-Taranto” di 1400 milioni, fra cui un miliardo confiscato ai Riva; che, in ultima analisi, sarebbe ciò su cui la città dovrebbe potere contare.Ma, servirà solo questo denaro a salvare Taranto? Di contro all’avere dovuto prendere atto che, addirittura, proprio il suo Sindaco in ultim’ora si era azzardato a parlare di “passato pregiudizio” circa un inquinamento “non maggiore di quello di altre città”; piuttosto, non servirebbero uomini che, non piegando al colore delle loro casacche la coerenza nell’esigere sino in fondo la tutela in termini di salubrità ambientale, dimostrassero di essere in grado di sollevare le condizioni della tribolata città di Taranto? Soprattutto, cosa ne è stato fatto, sinora, di una Taranto che, dalla sua, ha sempre avuto il privilegio di una invidiabile posizione geopolitica, paesaggistica, climatica?
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Svilente l’approdo, ad oggi, degli apporti favorevoli che sembravano doverne segnare un alto profilo socio-economico.In primis, il notevole lascito da un ricco passato storico- culturale non ha usufruito di una globale cura e valorizzazione di tanti interessanti siti sparsi nel contesto tarantino; pur essendo ancora evidente l’attuale rilevanza archeologica: iniziando dalle plurimillenarie vestigia “svelate” nel Castello Aragonese ad opera di un insigne esponente della Marina Militare, Ammiraglio Ricci, in veste di “illuminato” archeologo mai prima sperimentato con profitto per Taranto; passando a tutto il notevole patrimonio che fa bella mostra di sè nel museo Martà, benchè ultimamente affiancato dall’attuale “contaminazione tecnologica” del rifacimento in resina della Persefone Gaia, la cui opera originaria resta irrecuperabile dall’Altes Museum di Berlino cui approdò nel primo quarto dello scorso secolo, dopo essere passata di mano in mano, dai trafugatori presumibilmente tarantini ad altri trafficanti oltre frontiera.
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Poi, sembra “appannato” anche il grande prestigio dato alla città dalla Marina Militare che ne aveva convogliata l’attenzione oltre i confini nazionali avendola destinata a propria base strategica di comando; mentre, attualmente, dovendo bypassare il superiore Comando in Capo della Marina spostato a Napoli, quello di base a Taranto è divenuto Comando Sud, non essendo più al vertice “in presa diretta”, attraverso lo Stato Maggiore M.M., con il Ministero della Difesa.
Pertanto, nonostante la poderosa nuova Base Navale, può dirsi “desertificato” quello che negli anni ‘60 avrebbe potuto configurarsi come “affollato parcheggio di navi in attesa”, con la corposa presenza di una flotta che, nel 1964, era giunta ad annoverare nel porto tarantino ben 58 navi, con 600 addetti in forza stabile e 12000 in forza variabile in avvicendamento per la formazione presso quello che è stato il glorioso Maricentro; essendo “naufragato” anche tutto il resto che, a partire dagli anni ‘70 in cui Taranto era stata numero 1 della Marina Militare, in termini complementari comprendeva la Stazione Torpediniera, i Baraccamenti Cattolica e, soprattutto, l’Arsenale fatto costruire dal senatore Cataldo Nitti andato, tuttavia, in progressivo decadimento con la demolizione del grosso bacino in muratura la cui prima picconata, a “castrarne” la capacità di costruzione di navi di grosso cabotaggio, risalirebbe alla venuta di Spadolini a Taranto.
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Insomma, una depauperazione complessiva andata di pari passo con le occasioni perse, non essendosi saputo interpretare il cambiamento che, nel contesto socio economico, perchè fosse nel verso dell’implicita forza propulsiva dei tanti elementi portanti per Taranto, avrebbe necessitato del supporto di adeguate direttive in base ad una lungimirante capacità politica; quella che è mancata, con effetto domino in ogni campo. D’altra parte, se già non si erano sapute vedere le prime ricadute negative con la perdita dei cantieri Tosi che, sino agli anni ‘70, erano stati specializzati in “alta chirurgia navale” per naviglio strutturato dai 100 ai 150 metri; frutto di ancora maggiore miopia, era stata la demolizione del grande bacino in muratura che avrebbe permesso la costruzione di quelle grandi navi mercantili con cui, soprattutto nel periodo di chiusura del canale di Suez, avremmo potuto abbattere la concorrenza dei Giapponesi nel trasporto verso l’Africa dei laminati che, a costo zero per Taranto, si sarebbero attinti dalla locale fabbrica siderurgica, allora Italsider.
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Così, dopo le positive intuizioni circa lo sviluppo dell’industria nazionale che, negli anni ‘60, avevano indotto a considerare il porto di Taranto per la sua posizione strategica come base dei traffici commerciali con i paesi a Sud del Mediterraneo da parte delle maggiori industrie: Shell, Cementir e Italsider; purtroppo, si sono susseguite scelte sempre più “contro vento” con la mancanza di adeguamenti che avrebbero dovuto supportare l’esercizio delle relative attività, essendo rimasti inalterati i problemi relativi ai collegamenti ferroviari verso il Nord Italia e l’Europa lungo la via Adriatica oltre che al mancato intervento circa la scarsa profondità dei fondali in rapporto al transhipment con le portacontainers di maggiore portata; ciò che, in ultimo, verso i più consoni fondali del Pireo con relativo agevole interland ha fatto migrare l’Evergreen su cui, pure, nell’ultimo decennio si era basata la maggiore attività del nostro porto.Pertanto, all’attualità, non è rimasto altro che rilevare l’ombra del gran traffico marittimo che, nelle nostre acque, nei tempi d’oro della rinascita economica nei primi decenni della seconda metà del ‘900, si era diviso fra quello strettamente militare e quello fiorente delle navi mercantili che facevano capo al molo San Cataldo, alla Calata 1 e al molo Sant’Eligio “posteggio”di elezione per le navi “vinacciere” che trasportavano il nostro vino in Francia, sia pure con l’esito di andare poi a ricomprarlo, magari trasformato nel Bordò; mentre, si resta sempre in attesa di vedere rilanciate le naturali potenzialità di capienti ormeggi lungo i 10 km. di banchine oltre alla vasta retro-portualità di magazzini con molteplice adattabilità in un’Area Distripark che, al di là dal poter essere anche un crocevia per compagnie dedite al turismo nautico, sarebbe perfettamente funzionale ad un Agromed che potrebbe convogliare l’interesse, non solo del Sud ma di tutta la nazione, ai traffici commerciali dei prodotti delle nostre terre verso il Nord Africa e il Medio ed Estremo Oriente.
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Se, al riguardo, la speranza di una rinascita è dura a morire; laddove ogni auspicio sembra perdersi in un mare di amara delusione è il più specifico ambito dell’amministrazione della città; non rimanendo che una reiterazione di risposte in senso negativo se ci si interroghi su cosa mai possa ancora ritrovarsi di quel tanto di buono che, pure, era stato operato a Taranto.
Difficile, infatti, il riscontro di residuate tracce di una passata “redenzione” dalla sregolatezza di un caotico vissuto urbano tarantino che, dalla percezione di riferimenti istituzionali sempre meno tangibili, era passato sotto la guida di un molto amato Sindaco-sceriffo, in tal senso ancora rimpianto, pur se nella sua peculiare discussa estrosità che era stata subito tolta di mezzo con tracce ambigue da Giano bifronte. Altrettanto, andato distrutto anche il successivo sforzo di “restyling” urbano in linea con la sensibilità estetica di altro Sindaco, in versione femminile, che aveva saputo dare una speranza di rinascita della città, prima della paradossale deriva del dissesto delle casse comunali.
Attualmente, prescindendo da quanto potrebbe farsi risalire alla crisi economica che non ha lasciato indenne alcun territorio nazionale; soprattutto, sembra aumentata l’invivibilità del contesto urbano per una percepita mancanza di tutela, come dovrebbe essere da garanzia degli organi istituzionali locali secondo un loro “buon governo”, non recepito come tale nel sentirsi tornati indietro di vent’anni con una deprecata negazione di sentimenti di “fede” nell’ Autorità.
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Non solo riguardo alla più alta rappresentanza governativa del Palazzo Prefettizio, da cui discende una presenzialità occasionale quanto celebrativa; mentre, oltre ad occhi e orecchie prestati per ritualità da mandato istituzionale, non si percepisce la concretezza di una reale attenzione alla città che langue nell’abbandono.Ma, soprattutto, riguardo al Palazzo Municipale la cui “clausura”, si sarebbe giustificata come tutela fisica del Sindaco da eventuali nuove reazioni di qualche residente esasperato: magari deluso da mancato mantenimento di promesse elettorali.
Ma, quel ch’è peggio, anche nei mediatori delle alte cariche istituzionali sembra difettare un valido riferimento per i Tarantini; in primis nei Vigili Urbani, alias Polizia Locale, le cui apparizioni rilevanti sembrano: a fronte di celebrazioni pubbliche laiche e clericali; oppure, di passaggio, in qualche auto magari diretta alla clausura della propria sede- parcheggio di via Acton o alla difesa del Palazzo Municipale; così, occasionalmente, nella piazza centrale o nel seguito di via-salotto cittadino.
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Invece, sembra “brillare” una deprecata assenza dove servirebbe una generale regolamentazione della viabilità del traffico urbano con relative soste perennemente in doppia fila; oppure dove, come nel Borgo Antico alias Città Vecchia, servirebbe controllare la sottrazione della viabilità per abusi privatistici nonchè l’abbandono ad atti vandalici di beni sovraesposti ad una degradata “pubblica fede”.Davanti a carenze di così globale portata, c’è qualcuno che senta di farne semplicemente una questione di crisi economica?
C’è qualcuno che non voglia arrendersi ad essere considerato ritrovarsi in un contesto da "Medioevo buio”, così come persino sentitosi dire da una cittadina che conosce l’amarezza del ritenere tradito il suo, comunque non rinnegabile, amore per una Taranto che avrebbe dovuto essere regina di civiltà, cultura e progresso socio- economico?

Rosa Cavallo

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