NESSUNA GIUSTIZIA PER SHIREEN ABU AKLEH
Israele non aprirà un’indagine sulla morte della giornalista palestinese

"In considerazione della natura dell’attività operativa che comprendeva intensi combattimenti e ampi scontri a fuoco, è stato deciso che non era necessario aprire un’indagine".
Recita così il freddo comunicato apparso sul quotidiano Jerusalem Post, che sancisce di fatto la volontà di non approfondire le circostanze in cui ha perso la vita, ingiustamente, la giornalista. Il conflitto in quelle terre dimenticate si protrae oramai da svariati anni, seminando morte e terrore.
Shireen Abu Akleh si trovava nel campo profughi di Janin per documentare un’operazione dell’esercito israeliano. Durante gli scontri, è stata raggiunta alla testa da numerosi colpi di arma da fuoco, che ne hanno provocato la morte. L’inviata di Al Jazeera stava solo svolgendo il suo lavoro in un luogo rischioso, e sebbene meriti giustizia si è deciso di non far luce sul suo caso.
Tra le ipotesi avanzate per non avviare il processo, ha preso forza quella basata su eventuali ripercussioni sui soldati israeliani. Per questo motivo, come riferiscono fonti interne, la gente perderebbe fiducia nell’ esercito creando enormi sospetti sui soldati. Una spiegazione logica dal punto di vista israeliano ma non certamente accettabile per la famiglia della giornalista. Intervistati dalla testata del Qatar, i familiari hanno dichiarato: "Ce lo aspettavamo da parte di Israele. Ecco perché non volevamo che partecipassero alle indagini. Vogliamo che chiunque sia responsabile risponda di queste azioni". Nonostante la voglia di scoprire la verità, la famiglia di Shireen appare rassegnata, come se tutto questo fosse già scritto. Ad oggi, infatti, il loro appello agli Stati Uniti appare una pura formalità, certi ormai che nessuno mai potrà mai restituire loro il sorriso della giornalista.
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